What to visit in Padua?

Jacopo
What to visit in Padua?

The most beautiful, charming and famous places of Padua.

Una vera e propria isola museale si concentra attorno all’antico anfiteatro romano. I resti dell’arena romana (I secolo d.C.) racchiudono la Cappella degli Scrovegni, uno dei massimi monumenti dell’arte figurativa di tutti i tempi, realizzato dal maestro toscano nei primissimi anni del Trecento (1303- 1305). La Cappella degli Scrovegni, capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo, è considerato il ciclo più completo di affreschi realizzato dal grande maestro toscano nella sua maturità. Colore e luce, poesia e pathos. L'uomo e Dio. Il senso della natura e della storia, il senso di umanità e di fede fusi assieme per narrare in un modo unico, irripetibile le storie della Madonna e di Cristo. Giotto termina gli affreschi della Cappella entro i primi mesi del 1306. In questa data "...la cappella presenta un'architettura molto semplice: un'aula rettangolare con volta a botte, un'elegante trifora gotica in facciata, alte e strette finestre sulla parete sud, un'abside poligonale poi sopraelevata per la cella campanaria". Il ciclo pittorico della Cappella è sviluppato in tre temi principali: gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), gli episodi della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo. In basso a questi affreschi, una serie di riquadri illustra le allegorie dei Vizi e delle Virtù. La Cappella intitolata a Santa Maria della Carità, affrescata tra il 1303 e il 1305 da Giotto su incarico di Enrico degli Scrovegni costituisce uno dei massimi capolavori dell'arte occidentale. La narrazione ricopre interamente le pareti con le storie della Vergine e di Cristo, mentre nella controfacciata è dipinto il grandioso Giudizio Universale, con il quale si conclude la vicenda della salvazione umana. L'edificio era originariamente collegato al palazzo di famiglia, fatto erigere dopo il 1300, seguendo il tracciato ellittico dei resti dell'arena romana. Da quando, nel 1880, la Cappella è stata acquisita dalla città di Padova, gli affreschi sono stati continuamente oggetto di particolari attenzioni e, nell'Ottocento e nel Novecento, sono stati compiuti svariati interventi conservativi. Dagli anni settanta fino ai giorni nostri, grazie alla stretta collaborazione tra Amministrazione locale, Soprintendenze e Istituto Centrale per il Restauro, sono stati compiuti accurati studi e monitoraggi sullo stato dell'edificio, sulla qualità dell'aria, sui fattori inquinanti, sullo stato di conservazione delle pitture. La costruzione del nuovo corpo di accesso, unitamente all'installazione di un impianto di trattamento dell'aria, permette di gestire il forte flusso dei visitatori in modo tale da non pregiudicare la conservazione degli affreschi. Gli ultimi controlli, evidenziando una stabilizzazione della situazione, hanno permesso di eseguire il restauro, svolto dall'Istituto Centrale per il Restauro grazie al protocollo di intesa siglato tra il Comune e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Link prenotazione online https://cappelladegliscrovegni.vivaticket.it/?Language=ITA&qubsq=2f3cfa44-b040-40ad-9738-bab8d74746ca&qubsp=d1599659-9493-49b4-a9af-8a9a769f76e6&qubsts=1571147543&qubsc=bestunion&qubse=vivaticketserver&qubsrt=Safetynet&qubsh=6be608708dc644df4f186fb4c64825a9
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Capilla Scrovegni
8 Piazza Eremitani
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Una vera e propria isola museale si concentra attorno all’antico anfiteatro romano. I resti dell’arena romana (I secolo d.C.) racchiudono la Cappella degli Scrovegni, uno dei massimi monumenti dell’arte figurativa di tutti i tempi, realizzato dal maestro toscano nei primissimi anni del Trecento (1303- 1305). La Cappella degli Scrovegni, capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo, è considerato il ciclo più completo di affreschi realizzato dal grande maestro toscano nella sua maturità. Colore e luce, poesia e pathos. L'uomo e Dio. Il senso della natura e della storia, il senso di umanità e di fede fusi assieme per narrare in un modo unico, irripetibile le storie della Madonna e di Cristo. Giotto termina gli affreschi della Cappella entro i primi mesi del 1306. In questa data "...la cappella presenta un'architettura molto semplice: un'aula rettangolare con volta a botte, un'elegante trifora gotica in facciata, alte e strette finestre sulla parete sud, un'abside poligonale poi sopraelevata per la cella campanaria". Il ciclo pittorico della Cappella è sviluppato in tre temi principali: gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), gli episodi della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo. In basso a questi affreschi, una serie di riquadri illustra le allegorie dei Vizi e delle Virtù. La Cappella intitolata a Santa Maria della Carità, affrescata tra il 1303 e il 1305 da Giotto su incarico di Enrico degli Scrovegni costituisce uno dei massimi capolavori dell'arte occidentale. La narrazione ricopre interamente le pareti con le storie della Vergine e di Cristo, mentre nella controfacciata è dipinto il grandioso Giudizio Universale, con il quale si conclude la vicenda della salvazione umana. L'edificio era originariamente collegato al palazzo di famiglia, fatto erigere dopo il 1300, seguendo il tracciato ellittico dei resti dell'arena romana. Da quando, nel 1880, la Cappella è stata acquisita dalla città di Padova, gli affreschi sono stati continuamente oggetto di particolari attenzioni e, nell'Ottocento e nel Novecento, sono stati compiuti svariati interventi conservativi. Dagli anni settanta fino ai giorni nostri, grazie alla stretta collaborazione tra Amministrazione locale, Soprintendenze e Istituto Centrale per il Restauro, sono stati compiuti accurati studi e monitoraggi sullo stato dell'edificio, sulla qualità dell'aria, sui fattori inquinanti, sullo stato di conservazione delle pitture. La costruzione del nuovo corpo di accesso, unitamente all'installazione di un impianto di trattamento dell'aria, permette di gestire il forte flusso dei visitatori in modo tale da non pregiudicare la conservazione degli affreschi. Gli ultimi controlli, evidenziando una stabilizzazione della situazione, hanno permesso di eseguire il restauro, svolto dall'Istituto Centrale per il Restauro grazie al protocollo di intesa siglato tra il Comune e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Link prenotazione online https://cappelladegliscrovegni.vivaticket.it/?Language=ITA&qubsq=2f3cfa44-b040-40ad-9738-bab8d74746ca&qubsp=d1599659-9493-49b4-a9af-8a9a769f76e6&qubsts=1571147543&qubsc=bestunion&qubse=vivaticketserver&qubsrt=Safetynet&qubsh=6be608708dc644df4f186fb4c64825a9
In piazza Eremitani sorge il complesso dei Musei Civici che raggruppa: - il Museo Archeologico - il Museo d'Arte Medioevale e Moderna. I Musei sono ospitati nei chiostri dell'ex convento dei frati Eremitani. Il nucleo originario dei Musei Civici di Padova è riconoscibile nelle ricche collezioni pervenute al demanio a seguito delle soppressioni del Convento di San Giovanni da Verdara (1783) e di altri enti religiosi (1810). Nel 1825 l'abate Giuseppe Furlanetto aveva ordinato nelle logge del Palazzo della Ragione una raccolta di lapidi venetiche, greche e romane che fu inaugurata da Francesco I d'Austria con il nome di Museo. Grazie all'impegno e alla passione di Andrea Gloria entrarono a far parte delle proprietà comunali opere d'arte, biblioteche di privati e collezionisti padovani e le vecchie carte delle Magistrature cittadine. Si formarono così la Pinacoteca, la Biblioteca e l'Archivio, quest'ultimo passato nel 1948 alle competenze dello Stato.
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Museos Eremitani
8 Piazza Eremitani
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In piazza Eremitani sorge il complesso dei Musei Civici che raggruppa: - il Museo Archeologico - il Museo d'Arte Medioevale e Moderna. I Musei sono ospitati nei chiostri dell'ex convento dei frati Eremitani. Il nucleo originario dei Musei Civici di Padova è riconoscibile nelle ricche collezioni pervenute al demanio a seguito delle soppressioni del Convento di San Giovanni da Verdara (1783) e di altri enti religiosi (1810). Nel 1825 l'abate Giuseppe Furlanetto aveva ordinato nelle logge del Palazzo della Ragione una raccolta di lapidi venetiche, greche e romane che fu inaugurata da Francesco I d'Austria con il nome di Museo. Grazie all'impegno e alla passione di Andrea Gloria entrarono a far parte delle proprietà comunali opere d'arte, biblioteche di privati e collezionisti padovani e le vecchie carte delle Magistrature cittadine. Si formarono così la Pinacoteca, la Biblioteca e l'Archivio, quest'ultimo passato nel 1948 alle competenze dello Stato.
Nella sede museale di Palazzo Zuckermann trovano i musei di - Arti Applicate e Decorative - la collezione d’arte e monete del Museo Bottacin, Il Palazzo fu eseguito tra il 1912 e il 1914 dall'architetto milanese Arosio, in stile ancora ottocentesco, su incarico dell'industriale Enrico Zuckermann. Può essere assunto come uno dei simboli della nuova città borghese sorta tra la fine dell'800 e l'inizio del secolo XX, seguendo la definizione del nuovo asse viario privilegiato che conduceva alla stazione. Ospita al piano terreno e al primo piano il Museo di Arti Applicate e, al secondo piano, il Museo Bottacin. Inaugurata nel 2004, la nuova sede museale di Palazzo Zuckermann, di fronte alla Cappella degli Scrovegni, custodisce le straordinarie raccolte di oltre duemila oggetti, patrimonio nascosto dei Musei Civici padovani. Si tratta di pezzi per la maggior parte mai esposti al pubblico, che illustrano i diversi tipi di manufatti in uso a Padova dal Medioevo alla metà dell'ottocento.
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Zuckermann Palace
33 Corso Giuseppe Garibaldi
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Nella sede museale di Palazzo Zuckermann trovano i musei di - Arti Applicate e Decorative - la collezione d’arte e monete del Museo Bottacin, Il Palazzo fu eseguito tra il 1912 e il 1914 dall'architetto milanese Arosio, in stile ancora ottocentesco, su incarico dell'industriale Enrico Zuckermann. Può essere assunto come uno dei simboli della nuova città borghese sorta tra la fine dell'800 e l'inizio del secolo XX, seguendo la definizione del nuovo asse viario privilegiato che conduceva alla stazione. Ospita al piano terreno e al primo piano il Museo di Arti Applicate e, al secondo piano, il Museo Bottacin. Inaugurata nel 2004, la nuova sede museale di Palazzo Zuckermann, di fronte alla Cappella degli Scrovegni, custodisce le straordinarie raccolte di oltre duemila oggetti, patrimonio nascosto dei Musei Civici padovani. Si tratta di pezzi per la maggior parte mai esposti al pubblico, che illustrano i diversi tipi di manufatti in uso a Padova dal Medioevo alla metà dell'ottocento.
A fianco del prestigioso Piano Nobile dello Stabilimento Pedrocchi si trova il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea, che documenta fatti e protagonisti di un secolo e mezzo di storia padovana e nazionale, dalla caduta della Repubblica Veneta (1797) alla promulgazione della Costituzione Italiana il primo gennaio del 1948. Centocinquant'anni di storia in cui la città di Padova ha avuto spesso un ruolo di grande rilievo, se non di protagonista assoluta, non solo per il verificarsi di eventi di portata storica, ma anche per la presenza, nelle diverse epoche, di personalità illustri. Il Pedrocchi è parsa subito la sede perfetta per ospitare questo nuovo Museo. Qui, l'8 febbraio del 1848, gli studenti del vicino Ateneo insorsero contro gli occupanti austriaci: tale sommossa fu la premessa, in Italia, della Prima Guerra di Indipendenza e, in Europa, dell'anno che vide rivoluzioni e moti popolari divampare in numerose nazioni. Tracce dei colpi sparati dagli austriaci contro gli studenti asserragliati all'interno del Caffè sono ancora evidenti nella Sala Bianca dello storico edificio. Nel 1866 il Veneto fu annesso al Regno d'Italia: al Comando Generale acquartierato a Padova giunse, da Bezzecca, il celebre "€œObbedisco"€ di Giuseppe Garibaldi, atto storico di quella Terza e ultima Guerra d'Indipendenza. Padova fu protagonista anche negli anni della Grande Guerra: "€œCapitale al fronte"€, sede del Comando Supremo e delle Missioni Alleate e successivamente della firma dell'€™Armistizio, siglato a Villa Giusti il 3 novembre 1918. Quello stesso giorno i bersaglieri, sbarcati dal cacciatorpediniere Audace nella Trieste liberata, sventolarono il vessillo italiano ora esposto al Museo. Numerosi i cimeli che raccontano la storia di questo periodo: fotografie, un elmetto italiano, una mitraglia del 1917, la divisa di carabiniere a cavallo, una bicicletta. Gli anni successivi sono caratterizzati dall'inaugurazione della prima Fiera e dalla costruzione dell'Altare della Patria, interposto tra Palazzo Moroni, sede della municipalità , e il Bo, antica sede dell'Università . Il periodo fascista è ricordato tra l'altro dalle immagini dell'adunata in Prato della Valle per il discorso che Benito Mussolini tenne il 24 settembre del 38, alla vigilia della seconda guerra mondiale, da un nerbo di squadrista e da una scultura in bronzo di Paolo Boldrin, artista e segretario della Federazione padovana del Partito, raffigurante un balilla. Le Leggi Razziali di quello stesso anno colpirono 500 ebrei padovani e, tra essi, molte personalità dell'Ateneo. Tredici medaglie d'oro al Valor Militare testimoniano la nobile partecipazione di alcuni cittadini padovani al secondo conflitto mondiale. Ancora vive nelle memoria di molti sono le efferatezze della Banda Carità , il reparto speciale della Banda Repubblicana alle dirette dipendenze delle SS (periodo della Resistenza). Per il contributo dato alla causa dai professori e dagli studenti dell'Università l'Ateneo ricevette, unico caso in Italia, la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Protagonisti furono Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti e con loro i 117 docenti e studenti caduti per la libertà . Non poteva mancare il ricordo dell'€11 marzo del 1944, quando una bomba alleata colpì gli affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari. Completa l'esposizione una scelta di filmati d'epoca dell'Istituto Luce di Roma e dell'Imperial War Museum di Londra. Attraverso i reperti e i documenti esposti (numerosi donati da privati cittadini, altri concessi da diversi Istituti di Cultura padovani e non, tra i quali il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto), il Museo invita anche alla scoperta o riscoperta del Piano Nobile del Pedrocchi. Il celeberrimo Caffè "€œsenza porte"€, fu aperto al pubblico nel 1831. Il piano superiore, o Piano Nobile, venne invece inaugurato nel 1842, anno in cui Padova ospitò il Congresso degli Scienziati Italiani. Info: Stabilimento Pedrocchi, Piazzetta Cappellato Pedrocchi tel. +39 049 8781231 orario: tutto l'anno 09:30-12:30/15:30-18:00 chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S.Stefano, Capodanno, I Maggio, 15 agosto biglietti: intero euro 4,00, ridotto euro 2,50 (il biglietto è comprensivo dell'ingresso al Piano Nobile dello Stabilimento Pedrocchi) gratuito fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide bigliettti cumulativi per visitare più monumenti a prezzi speciali All’interno della sede è permesso fotografare purché: • la foto avvenga in forma di istantanea • si facciano fotografie a uso personale senza fini di lucro • non si venga a contatto/non si tocchi l'oggetto da fotografare • non vengano usate fonti di luce (compreso il flash) • non si utilizzino treppiedi Percorsi didattici per le scuole medie: Dal Risorgimento alla prima Guerra Mondiale Dal Fascismo alla Costituzione Percorsi didattici per le scuole superiori: Dal Risorgimento alla prima Guerra Mondiale Dal Fascismo alla Costituzione
Museo del Risorgimento e dell'Eta Contemporanea
Piazzetta Cappellato Pedrocchi
A fianco del prestigioso Piano Nobile dello Stabilimento Pedrocchi si trova il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea, che documenta fatti e protagonisti di un secolo e mezzo di storia padovana e nazionale, dalla caduta della Repubblica Veneta (1797) alla promulgazione della Costituzione Italiana il primo gennaio del 1948. Centocinquant'anni di storia in cui la città di Padova ha avuto spesso un ruolo di grande rilievo, se non di protagonista assoluta, non solo per il verificarsi di eventi di portata storica, ma anche per la presenza, nelle diverse epoche, di personalità illustri. Il Pedrocchi è parsa subito la sede perfetta per ospitare questo nuovo Museo. Qui, l'8 febbraio del 1848, gli studenti del vicino Ateneo insorsero contro gli occupanti austriaci: tale sommossa fu la premessa, in Italia, della Prima Guerra di Indipendenza e, in Europa, dell'anno che vide rivoluzioni e moti popolari divampare in numerose nazioni. Tracce dei colpi sparati dagli austriaci contro gli studenti asserragliati all'interno del Caffè sono ancora evidenti nella Sala Bianca dello storico edificio. Nel 1866 il Veneto fu annesso al Regno d'Italia: al Comando Generale acquartierato a Padova giunse, da Bezzecca, il celebre "€œObbedisco"€ di Giuseppe Garibaldi, atto storico di quella Terza e ultima Guerra d'Indipendenza. Padova fu protagonista anche negli anni della Grande Guerra: "€œCapitale al fronte"€, sede del Comando Supremo e delle Missioni Alleate e successivamente della firma dell'€™Armistizio, siglato a Villa Giusti il 3 novembre 1918. Quello stesso giorno i bersaglieri, sbarcati dal cacciatorpediniere Audace nella Trieste liberata, sventolarono il vessillo italiano ora esposto al Museo. Numerosi i cimeli che raccontano la storia di questo periodo: fotografie, un elmetto italiano, una mitraglia del 1917, la divisa di carabiniere a cavallo, una bicicletta. Gli anni successivi sono caratterizzati dall'inaugurazione della prima Fiera e dalla costruzione dell'Altare della Patria, interposto tra Palazzo Moroni, sede della municipalità , e il Bo, antica sede dell'Università . Il periodo fascista è ricordato tra l'altro dalle immagini dell'adunata in Prato della Valle per il discorso che Benito Mussolini tenne il 24 settembre del 38, alla vigilia della seconda guerra mondiale, da un nerbo di squadrista e da una scultura in bronzo di Paolo Boldrin, artista e segretario della Federazione padovana del Partito, raffigurante un balilla. Le Leggi Razziali di quello stesso anno colpirono 500 ebrei padovani e, tra essi, molte personalità dell'Ateneo. Tredici medaglie d'oro al Valor Militare testimoniano la nobile partecipazione di alcuni cittadini padovani al secondo conflitto mondiale. Ancora vive nelle memoria di molti sono le efferatezze della Banda Carità , il reparto speciale della Banda Repubblicana alle dirette dipendenze delle SS (periodo della Resistenza). Per il contributo dato alla causa dai professori e dagli studenti dell'Università l'Ateneo ricevette, unico caso in Italia, la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Protagonisti furono Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti e con loro i 117 docenti e studenti caduti per la libertà . Non poteva mancare il ricordo dell'€11 marzo del 1944, quando una bomba alleata colpì gli affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari. Completa l'esposizione una scelta di filmati d'epoca dell'Istituto Luce di Roma e dell'Imperial War Museum di Londra. Attraverso i reperti e i documenti esposti (numerosi donati da privati cittadini, altri concessi da diversi Istituti di Cultura padovani e non, tra i quali il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto), il Museo invita anche alla scoperta o riscoperta del Piano Nobile del Pedrocchi. Il celeberrimo Caffè "€œsenza porte"€, fu aperto al pubblico nel 1831. Il piano superiore, o Piano Nobile, venne invece inaugurato nel 1842, anno in cui Padova ospitò il Congresso degli Scienziati Italiani. Info: Stabilimento Pedrocchi, Piazzetta Cappellato Pedrocchi tel. +39 049 8781231 orario: tutto l'anno 09:30-12:30/15:30-18:00 chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S.Stefano, Capodanno, I Maggio, 15 agosto biglietti: intero euro 4,00, ridotto euro 2,50 (il biglietto è comprensivo dell'ingresso al Piano Nobile dello Stabilimento Pedrocchi) gratuito fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide bigliettti cumulativi per visitare più monumenti a prezzi speciali All’interno della sede è permesso fotografare purché: • la foto avvenga in forma di istantanea • si facciano fotografie a uso personale senza fini di lucro • non si venga a contatto/non si tocchi l'oggetto da fotografare • non vengano usate fonti di luce (compreso il flash) • non si utilizzino treppiedi Percorsi didattici per le scuole medie: Dal Risorgimento alla prima Guerra Mondiale Dal Fascismo alla Costituzione Percorsi didattici per le scuole superiori: Dal Risorgimento alla prima Guerra Mondiale Dal Fascismo alla Costituzione
La storia Anticamente lo Studio Padovano era costituito da due università: quella per gli studenti che venivano dall'estero (Università degli ultramontani) e quella per gli studenti nostrani (Università dei citramontani). Nel 1399 l'ateneo venne invece diviso solo sulla base delle materie di insegnamento e si vennero quindi a costituire l'Università degli artisti (filosofi e medici) e l'Università degli studenti di Giurisprudenza. Gli studenti accorrevano numerosissimi a Padova per la fama dei professori e anche per le buone condizioni di vita, quali l'esenzione dalle tasse, gli alloggi decorosi e i prestiti ad interessi ridotti. All'Università di Padova, che fu la prima in Italia e in Europa ad accettare gli studenti di religione ebraica, la presenza di studenti stranieri fu inoltre favorita per l'uso del latino come lingua franca. Gli studenti di lingua tedesca, che costituivano il gruppo più numeroso, avevano tra l'altro la libertà di aderire al culto protestante e laurearsi senza convertirsi alla fede cattolica, come invece prescriveva una bolla papale. Il Palazzo del Bo Il Bo", comunemente "Palazzo del Bo" oggi arbitrariamente definito Palazzo Bo (pronuncia: Bò), è la storica sede dell'Università degli Studi di Padova dal 1493. Tuttora è sede del Rettorato e della Scuola di Giurisprudenza. È inoltre la sede del Teatro Anatomico più antico del mondo. Nonostante il Palazzo sia tuttora sede attiva dell'Università è possibile visitarlo tutti i giorni attraverso dei tour guidati Teatro Anatomico. A partire dal 1492 le varie scuole sparse per la città furono riunite nell'attuale sede che venne ampliata con l'acquisto dei palazzi adiacenti, fino ad occupare tutto l'attuale isolato. I lavori principali ebbero luogo tra il 1542 e il 1601 e furono iniziati da Andrea Moroni e continuati, alla sua morte nel 1560, da Vincenzo Scamozzi. L'ala su Riviera dei Ponti Romani è opera dell'aretino Guido Fondelli (1922), mentre la parte porticata, che guarda via S. Canziano, nel XIV secolo ha incorporato il Palazzo dell'antica famiglia Capodivacca. Entrando dalla Porta della Vacca troviamo il cortile nuovo, ristrutturato tra il 1939 e il 1945. Il Cortile Antico, sovrastato dall'alta torre medioevale dell'orologio, è un elegante chiostro cinquecentesco che fu attribuito ad Andrea Moroni, ma assegnato da altri al Sansovino. Il cortile, l'atrio, le scale, le logge e le sale sono completamente rivestite all'interno da stemmi collocati da studenti e professori che frequentarono l'Ateneo dal 1542 al 1688. Dalla loggia superiore possiamo accedere alla Sala delle lauree di Medicina, del XIV secolo. A nord ovest il famoso Teatro Anatomico, il primo in Europa, ideato nel 1594 dal celeberrimo patologo Girolamo Fabrizi d'Acquapendente, e inaugurato nel gennaio del 1595. Il teatro, unico nel suo genere, anche perché solamente qui si potevano sezionare cadaveri a scopo scientifico, è composto da sei piani ellittici in legno, capaci di 300 posti a sedere, che si alzano intorno al tavolo anatomico. A nord-est la Sala dei Quaranta, così denominata per i quaranta ritratti di studenti stranieri illustri, dove si trova la cattedra di legno dalla quale Galileo Galilei avrebbe insegnato matematica e fisica dal 1592 al 1610. Subito dopo l'Aula Magna con il prezioso soffitto affrescato dal Carlini nel 1854. La parete di fondo dell'aula, con i seggi del Senato Accademico, fu invece ricostruita nel 1942 su disegni di Giò Ponti, autore anche della basilica. Dalla Basilica, decorata con mosaici, affreschi e statue di autori contemporanei, si accede alla Sala del Collegio Accademico con scaffali scolpiti, colonne e arredi lignei un tempo della Biblioteca del Monastero di Santa Giustina. Il portone "atrio della morte" viene così denominato per un'antica usanza che sembra non avere riscontro in altre Università italiane secondo la quale da qui accedono, ancora oggi, i cortei che onorano i feretri dei professori che, posti nel mezzo del cortile antico, vengono sollevati tre volte in alto da otto studenti mentre la campana diffonde i suoi mesti rintocchi. Sulla piazza antistante, il monumento a Galileo di Giò Pomodoro (1996). Oggi il Bo ospita il rettorato e la facoltà di giurisprudenza. L'Università La sede storica dell'Università di Padova, un ateneo prestigioso che ospitò personaggi illustri, come Galileo, Copernico, Papa Sisto IV, Stefan I Bathory (re di Polonia), Ippolito Nievo, Giovanni Battista Morgagni (fondatore dell'anatomia patologica) e William Harvey (che con quanto appreso nel corso dei suoi studi a Padova scoprì la circolazione del sangue), sorge al centro della città tra il Caffè Pedrocchi e il Municipio. Viene popolarmente chiamata il Bo perchè realizzata inglobando un antico albergo che aveva appunto il bue come insegna (hospitium bovis) trovandosi accanto ad alcune macellerie. I primi documenti accademici risalgono al 1222, anche se non si può dare una data certa alla fondazione, in quanto nacque come Universitas Studentium, aggregazione spontanea di studenti e docenti.
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Palazzo Bo
2 Via VIII Febbraio
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La storia Anticamente lo Studio Padovano era costituito da due università: quella per gli studenti che venivano dall'estero (Università degli ultramontani) e quella per gli studenti nostrani (Università dei citramontani). Nel 1399 l'ateneo venne invece diviso solo sulla base delle materie di insegnamento e si vennero quindi a costituire l'Università degli artisti (filosofi e medici) e l'Università degli studenti di Giurisprudenza. Gli studenti accorrevano numerosissimi a Padova per la fama dei professori e anche per le buone condizioni di vita, quali l'esenzione dalle tasse, gli alloggi decorosi e i prestiti ad interessi ridotti. All'Università di Padova, che fu la prima in Italia e in Europa ad accettare gli studenti di religione ebraica, la presenza di studenti stranieri fu inoltre favorita per l'uso del latino come lingua franca. Gli studenti di lingua tedesca, che costituivano il gruppo più numeroso, avevano tra l'altro la libertà di aderire al culto protestante e laurearsi senza convertirsi alla fede cattolica, come invece prescriveva una bolla papale. Il Palazzo del Bo Il Bo", comunemente "Palazzo del Bo" oggi arbitrariamente definito Palazzo Bo (pronuncia: Bò), è la storica sede dell'Università degli Studi di Padova dal 1493. Tuttora è sede del Rettorato e della Scuola di Giurisprudenza. È inoltre la sede del Teatro Anatomico più antico del mondo. Nonostante il Palazzo sia tuttora sede attiva dell'Università è possibile visitarlo tutti i giorni attraverso dei tour guidati Teatro Anatomico. A partire dal 1492 le varie scuole sparse per la città furono riunite nell'attuale sede che venne ampliata con l'acquisto dei palazzi adiacenti, fino ad occupare tutto l'attuale isolato. I lavori principali ebbero luogo tra il 1542 e il 1601 e furono iniziati da Andrea Moroni e continuati, alla sua morte nel 1560, da Vincenzo Scamozzi. L'ala su Riviera dei Ponti Romani è opera dell'aretino Guido Fondelli (1922), mentre la parte porticata, che guarda via S. Canziano, nel XIV secolo ha incorporato il Palazzo dell'antica famiglia Capodivacca. Entrando dalla Porta della Vacca troviamo il cortile nuovo, ristrutturato tra il 1939 e il 1945. Il Cortile Antico, sovrastato dall'alta torre medioevale dell'orologio, è un elegante chiostro cinquecentesco che fu attribuito ad Andrea Moroni, ma assegnato da altri al Sansovino. Il cortile, l'atrio, le scale, le logge e le sale sono completamente rivestite all'interno da stemmi collocati da studenti e professori che frequentarono l'Ateneo dal 1542 al 1688. Dalla loggia superiore possiamo accedere alla Sala delle lauree di Medicina, del XIV secolo. A nord ovest il famoso Teatro Anatomico, il primo in Europa, ideato nel 1594 dal celeberrimo patologo Girolamo Fabrizi d'Acquapendente, e inaugurato nel gennaio del 1595. Il teatro, unico nel suo genere, anche perché solamente qui si potevano sezionare cadaveri a scopo scientifico, è composto da sei piani ellittici in legno, capaci di 300 posti a sedere, che si alzano intorno al tavolo anatomico. A nord-est la Sala dei Quaranta, così denominata per i quaranta ritratti di studenti stranieri illustri, dove si trova la cattedra di legno dalla quale Galileo Galilei avrebbe insegnato matematica e fisica dal 1592 al 1610. Subito dopo l'Aula Magna con il prezioso soffitto affrescato dal Carlini nel 1854. La parete di fondo dell'aula, con i seggi del Senato Accademico, fu invece ricostruita nel 1942 su disegni di Giò Ponti, autore anche della basilica. Dalla Basilica, decorata con mosaici, affreschi e statue di autori contemporanei, si accede alla Sala del Collegio Accademico con scaffali scolpiti, colonne e arredi lignei un tempo della Biblioteca del Monastero di Santa Giustina. Il portone "atrio della morte" viene così denominato per un'antica usanza che sembra non avere riscontro in altre Università italiane secondo la quale da qui accedono, ancora oggi, i cortei che onorano i feretri dei professori che, posti nel mezzo del cortile antico, vengono sollevati tre volte in alto da otto studenti mentre la campana diffonde i suoi mesti rintocchi. Sulla piazza antistante, il monumento a Galileo di Giò Pomodoro (1996). Oggi il Bo ospita il rettorato e la facoltà di giurisprudenza. L'Università La sede storica dell'Università di Padova, un ateneo prestigioso che ospitò personaggi illustri, come Galileo, Copernico, Papa Sisto IV, Stefan I Bathory (re di Polonia), Ippolito Nievo, Giovanni Battista Morgagni (fondatore dell'anatomia patologica) e William Harvey (che con quanto appreso nel corso dei suoi studi a Padova scoprì la circolazione del sangue), sorge al centro della città tra il Caffè Pedrocchi e il Municipio. Viene popolarmente chiamata il Bo perchè realizzata inglobando un antico albergo che aveva appunto il bue come insegna (hospitium bovis) trovandosi accanto ad alcune macellerie. I primi documenti accademici risalgono al 1222, anche se non si può dare una data certa alla fondazione, in quanto nacque come Universitas Studentium, aggregazione spontanea di studenti e docenti.
Chiamato popolarmente "Il Salone", il Palazzo della Ragione è in effetti uno dei più grandi ambienti coperti d'Italia che non ha uguali nell'architettura civile italiana. La grandissima sala del piano superiore, all'epoca la più grande sala pensile (cioè sollevata da terra) del mondo costituiva un vero miracolo di ardimento architettonico e di solidità. Ricco di una semplice e severa nobiltà e di una popolana grandezza, il Palazzo della Ragione sorse al centro di un articolato complesso di edifici comunali tra i quali il Palazzo degli Anziani e l'antico Palazzo del Consiglio, ancora in parte esistenti, che si vennero edificando a partire dalla fine del XII secolo. Sorse al centro di un sistema di piazze, le attuali piazza delle Erbe e piazza della Frutta, dove aveva luogo il mercato. Tra l'antico Palazzo del Consiglio e la parte orientale del Palazzo della Ragione si apre il Volto della Corda, grandioso arco di passaggio verso piazza delle Erbe costruito nel 1277, così denominato perché qui i bugiardi, i falliti, gli imbroglioni, i debitori insolventi venivano colpiti sulla schiena con una corda. Le corde rimanevano sempre appese a cinque anelli di pietra infissi nel muro del Volto per ricordare ai venditori di essere onesti. L'angolo posto sotto al Volto della Corda prende il nome di canton delle busie (angolo delle bugie) perché vi avvenivano gli incontri tra i commercianti. Ancor oggi sono visibili in basso, sulla destra del Volto della corda, le antiche misure padovane scolpite sulla pietra bianca che impedivano ai venditori di imbrogliare gli acquirenti. L'imponente Palazzo della Ragione, termine attribuito in epoca veneziana, è un edificio a pianta trapezoidale dovuta ai vincoli di probabili canali d'acqua che attraversavano quelle che tuttora sono le piazze e che già allora erano una sorta di vivace ipermercato. L'antico edificio assomiglia ad un enorme nave capovolta e poggia su 90 piloni, disposti in quattro ordini. Grande ammirazione destava il Palazzo presso i contemporanei fin dalla sua forma primitiva che aveva la stessa lunghezza di quella attuale, ma una minore altezza ed era anche più stretto perché mancavano le due logge prospicienti le due piazze chiamate al tempo semplicemente piazza Settentrionale e piazza Meridionale, oggi rispettivamente piazza della Frutta e piazza delle Erbe. IL SALONE OGGI Attualmente è utilizzato per grandi esposizioni artistiche e manifestazioni, mentre il pian terreno è tuttora destinato, come nell'antichità, a mercato di generi alimentari. Le vecchie botteghe sotto il Salone costituiscono uno degli angoli più suggestivi e caratteristici di Padova. Ogni bottega è ricca di prodotti alimentari di qualità: formaggi, carni, insaccati, pesce che provengono da tutta Italia. Ci sono anche prodotti locali tipici e novità gastronomiche, vere "chicche" di piacere che ogni commerciante vuole far conoscere nell'ottica di un generale recupero del cibo buono e genuino e di una riscoperta delle tradizioni e dei sapori dimenticati. Di recente è stato restaurato il mercato sotto il Salone di Palazzo della Ragione. Il restauro, che ha interessato anche l'interrato del Palazzo, consente di apprezzare i resti medievali e romani, oltre alla crescita stratigrafica della città. Gli scavi effettuati durante i lavori hanno portato alla luce una struttura organizzata in due gallerie longitudinali ed una trasversale, che fanno emergere le varie sovrapposizioni architettoniche che si sono succedute nel tempo - approfondimento. LA STORIA Quanto alla storia dell'edificio è presumibile pensare che, il luogo ove sorge l'attuale Palazzo, sia stato edificato ed abitato in età precedenti. Sotto il Palazzo rimane infatti memoria dell'età romana e le testine romaniche, scolpite poste sugli stipiti degli archi di accesso al mercato sotto il Salone, ne sono una riprova. Non si conosce la data esatta della costruzione primitiva ma già nel 1166 esisteva la parte inferiore dell'edificio che aveva funzioni pubbliche. La prima realizzazione risale al 1219, ed aveva lo scopo di ospitare i tribunali e gli uffici finanziari, ruolo che ebbe non solo in età comunale, ma, sia pure con uso ridotto, anche durante la signoria Carrarese e tutta la dominazione Veneziana, fino al 1797. Fu però anche sede commerciale, unica funzione questa che mantenne nel tempo. Vi è quindi uno stretto rapporto tra il Salone e la giustizia. L'intensificarsi della mercatura, nell'area delle piazze, invitava il Comune a un intervento regolarizzatore che affermasse anche materialmente la protezione pubblica sulle attività mercantili. I primi statuti che regolano la vita delle città comunali risalgono all'inizio del XII secolo e riguardano soprattutto il commercio e le istituzioni politiche. La forma attuale la si deve a frate Giovanni degli Eremitani che tra il 1306 e il 1309 fece alzare la grande volta in legno a due calotte ed aggiungere il porticato e le logge coprendo le scale. Il tetto fu rifatto a capriate in legno di larice, senza colonne centrali e ricoperto da piastre di piombo. Al grande salone si accedeva attraverso quattro scalinate che prendevano il nome dal mercato che si svolgeva ai loro piedi: la Scala degli uccelli (Scala degli osei) al Volto della Corda, dei ferri lavorati, in piazza delle Erbe, la Scala del vino, sempre in piazza delle Erbe, e della frutta nell'omonima piazza. In epoca comunale doveva esistere un passaggio sospeso (sul genere del Ponte dei Sospiri a Venezia) che dalla piccola loggia portava al palazzo dirimpettaio adibito a prigioni (ora Palazzo delle Debite, ricostruito maldestramente nell'800). L'edificio è attualmente collegato con un volto al palazzo comunale, mentre non esiste più il passaggio per le carceri. Il 17 agosto 1757 un furioso turbine sconvolse il grande edificio distruggendone il tetto e scoperchiandolo. Bartolomeo Ferracina, orologiaio e ingegnere della Serenissima, più noto per la costruzione dell'orologio di piazza San Marco a Venezia e anche autore della ricostruzione del ponte palladiano di Bassano del Grappa, provvide alla riedificazione dell'imponente struttura. Trasferiti i tribunali nel 1797, il Salone fu aperto per grandi riunioni popolari, ricorrenze e feste. L'INTERNO Il grandioso salone interno, di circa 80 metri di lunghezza per 27 metri di larghezza, è coperto da una vertiginosa struttura lignea di forma ogivale (cioè a sesto acuto) alta quasi 40 metri. Particolare curioso è che le misure dei due lati della sala rettangolare non sono uguali. La vasta sala è decorata da circa 500 affreschi. Dagli antichi scrittori sappiamo che Giotto aveva decorato le volte del salone dopo il 1306 con motivi astrologici, soggetti religiosi e figure allegoriche che andarono distrutti nell'incendio del Palazzo del 1420. L'edificio fu subito ricostruito e delle tre originali sale in cui era precedentemente diviso (la Cappella dedicata a S. Prosdocimo, primo vescovo di Padova, che si trovava sul lato orientale, la sala delle udienze dei giudici al centro e le prigioni sul lato occidentale) se ne fece una sola poggiante su archi e pilastri con volte a crociera, ad opera dell'architetto Bartolomeo Rizzo, esperto di costruzioni navali. Il padovano Nicolà Miretto e Stefano da Ferrara furono richiamati a ridipingere il nuovo ciclo astrologico sulla base delle precedenti tracce. Questi affreschi sono divisi in tre zone orizzontali e in dodici verticali, ripartiti in oltre trecento riquadri che raffigurano il sapere astrologico del tempo, cioè l'influsso degli astri e dei cieli sulle attività umane e sui caratteri: sembra che l'ideatore fosse stato il celebre medico, matematico, filosofo e astrologo padovano del tempo Pietro d'Abano, il cui cadavere fu bruciato perché condannato dopo morto per eresia. GLI AFFRESCHI Con una ricca iconografia che riunisce simbologie astrologiche e religiose, ma anche con numerosi richiami alla Serenissima rappresentata dal leone (nel 1420 Padova era già soggetta a Venezia), questo ciclo è tra i più vasti e complessi che si conoscano. La fascia superiore, che inizia con il segno dell'Ariete nella parete sud e che si conclude con il segno dei Pesci sul lato orientale, è divisa in 12 parti, corrispondenti ai 12 mesi dell'anno. Ogni parte è formata da tre file di nove riquadri dove sono riprodotti gli elementi caratteristici del mese: il segno zodiacale, i simboli astrologici dei sette pianeti, i dodici apostoli associati ai dodici mesi, i lavori propri di quel mese con il loro pianeta dominante. Il ciclo costituisce un grande orologio solare perché il sole, al suo sorgere, batte sul segno zodiacale corrispondente alla posizione astronomica in cui si trova il sole. La fascia inferiore raffigura soggetti religiosi inframmezzati a figure d'animali sotto le quali i giudici e i notai sedevano per risolvere le varie cause. Chi veniva citato in processo riceveva una carta con sopra il simbolo del giudice che l'avrebbe giudicato e quindi al popolo, che all'epoca contava un'alta percentuale di analfabeti, per individuare il proprio giudice bastava ricordare la figura dell'animale. Nel pavimento del salone, nella direzione della larghezza, c'è una striscia bianca e nera: è il segno del 12° meridiano che passa per Padova. Su di esso battono i raggi del sole che entrano dalla bocca della faccia dorata che sta sulla parete verso piazza delle Erbe. LE ALTRE DECORAZIONI Col tempo altri affreschi votivi furono aggiunti, assieme a monumenti tra i quali, sulla parete occidentale, una lapide tombale romana, all'epoca attribuita al poeta padovano Tito Livio, e il medaglione dell'esploratore padovano Giambattista Belzoni. Accanto è collocata la famosa Pietra del Vituperio, detta anche del fallimento, un blocco di porfido nero su una base quadrata a tre gradini. La Pietra del Vituperio è testimone del singolare intervento di Frate Antonio che, presentandosi davanti al Consiglio Maggiore nel 1231 per perorare la causa dei debitori insolventi e dei falliti, era riuscito a modificare lo Statuto e a far abolire i tratti di corda e il carcere perpetuo a cui venivano prima condannati i debitori; come pena però il debitore insolvente veniva obbligato a spogliarsi, rimanendo con la sola camicia e in mutande (da cui il proverbio "restar in braghe de tela"), e alla presenza di almeno cento persone doveva sedersi per tre volte sulla pietra ripetendo "cedo bonis" (rinuncio ai beni) e poi lasciare la città per rifarsi una vita. Se però fosse rientrato senza il consenso dei creditori, sarebbe stato nuovamente costretto a sedere sulla Pietra del Vituperio e in più gli sarebbero stati gettati addosso tre secchi d'acqua. Dall'intervento di frate Antonio o immediatamente dopo, la pietra fu posta al centro del salone e conservò per secoli il suo posto servendo talvolta anche al bando di editti pubblici; ora la stessa si trova alla destra dell'entrata principale. All'interno della sala vi è anche un cavallo ligneo che fu donato al Comune nel 1837 dalla famiglia Capodilista la quale lo fece realizzare per una giostra o un torneo nel 1466. Il cavallo fu attribuito erroneamente a Donatello per la somiglianza col quello del Gattamelata in piazza del Santo. Nella sala sono inoltre numerosi gli orologi, le meridiane e gli strumenti di misurazione del tempo. Il PENDOLO DI FOUCAULT All'interno del Palazzo della Ragione è possibile vedere la realizzazione del famoso pendolo, allestito su progetto scientifico del prof. Giacomo Torzo del Dipartimento di fisica dell'Università di Padova; il pendolo rientra nelle iniziative di divulgazione scientifica promosse dall'Amministrazione comunale. Info: Palazzo della Ragione, ingresso dalla "Scala dei Ferri", piazza delle Erbe ingresso disabili da via VIII febbraio tel. +39 049 8205006 orario:da martedì a domenica, 1 febbraio/31 ottobre 09:00-19:00; 1 novembre/31 gennaio 09:00-18:00 chiuso tutti i lunedì non festivi; Natale, S. Stefano, Capodanno, I maggio biglietti: intero euro 10,00, ridotto euro 8,00 gratuito: fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide in caso di mostre le tariffe possono subire variazioni ingresso consentito fino a mezz'ora prima della chiusura chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S. Stefano, Capodanno, I Maggio ------------------------------------------------------------------------- SOTTERRANEI DEL PALAZZO DELLA RAGIONE Gli scavi archeologici effettuati nel 1990 dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici del Veneto, sotto il Palazzo della Ragione, hanno messo in luce i resti degli edifici medievali preesistenti, abbattuti appositamente per la sua costruzione nel 1218. Il percorso permette di scoprire importanti tracce di costruzioni come torri, case fortificate, un palazzo pubblico, un pozzo ... I lavori hanno messo in luce un interessante spaccato delle vicende edilizie che si succedettero, per lunghi secoli, in quest'area centralissima di Padova, evidenziando un'immagine chiara e articolata della crescita stratigrafica della città dall'età romana sino alla costruzione del Palazzo duecentesco. Mentre erano in corso gli scavi archeologici, la ristrutturazione di una bottega portò casualmente alla scoperta, sotto il pavimento, di un'ampia camera sotterranea, in parte colmata di terra e macerie. Il cantinone (così fu subito battezzato) fu realizzato sempre nel corso del Duecento. Il saggio di approfondimento, realizzato a circa 7 metri di profondità rispetto alla quota di calpestio del soprastante Palazzo nella galleria sud ha portato alla luce la parte, oggi lasciata a vista, di un ambiente di età romana. I resti corrispondono alla piccola porzione di un edificio, una domus, costruito a sua volta sopra strutture più antiche, dai muri intonacati e affrescati, in partre realizzati in laterizi e in parte in argilla cruda, con un pavimento a tessere musive bianche e nere, che la centro poteva presentare una decorazione più ricca, in mosaico o in marmo. La domus, dopo una fase di abbandono, subì l'asportazione di alcune sue parti, tra le quali un'ampia porzione del pavimento della stanza. A seguito di un incendio si verificarono i crolli del tetto e dei muri. Una moneta rinvenuta sotto i crolli indica che la distruzione finale avvenne nel II secolo d. C. o poco dopo. In età tardoantica e altomedievale si forma progressivamente un interro di notevole spessore, in parte originato da scarichi di macerie e interessato, negli ultimi secoli prima del Palazzo della Ragione, dallo scavo di ampie fosse. L’ingresso è sotto al Salone, nel corridoio centrale che unisce Piazza delle Erbe a Piazza dei Frutti, dove è visibile la grata metallica e le scale che scendono nel sottosuolo. La visita didattica, condotta da archeologhe, dura 1 ora. Associazione Arc.A.Dia Info Palazzo della Ragione, piazza delle Erbe biglietto: euro 4,00, gratuito bambini fino ai 7 anni orario: martedì e giovedi dalle 16:00 alle 18:00, sabato dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 18:00 visite su prenotazione tel. 333 6799660, 339 7866957 e-mail arcadiadidattica@gmail.com
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Palacio de la Razón
Piazza delle Erbe
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Chiamato popolarmente "Il Salone", il Palazzo della Ragione è in effetti uno dei più grandi ambienti coperti d'Italia che non ha uguali nell'architettura civile italiana. La grandissima sala del piano superiore, all'epoca la più grande sala pensile (cioè sollevata da terra) del mondo costituiva un vero miracolo di ardimento architettonico e di solidità. Ricco di una semplice e severa nobiltà e di una popolana grandezza, il Palazzo della Ragione sorse al centro di un articolato complesso di edifici comunali tra i quali il Palazzo degli Anziani e l'antico Palazzo del Consiglio, ancora in parte esistenti, che si vennero edificando a partire dalla fine del XII secolo. Sorse al centro di un sistema di piazze, le attuali piazza delle Erbe e piazza della Frutta, dove aveva luogo il mercato. Tra l'antico Palazzo del Consiglio e la parte orientale del Palazzo della Ragione si apre il Volto della Corda, grandioso arco di passaggio verso piazza delle Erbe costruito nel 1277, così denominato perché qui i bugiardi, i falliti, gli imbroglioni, i debitori insolventi venivano colpiti sulla schiena con una corda. Le corde rimanevano sempre appese a cinque anelli di pietra infissi nel muro del Volto per ricordare ai venditori di essere onesti. L'angolo posto sotto al Volto della Corda prende il nome di canton delle busie (angolo delle bugie) perché vi avvenivano gli incontri tra i commercianti. Ancor oggi sono visibili in basso, sulla destra del Volto della corda, le antiche misure padovane scolpite sulla pietra bianca che impedivano ai venditori di imbrogliare gli acquirenti. L'imponente Palazzo della Ragione, termine attribuito in epoca veneziana, è un edificio a pianta trapezoidale dovuta ai vincoli di probabili canali d'acqua che attraversavano quelle che tuttora sono le piazze e che già allora erano una sorta di vivace ipermercato. L'antico edificio assomiglia ad un enorme nave capovolta e poggia su 90 piloni, disposti in quattro ordini. Grande ammirazione destava il Palazzo presso i contemporanei fin dalla sua forma primitiva che aveva la stessa lunghezza di quella attuale, ma una minore altezza ed era anche più stretto perché mancavano le due logge prospicienti le due piazze chiamate al tempo semplicemente piazza Settentrionale e piazza Meridionale, oggi rispettivamente piazza della Frutta e piazza delle Erbe. IL SALONE OGGI Attualmente è utilizzato per grandi esposizioni artistiche e manifestazioni, mentre il pian terreno è tuttora destinato, come nell'antichità, a mercato di generi alimentari. Le vecchie botteghe sotto il Salone costituiscono uno degli angoli più suggestivi e caratteristici di Padova. Ogni bottega è ricca di prodotti alimentari di qualità: formaggi, carni, insaccati, pesce che provengono da tutta Italia. Ci sono anche prodotti locali tipici e novità gastronomiche, vere "chicche" di piacere che ogni commerciante vuole far conoscere nell'ottica di un generale recupero del cibo buono e genuino e di una riscoperta delle tradizioni e dei sapori dimenticati. Di recente è stato restaurato il mercato sotto il Salone di Palazzo della Ragione. Il restauro, che ha interessato anche l'interrato del Palazzo, consente di apprezzare i resti medievali e romani, oltre alla crescita stratigrafica della città. Gli scavi effettuati durante i lavori hanno portato alla luce una struttura organizzata in due gallerie longitudinali ed una trasversale, che fanno emergere le varie sovrapposizioni architettoniche che si sono succedute nel tempo - approfondimento. LA STORIA Quanto alla storia dell'edificio è presumibile pensare che, il luogo ove sorge l'attuale Palazzo, sia stato edificato ed abitato in età precedenti. Sotto il Palazzo rimane infatti memoria dell'età romana e le testine romaniche, scolpite poste sugli stipiti degli archi di accesso al mercato sotto il Salone, ne sono una riprova. Non si conosce la data esatta della costruzione primitiva ma già nel 1166 esisteva la parte inferiore dell'edificio che aveva funzioni pubbliche. La prima realizzazione risale al 1219, ed aveva lo scopo di ospitare i tribunali e gli uffici finanziari, ruolo che ebbe non solo in età comunale, ma, sia pure con uso ridotto, anche durante la signoria Carrarese e tutta la dominazione Veneziana, fino al 1797. Fu però anche sede commerciale, unica funzione questa che mantenne nel tempo. Vi è quindi uno stretto rapporto tra il Salone e la giustizia. L'intensificarsi della mercatura, nell'area delle piazze, invitava il Comune a un intervento regolarizzatore che affermasse anche materialmente la protezione pubblica sulle attività mercantili. I primi statuti che regolano la vita delle città comunali risalgono all'inizio del XII secolo e riguardano soprattutto il commercio e le istituzioni politiche. La forma attuale la si deve a frate Giovanni degli Eremitani che tra il 1306 e il 1309 fece alzare la grande volta in legno a due calotte ed aggiungere il porticato e le logge coprendo le scale. Il tetto fu rifatto a capriate in legno di larice, senza colonne centrali e ricoperto da piastre di piombo. Al grande salone si accedeva attraverso quattro scalinate che prendevano il nome dal mercato che si svolgeva ai loro piedi: la Scala degli uccelli (Scala degli osei) al Volto della Corda, dei ferri lavorati, in piazza delle Erbe, la Scala del vino, sempre in piazza delle Erbe, e della frutta nell'omonima piazza. In epoca comunale doveva esistere un passaggio sospeso (sul genere del Ponte dei Sospiri a Venezia) che dalla piccola loggia portava al palazzo dirimpettaio adibito a prigioni (ora Palazzo delle Debite, ricostruito maldestramente nell'800). L'edificio è attualmente collegato con un volto al palazzo comunale, mentre non esiste più il passaggio per le carceri. Il 17 agosto 1757 un furioso turbine sconvolse il grande edificio distruggendone il tetto e scoperchiandolo. Bartolomeo Ferracina, orologiaio e ingegnere della Serenissima, più noto per la costruzione dell'orologio di piazza San Marco a Venezia e anche autore della ricostruzione del ponte palladiano di Bassano del Grappa, provvide alla riedificazione dell'imponente struttura. Trasferiti i tribunali nel 1797, il Salone fu aperto per grandi riunioni popolari, ricorrenze e feste. L'INTERNO Il grandioso salone interno, di circa 80 metri di lunghezza per 27 metri di larghezza, è coperto da una vertiginosa struttura lignea di forma ogivale (cioè a sesto acuto) alta quasi 40 metri. Particolare curioso è che le misure dei due lati della sala rettangolare non sono uguali. La vasta sala è decorata da circa 500 affreschi. Dagli antichi scrittori sappiamo che Giotto aveva decorato le volte del salone dopo il 1306 con motivi astrologici, soggetti religiosi e figure allegoriche che andarono distrutti nell'incendio del Palazzo del 1420. L'edificio fu subito ricostruito e delle tre originali sale in cui era precedentemente diviso (la Cappella dedicata a S. Prosdocimo, primo vescovo di Padova, che si trovava sul lato orientale, la sala delle udienze dei giudici al centro e le prigioni sul lato occidentale) se ne fece una sola poggiante su archi e pilastri con volte a crociera, ad opera dell'architetto Bartolomeo Rizzo, esperto di costruzioni navali. Il padovano Nicolà Miretto e Stefano da Ferrara furono richiamati a ridipingere il nuovo ciclo astrologico sulla base delle precedenti tracce. Questi affreschi sono divisi in tre zone orizzontali e in dodici verticali, ripartiti in oltre trecento riquadri che raffigurano il sapere astrologico del tempo, cioè l'influsso degli astri e dei cieli sulle attività umane e sui caratteri: sembra che l'ideatore fosse stato il celebre medico, matematico, filosofo e astrologo padovano del tempo Pietro d'Abano, il cui cadavere fu bruciato perché condannato dopo morto per eresia. GLI AFFRESCHI Con una ricca iconografia che riunisce simbologie astrologiche e religiose, ma anche con numerosi richiami alla Serenissima rappresentata dal leone (nel 1420 Padova era già soggetta a Venezia), questo ciclo è tra i più vasti e complessi che si conoscano. La fascia superiore, che inizia con il segno dell'Ariete nella parete sud e che si conclude con il segno dei Pesci sul lato orientale, è divisa in 12 parti, corrispondenti ai 12 mesi dell'anno. Ogni parte è formata da tre file di nove riquadri dove sono riprodotti gli elementi caratteristici del mese: il segno zodiacale, i simboli astrologici dei sette pianeti, i dodici apostoli associati ai dodici mesi, i lavori propri di quel mese con il loro pianeta dominante. Il ciclo costituisce un grande orologio solare perché il sole, al suo sorgere, batte sul segno zodiacale corrispondente alla posizione astronomica in cui si trova il sole. La fascia inferiore raffigura soggetti religiosi inframmezzati a figure d'animali sotto le quali i giudici e i notai sedevano per risolvere le varie cause. Chi veniva citato in processo riceveva una carta con sopra il simbolo del giudice che l'avrebbe giudicato e quindi al popolo, che all'epoca contava un'alta percentuale di analfabeti, per individuare il proprio giudice bastava ricordare la figura dell'animale. Nel pavimento del salone, nella direzione della larghezza, c'è una striscia bianca e nera: è il segno del 12° meridiano che passa per Padova. Su di esso battono i raggi del sole che entrano dalla bocca della faccia dorata che sta sulla parete verso piazza delle Erbe. LE ALTRE DECORAZIONI Col tempo altri affreschi votivi furono aggiunti, assieme a monumenti tra i quali, sulla parete occidentale, una lapide tombale romana, all'epoca attribuita al poeta padovano Tito Livio, e il medaglione dell'esploratore padovano Giambattista Belzoni. Accanto è collocata la famosa Pietra del Vituperio, detta anche del fallimento, un blocco di porfido nero su una base quadrata a tre gradini. La Pietra del Vituperio è testimone del singolare intervento di Frate Antonio che, presentandosi davanti al Consiglio Maggiore nel 1231 per perorare la causa dei debitori insolventi e dei falliti, era riuscito a modificare lo Statuto e a far abolire i tratti di corda e il carcere perpetuo a cui venivano prima condannati i debitori; come pena però il debitore insolvente veniva obbligato a spogliarsi, rimanendo con la sola camicia e in mutande (da cui il proverbio "restar in braghe de tela"), e alla presenza di almeno cento persone doveva sedersi per tre volte sulla pietra ripetendo "cedo bonis" (rinuncio ai beni) e poi lasciare la città per rifarsi una vita. Se però fosse rientrato senza il consenso dei creditori, sarebbe stato nuovamente costretto a sedere sulla Pietra del Vituperio e in più gli sarebbero stati gettati addosso tre secchi d'acqua. Dall'intervento di frate Antonio o immediatamente dopo, la pietra fu posta al centro del salone e conservò per secoli il suo posto servendo talvolta anche al bando di editti pubblici; ora la stessa si trova alla destra dell'entrata principale. All'interno della sala vi è anche un cavallo ligneo che fu donato al Comune nel 1837 dalla famiglia Capodilista la quale lo fece realizzare per una giostra o un torneo nel 1466. Il cavallo fu attribuito erroneamente a Donatello per la somiglianza col quello del Gattamelata in piazza del Santo. Nella sala sono inoltre numerosi gli orologi, le meridiane e gli strumenti di misurazione del tempo. Il PENDOLO DI FOUCAULT All'interno del Palazzo della Ragione è possibile vedere la realizzazione del famoso pendolo, allestito su progetto scientifico del prof. Giacomo Torzo del Dipartimento di fisica dell'Università di Padova; il pendolo rientra nelle iniziative di divulgazione scientifica promosse dall'Amministrazione comunale. Info: Palazzo della Ragione, ingresso dalla "Scala dei Ferri", piazza delle Erbe ingresso disabili da via VIII febbraio tel. +39 049 8205006 orario:da martedì a domenica, 1 febbraio/31 ottobre 09:00-19:00; 1 novembre/31 gennaio 09:00-18:00 chiuso tutti i lunedì non festivi; Natale, S. Stefano, Capodanno, I maggio biglietti: intero euro 10,00, ridotto euro 8,00 gratuito: fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide in caso di mostre le tariffe possono subire variazioni ingresso consentito fino a mezz'ora prima della chiusura chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S. Stefano, Capodanno, I Maggio ------------------------------------------------------------------------- SOTTERRANEI DEL PALAZZO DELLA RAGIONE Gli scavi archeologici effettuati nel 1990 dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici del Veneto, sotto il Palazzo della Ragione, hanno messo in luce i resti degli edifici medievali preesistenti, abbattuti appositamente per la sua costruzione nel 1218. Il percorso permette di scoprire importanti tracce di costruzioni come torri, case fortificate, un palazzo pubblico, un pozzo ... I lavori hanno messo in luce un interessante spaccato delle vicende edilizie che si succedettero, per lunghi secoli, in quest'area centralissima di Padova, evidenziando un'immagine chiara e articolata della crescita stratigrafica della città dall'età romana sino alla costruzione del Palazzo duecentesco. Mentre erano in corso gli scavi archeologici, la ristrutturazione di una bottega portò casualmente alla scoperta, sotto il pavimento, di un'ampia camera sotterranea, in parte colmata di terra e macerie. Il cantinone (così fu subito battezzato) fu realizzato sempre nel corso del Duecento. Il saggio di approfondimento, realizzato a circa 7 metri di profondità rispetto alla quota di calpestio del soprastante Palazzo nella galleria sud ha portato alla luce la parte, oggi lasciata a vista, di un ambiente di età romana. I resti corrispondono alla piccola porzione di un edificio, una domus, costruito a sua volta sopra strutture più antiche, dai muri intonacati e affrescati, in partre realizzati in laterizi e in parte in argilla cruda, con un pavimento a tessere musive bianche e nere, che la centro poteva presentare una decorazione più ricca, in mosaico o in marmo. La domus, dopo una fase di abbandono, subì l'asportazione di alcune sue parti, tra le quali un'ampia porzione del pavimento della stanza. A seguito di un incendio si verificarono i crolli del tetto e dei muri. Una moneta rinvenuta sotto i crolli indica che la distruzione finale avvenne nel II secolo d. C. o poco dopo. In età tardoantica e altomedievale si forma progressivamente un interro di notevole spessore, in parte originato da scarichi di macerie e interessato, negli ultimi secoli prima del Palazzo della Ragione, dallo scavo di ampie fosse. L’ingresso è sotto al Salone, nel corridoio centrale che unisce Piazza delle Erbe a Piazza dei Frutti, dove è visibile la grata metallica e le scale che scendono nel sottosuolo. La visita didattica, condotta da archeologhe, dura 1 ora. Associazione Arc.A.Dia Info Palazzo della Ragione, piazza delle Erbe biglietto: euro 4,00, gratuito bambini fino ai 7 anni orario: martedì e giovedi dalle 16:00 alle 18:00, sabato dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 18:00 visite su prenotazione tel. 333 6799660, 339 7866957 e-mail arcadiadidattica@gmail.com
Piazza della Frutta è una delle numerose piazze che caratterizzano il centro storico di Padova. Fu per secoli, con Piazza delle Erbe, il centro commerciale della città. Nelle due piazze si svolge uno dei più grandi mercati d'Italia. La piazza è dominata dalla mole del Palazzo della Ragione, parte del grande Palazzo Comunale e dalla Torre degli Anziani. Caratterizza la piazza la Colonna del Peronio. La piazza può essere chiamata anche Piazza delle Frutta, secondo un antico uso che prevede il plurale femminile in -a della parola 'il frutto'.“ Una volta era chiamata del "Peronio", perché si vendevano vicino ad una colonna, zoccoli e stivaletti detti in latino "perones". Questa colonna romanica, tuttora visibile all'imbocco di via Breda, è sormontata da un capitello ai cui angoli sono raffigurati una zucca, una palma, un melocotogno, un albero di pere. Sopra il capitello c'è un parallelepipedo in pietra d'Istria, nel quale è raffigurato lo stemma della città di Padova, cioè uno scudo con croce e San Prosdocimo, primo vescovo della città. Nella piazza, il giorno del "zobia masa", cioè il primo giovedì di maggio, la Fraglia degli "strazzaroli", rigattieri e commercianti di roba usata, dava spettacolo con l'albero della cuccagna. Il premio consisteva in una borsa e dei guanti, per questo era chiamata "Festa della Borsa". Una borsa marmorea è scolpita a ricordo, sul palazzo in via Marsilio da Padova, angolo via Gorizia. Nell'animata Piazza della Frutta, si vendevano pesce e selvaggina, uova e pollame, carne arrostita come porchetta e piedi di bue cotti, le erbe, vale a dire le verdure, e infine uccelli pregiati come i falconi. Anche in questo caso le due scale attraverso cui si accedeva al Palazzo della Ragione presero il nome dalle merci esposte e vendute e furono così chiamate Scala delle Erbe e Scala degli Osei. Dalla fine del XII secolo vi si svolge ancora oggi il mercato popolare di frutta e verdura, con bancarelle in legno su ruote. STORIA L'area era vivace in età preromana come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici. Secondo alcuni era sede di commerci già in età imperiale, ma deve l'attuale conformazione ai secoli X e XI. Lo spazio venne occupato da numerose botteghe e banchi che vendevano ogni genere di merce, soprattutto verdura e pollame. Fu con la costruzione del Palazzo della Ragione agli inizi del Duecento che si tentò di disporre i vari punti di vendita: sotto il salone si installarono i venditori di tessuti, di pellicce, mentre ai piedi delle scaloni del palazzo che riguardavano la piazza si installarono i tendoni dei venditori di pollame e selvaggina (la Scala dei Osei, a levante) e di frutta e verdura (la Scala dee Erbe, a ponente) mentre nello spazio si installarono i banchi semovibili dei venditori di calzature e di cuoio. Sotto la Torre degli Anziani v'erano i venditori di sale mentre nel angolo poi chiamato Canton dee Busie dove i commercianti tenevano scambi non onesti si scolpirono le unità di misura padovane, che potessero servire per sfatare compravendite ingannevoli. Giovanni da Nono nella sua Visio Egidii testimoniò con gran precisione l'ampliamento del Palazzo della Ragione nel 1309 e la disposizione delle botteghe i quel tempo. Nel Seicento e nel Settecento si sistemarono le case medievali a settentrione, con la rettifica dei porticati. Nella prima metà dell'Ottocento furono definitivamente eliminate le balconate sostenute da colonne di legno dalle case di ponente e settentrione mentre all'inizio del Novecento fu sistemata la cortina di case a levante con l'allargamento della contrà del sale, poi via Oberdan. La palazzina neoclassica in all'angolo nord-ovest è architettura di Antonio Noale.
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Piazza della Frutta
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Piazza della Frutta è una delle numerose piazze che caratterizzano il centro storico di Padova. Fu per secoli, con Piazza delle Erbe, il centro commerciale della città. Nelle due piazze si svolge uno dei più grandi mercati d'Italia. La piazza è dominata dalla mole del Palazzo della Ragione, parte del grande Palazzo Comunale e dalla Torre degli Anziani. Caratterizza la piazza la Colonna del Peronio. La piazza può essere chiamata anche Piazza delle Frutta, secondo un antico uso che prevede il plurale femminile in -a della parola 'il frutto'.“ Una volta era chiamata del "Peronio", perché si vendevano vicino ad una colonna, zoccoli e stivaletti detti in latino "perones". Questa colonna romanica, tuttora visibile all'imbocco di via Breda, è sormontata da un capitello ai cui angoli sono raffigurati una zucca, una palma, un melocotogno, un albero di pere. Sopra il capitello c'è un parallelepipedo in pietra d'Istria, nel quale è raffigurato lo stemma della città di Padova, cioè uno scudo con croce e San Prosdocimo, primo vescovo della città. Nella piazza, il giorno del "zobia masa", cioè il primo giovedì di maggio, la Fraglia degli "strazzaroli", rigattieri e commercianti di roba usata, dava spettacolo con l'albero della cuccagna. Il premio consisteva in una borsa e dei guanti, per questo era chiamata "Festa della Borsa". Una borsa marmorea è scolpita a ricordo, sul palazzo in via Marsilio da Padova, angolo via Gorizia. Nell'animata Piazza della Frutta, si vendevano pesce e selvaggina, uova e pollame, carne arrostita come porchetta e piedi di bue cotti, le erbe, vale a dire le verdure, e infine uccelli pregiati come i falconi. Anche in questo caso le due scale attraverso cui si accedeva al Palazzo della Ragione presero il nome dalle merci esposte e vendute e furono così chiamate Scala delle Erbe e Scala degli Osei. Dalla fine del XII secolo vi si svolge ancora oggi il mercato popolare di frutta e verdura, con bancarelle in legno su ruote. STORIA L'area era vivace in età preromana come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici. Secondo alcuni era sede di commerci già in età imperiale, ma deve l'attuale conformazione ai secoli X e XI. Lo spazio venne occupato da numerose botteghe e banchi che vendevano ogni genere di merce, soprattutto verdura e pollame. Fu con la costruzione del Palazzo della Ragione agli inizi del Duecento che si tentò di disporre i vari punti di vendita: sotto il salone si installarono i venditori di tessuti, di pellicce, mentre ai piedi delle scaloni del palazzo che riguardavano la piazza si installarono i tendoni dei venditori di pollame e selvaggina (la Scala dei Osei, a levante) e di frutta e verdura (la Scala dee Erbe, a ponente) mentre nello spazio si installarono i banchi semovibili dei venditori di calzature e di cuoio. Sotto la Torre degli Anziani v'erano i venditori di sale mentre nel angolo poi chiamato Canton dee Busie dove i commercianti tenevano scambi non onesti si scolpirono le unità di misura padovane, che potessero servire per sfatare compravendite ingannevoli. Giovanni da Nono nella sua Visio Egidii testimoniò con gran precisione l'ampliamento del Palazzo della Ragione nel 1309 e la disposizione delle botteghe i quel tempo. Nel Seicento e nel Settecento si sistemarono le case medievali a settentrione, con la rettifica dei porticati. Nella prima metà dell'Ottocento furono definitivamente eliminate le balconate sostenute da colonne di legno dalle case di ponente e settentrione mentre all'inizio del Novecento fu sistemata la cortina di case a levante con l'allargamento della contrà del sale, poi via Oberdan. La palazzina neoclassica in all'angolo nord-ovest è architettura di Antonio Noale.
Piazza delle Erbe chiamata un tempo anche Piazza delle Biade o Piazza del Vino ma anche Piazza della Giustizia è una delle numerose piazze che caratterizzano il centro storico di Padova. Fu per secoli, con Piazza della Frutta, il centro commerciale della città. Nelle due piazze si svolge uno dei più grandi mercati d'Italia. A differenza di Piazza dei Signori, teatro delle celebrazioni civiche, Piazza delle Erbe era sede dei festeggiamenti popolareschi. La piazza è dominata dalla mole del Palazzo della Ragione, parte del grande Palazzo Comunale. L'AREA. L'area era vivace in età preromana come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici. Secondo alcuni era sede di commerci già in età imperiale, ma deve l'attuale conformazione ai secoli X e XI. Lo spazio venne occupato da numerose botteghe e banchi che vendevano ogni genere di merce, dal commestibile ai generi di lusso. Fu con la costruzione del Palazzo della Ragione agli inizi del Duecento che si tentò di disporre i vari punti di vendita: sotto il salone si installarono i venditori di tessuti, di pellicce, mentre ai piedi delle scaloni del palazzo che riguardavano la piazza si installarono i tendoni dei venditori di ferro battuto (la Scala dei Feri, a levante) e di vino (la Scala del Vin, a ponente) mentre nello spazio si installarono i banchi semovibili dei venditori di granaglie e di cuoio. Sotto il Palazzo del Podestà si aprirono le botteghe degli oresi (orefici). Nel 1302 si cercò di ampliare lo spazio con la demolizione del fondaco dei giubbettieri - posto dove ora si trova la fontana - conformando la piazza come la si vede ora, con la particolare posizione prominente del Palazzo del Podestà. Giovanni da Nono nella sua Visio Egidii testimoniò con gran precisione l'ampliamento del Palazzo della Ragione nel 1309 e la disposizione delle botteghe i quel tempo. Nel Settecento si sistemarono le case medievali a meridione, con la rettifica dei porticati. Nel 1874, sul luogo delle prigioni a ponente fu costruito il Palazzo delle Debite mentre agli inizi del Novecento fu conclusa l'ala Moschini sul luogo del trecentesco Fondaco delle Biade. IL POZZO. Nella piazza, sotto al Palazzo del Podestà si trovava un antico pozzo. Nell'agosto del 1785 fu adornato con la vera del pozzo che esisteva in piazza dei Signori, chiuso e spianato quel mese per decoro della piazza. Nel corso dell'800 il pozzo fu oggetto di aspre critiche, soprattutto in merito all'incuria igienica nell'uso delle secchie per attingere l'acqua. Venne definitivamente spianato e coperto da tombino - visibile sul selciato - nel 1930, quando venne costruita l'attuale fontana monumentale. La piazza, pavimentata nel medioevo, venne lastricata in più riprese nel corso del Settecento e radicalmente nel 1867. La piazza nel giorno di San Giacomo di ogni anno ospitava fastosamente l'arrivo della Corsa del Palio i "Ludi Carraresi" istituiti dalla cittadinanza nel 1382[1] per festeggiare la signoria carrarese e commemorare la salita al potere di Giacomo I da Carrara, avvenuta il 28 giugno 1318, giorno della festa di San Giacomo. Il cavaliere che per primo giungeva nella piazza - partito in corsa da Voltabarozzo - avrebbe vinto il pallio, un brano di prezioso tessuto serico, mentre il secondo un'oca giovine, il terzo una civetta. OTTOCENTO. Sino al 1864 sulla loggia del Palazzo della Ragione si estraevano i numeri del gioco del Lotto e li venivano declamati alla folla assiepata nella piazza. La piazza fu teatro delle esecuzioni capitali fin dal medioevo, con Piazza Castello. Era appunto chiamata anche Piazza della Giustizia e la statua della Giustizia con la spada e la bilancia, posta sopra la Torre degli Anziani guardava proprio sul luogo dove veniva montato il palco per le esecuzioni, sotto le finestre del Palazzo del Podestà. Luogo di pena capitale furono anche le logge del Palazzo della Ragione e la scala dei Feri - o della Giustizia, appunto - dove guardava un'altra statua della Giustizia. Ad assistere i condannati erano i Confratelli della Scuola di San Giovanni della morte. ESECUZIONI IN PIAZZA. Il 13 gennaio 1374 vennero decapitati con l'accusa di tradimento Alvise Forzatè e suo figlio Filippo: compita adunque di legiere la sua condanasione, fu tolto misser Luixe Forzatè e menato sovra la piaza dala biava de chavo dala scalla dila iustizia che va verso i feraruoli, dove ivi era distexa una stuora con l'artificio dila iusticia, e fatto misser Luixe ponere sovra dita stura distexo, gli fu per magistro Iacomo da Bologna, manigoldo, tagliato il collo via dal busto, per muodo che l'anima si parti dal corpo. Può fu tolto Filipino Forzatè e menato dal'altro cavo dila scalla, che va giuso ai daci; e per lo simille gli fu tagliato il collo dale spalle, per mudo che mori: i corpi di quali fu portati a sopelire nele sue arche a Santo Agostino (Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca Carrarese). Albertino da Peraga nel 1387 fu pubblicamente decapitato sul poggiuolo del palazzo verso la piazza delle biade per essersi schierato con Gian Galeazzo Visconti. Nel 1615 Giulio da Napoli, condannato per furto sacrilego commesso ad Anguillara, venne portato su una carretta dal Palazzo della Ragione fino a Porta Santa Croce dove gli si mozzò la mano destra. Fatto ritorno alla piazza con la mano mozza appesa al collo, venne li impiccato ed arso. La piazza ha forma trapezoidale, irregolare. Tutti i giorni lavorativi ospita al mattino i banchi del mercato ortofrutticolo. Al pomeriggio numerosi bar occupano lo spazio con sedie e tavolini e vengono occupati da padovani e turisti per il rito dell'aperitivo che anima la piazza sino a tarda sera. A ponente domina il Palazzo delle Debite e l'imbocco dell'antica contrà delle Beccherie Vecchie (ora via Daniele Manin) che corre verso Piazza Duomo. A levante domina l'ala Moschini e l'imbocco alla contrà San Canziano verso il Canton del Gallo. A meridione si affacciano alte case parallele alla strada carrabile. Sono di età medievale, ma mostrano portici di varie epoche e stili. Monumentali quelli sull'angolo sud - ovest, nei pressi della chiesa di San Canziano. Si aprono verso il ghetto le vie dei Fabbri (detta un tempo Ebrerie) e l'antica strada delle Caneve (ora via Squarcione) dove si trovavano numerose osterie alla buona. A settentrione si erge monumentale il Palazzo della Ragione con le numerose logge ed il cinquecentesco Palazzo del Podestà.
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Piazza delle Erbe
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Piazza delle Erbe chiamata un tempo anche Piazza delle Biade o Piazza del Vino ma anche Piazza della Giustizia è una delle numerose piazze che caratterizzano il centro storico di Padova. Fu per secoli, con Piazza della Frutta, il centro commerciale della città. Nelle due piazze si svolge uno dei più grandi mercati d'Italia. A differenza di Piazza dei Signori, teatro delle celebrazioni civiche, Piazza delle Erbe era sede dei festeggiamenti popolareschi. La piazza è dominata dalla mole del Palazzo della Ragione, parte del grande Palazzo Comunale. L'AREA. L'area era vivace in età preromana come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici. Secondo alcuni era sede di commerci già in età imperiale, ma deve l'attuale conformazione ai secoli X e XI. Lo spazio venne occupato da numerose botteghe e banchi che vendevano ogni genere di merce, dal commestibile ai generi di lusso. Fu con la costruzione del Palazzo della Ragione agli inizi del Duecento che si tentò di disporre i vari punti di vendita: sotto il salone si installarono i venditori di tessuti, di pellicce, mentre ai piedi delle scaloni del palazzo che riguardavano la piazza si installarono i tendoni dei venditori di ferro battuto (la Scala dei Feri, a levante) e di vino (la Scala del Vin, a ponente) mentre nello spazio si installarono i banchi semovibili dei venditori di granaglie e di cuoio. Sotto il Palazzo del Podestà si aprirono le botteghe degli oresi (orefici). Nel 1302 si cercò di ampliare lo spazio con la demolizione del fondaco dei giubbettieri - posto dove ora si trova la fontana - conformando la piazza come la si vede ora, con la particolare posizione prominente del Palazzo del Podestà. Giovanni da Nono nella sua Visio Egidii testimoniò con gran precisione l'ampliamento del Palazzo della Ragione nel 1309 e la disposizione delle botteghe i quel tempo. Nel Settecento si sistemarono le case medievali a meridione, con la rettifica dei porticati. Nel 1874, sul luogo delle prigioni a ponente fu costruito il Palazzo delle Debite mentre agli inizi del Novecento fu conclusa l'ala Moschini sul luogo del trecentesco Fondaco delle Biade. IL POZZO. Nella piazza, sotto al Palazzo del Podestà si trovava un antico pozzo. Nell'agosto del 1785 fu adornato con la vera del pozzo che esisteva in piazza dei Signori, chiuso e spianato quel mese per decoro della piazza. Nel corso dell'800 il pozzo fu oggetto di aspre critiche, soprattutto in merito all'incuria igienica nell'uso delle secchie per attingere l'acqua. Venne definitivamente spianato e coperto da tombino - visibile sul selciato - nel 1930, quando venne costruita l'attuale fontana monumentale. La piazza, pavimentata nel medioevo, venne lastricata in più riprese nel corso del Settecento e radicalmente nel 1867. La piazza nel giorno di San Giacomo di ogni anno ospitava fastosamente l'arrivo della Corsa del Palio i "Ludi Carraresi" istituiti dalla cittadinanza nel 1382[1] per festeggiare la signoria carrarese e commemorare la salita al potere di Giacomo I da Carrara, avvenuta il 28 giugno 1318, giorno della festa di San Giacomo. Il cavaliere che per primo giungeva nella piazza - partito in corsa da Voltabarozzo - avrebbe vinto il pallio, un brano di prezioso tessuto serico, mentre il secondo un'oca giovine, il terzo una civetta. OTTOCENTO. Sino al 1864 sulla loggia del Palazzo della Ragione si estraevano i numeri del gioco del Lotto e li venivano declamati alla folla assiepata nella piazza. La piazza fu teatro delle esecuzioni capitali fin dal medioevo, con Piazza Castello. Era appunto chiamata anche Piazza della Giustizia e la statua della Giustizia con la spada e la bilancia, posta sopra la Torre degli Anziani guardava proprio sul luogo dove veniva montato il palco per le esecuzioni, sotto le finestre del Palazzo del Podestà. Luogo di pena capitale furono anche le logge del Palazzo della Ragione e la scala dei Feri - o della Giustizia, appunto - dove guardava un'altra statua della Giustizia. Ad assistere i condannati erano i Confratelli della Scuola di San Giovanni della morte. ESECUZIONI IN PIAZZA. Il 13 gennaio 1374 vennero decapitati con l'accusa di tradimento Alvise Forzatè e suo figlio Filippo: compita adunque di legiere la sua condanasione, fu tolto misser Luixe Forzatè e menato sovra la piaza dala biava de chavo dala scalla dila iustizia che va verso i feraruoli, dove ivi era distexa una stuora con l'artificio dila iusticia, e fatto misser Luixe ponere sovra dita stura distexo, gli fu per magistro Iacomo da Bologna, manigoldo, tagliato il collo via dal busto, per muodo che l'anima si parti dal corpo. Può fu tolto Filipino Forzatè e menato dal'altro cavo dila scalla, che va giuso ai daci; e per lo simille gli fu tagliato il collo dale spalle, per mudo che mori: i corpi di quali fu portati a sopelire nele sue arche a Santo Agostino (Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca Carrarese). Albertino da Peraga nel 1387 fu pubblicamente decapitato sul poggiuolo del palazzo verso la piazza delle biade per essersi schierato con Gian Galeazzo Visconti. Nel 1615 Giulio da Napoli, condannato per furto sacrilego commesso ad Anguillara, venne portato su una carretta dal Palazzo della Ragione fino a Porta Santa Croce dove gli si mozzò la mano destra. Fatto ritorno alla piazza con la mano mozza appesa al collo, venne li impiccato ed arso. La piazza ha forma trapezoidale, irregolare. Tutti i giorni lavorativi ospita al mattino i banchi del mercato ortofrutticolo. Al pomeriggio numerosi bar occupano lo spazio con sedie e tavolini e vengono occupati da padovani e turisti per il rito dell'aperitivo che anima la piazza sino a tarda sera. A ponente domina il Palazzo delle Debite e l'imbocco dell'antica contrà delle Beccherie Vecchie (ora via Daniele Manin) che corre verso Piazza Duomo. A levante domina l'ala Moschini e l'imbocco alla contrà San Canziano verso il Canton del Gallo. A meridione si affacciano alte case parallele alla strada carrabile. Sono di età medievale, ma mostrano portici di varie epoche e stili. Monumentali quelli sull'angolo sud - ovest, nei pressi della chiesa di San Canziano. Si aprono verso il ghetto le vie dei Fabbri (detta un tempo Ebrerie) e l'antica strada delle Caneve (ora via Squarcione) dove si trovavano numerose osterie alla buona. A settentrione si erge monumentale il Palazzo della Ragione con le numerose logge ed il cinquecentesco Palazzo del Podestà.
La piazza Ampie e belle piazze ornano la nostra città che nel XVII secolo si gloriava di avere nove piazze, 38 ponti e 24 borghi. Piazza dei Signori, uno degli spazi più suggestivi e vitali di Padova, una delle piazze simbolo della sua storia ma anche del suo presente vivace e attivo, è così chiamata perché qui sorgeva il "Palazzo della Signoria", la Reggia dei Carraresi, Signori di Padova dal 1318 al 1405. La piazza si adattava meravigliosamente alle riunioni e al passeggio dei nobili. Dal popolo fu dapprima chiamata della "Desolazione", per i ruderi dei palazzi, demoliti dalle opposte fazioni o partiti; poi dei "Trionfi", per la magnifiche feste che vi si svolgevano. Il 9 maggio 1848, dopo un infervorato discorso del Padre Alessandro Gavazzi, per raccogliere fondi, armi e uomini da arruolare "sotto la santa bandiera dei Crociati, combattenti per la liberazione del Veneto dal giogo austriaco" fu solennemente imposto alla Piazza il nome di Pio IX. In tempi a noi vicini fu anche chiamata "Piazza Unità d'Italia", ma poi si ritornò al vecchio nome. Qui si facevano le giostre, i tornei e al giovedì grasso si rappresentava la caccia al toro. Nel 1500 qui era l'arrivo della "Corsa degli asini, delle putte (ragazze) e degli ebrei" che partiva dalla Porta dei Molini. La festa si faceva in ricordo della vittoria e della conquista della nostra città, compiuta dai veneziani nel 1509, combattendo contro l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Per i padovani fare una passeggiata e raggiungere le piazze del centro storico, come Piazza della Frutta, delle Erbe e dei Signori, significa entrare ed immergersi nei mercati che tradizionalmente ogni mattina animano la città, e far la spesa, al tempo stesso, è un piacere, un appuntamento, una sorta di rito quotidiano. Ma la fretta, la distrazione, la confusione e l'abitudine ci distolgono dall'alzare gli occhi e dall'ammirare l'architettura delle case, dei palazzi storici che in ogni piazza fanno da cornice. Piazza dei Signori è racchiusa lungo i due lati maggiori tra due quinte di facciate di case porticate, elegantemente arricchite da terrazze con antichi poggioli in ferro battuto, e delimitata poi dalla Chiesa di S.Clemente e il Palazzo del Capitanio, con la Torre dell'Orologio per il cui portico si sbocca in Corte Capitaniato e nella vicina omonima piazza, dove sorgeva il Castello dei Carraresi, signori di Padova e dove ora c'è l'edificio del Liviano, sede della facoltà di Lettere e Filosofia, con sale dipinte da Altichiero. Sul lato meridionale spicca l'elegante Loggia del Consiglio o Gran Guardia, l'edificio cinquecentesco dove si riuniva il Maggior Consiglio cittadino, di cui possiamo apprezzare il recente restauro, avvenuto con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio. Sul lato che guarda la Torre dell'Orologio, un Leone di S.Marco che dall'alta colonna romana in marmo, domina la piazza e richiama la memoria alla Serenissima; infatti dopo essere stato abbattuto dai francesi nel 1797, fu poi sostituito nel 1870 con l'attuale scolpito da Natale Sanavio. Sul selciato della piazza, dalla parte di Via Dante, a circa due metri dal pennone della bandiera, a un metro e mezzo dal bordo della strada, possiamo vedere una pietra con una curiosa incisione: "Una lira (lo strumento musicale), le iniziali P.G. e la data 15.07.81". Lo Scorzon raccontò che un tempo, sotto il portico, tra via Dante e via N. Sauro, si trovava il caffè Genio. D'estate, nella veranda del caffè, si sedevano le mamme con le figlie alla ricerca di un buon partito. Tra i tanti bei ragazzi in passeggiata davanti al caffè, si fece notare un ricco ed elegante giovane di provincia che portava una cravatta su cui era appuntata una spilla a forma di "lira". I primi di luglio del 1881 il giovane smarrì la spilla durante il passeggio senza ritrovarla più. Il 15 luglio tornò in città e rifacendo lo stesso percorso ritrovò la sua spilla su una pietra del selciato. Decise così di far incidere sulla pietra l'oggetto la lui tanto caro, le sue iniziali e la data del ritrovamento. Piazza dei Signori la mattina è un vero e proprio punto di incontro per chi desidera fare un acquisto nei tanti negozi o soffermarsi fra le bancarelle a curiosare fra la merce esposta, ma dal pomeriggio, quando gli ambulanti chiudono la loro attività, la piazza cambia d'abito, si veste di armonia, lasciando libero lo scorcio dei portici. Le case che si affacciano sulla piazza, di epoche varie, soprattutto ottocentesche, godono del privilegio di essere in prima fila e di poter assistere allo spettacolo che ogni giorno la piazza offre con i colori del mercato e le magnificenze dell'architettura. Piazza dei Signori mantiene ancora oggi il ruolo di salotto cittadino, con gli eleganti negozi, il tradizionale mercato e la bellezza dei monumenti che coronano e completano lo scenario. Un angolo di Padova in cui sono custodite e riunite significative testimonianze della storia, delle tradizioni e dell'arte della città.
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Piazza dei Signori
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La piazza Ampie e belle piazze ornano la nostra città che nel XVII secolo si gloriava di avere nove piazze, 38 ponti e 24 borghi. Piazza dei Signori, uno degli spazi più suggestivi e vitali di Padova, una delle piazze simbolo della sua storia ma anche del suo presente vivace e attivo, è così chiamata perché qui sorgeva il "Palazzo della Signoria", la Reggia dei Carraresi, Signori di Padova dal 1318 al 1405. La piazza si adattava meravigliosamente alle riunioni e al passeggio dei nobili. Dal popolo fu dapprima chiamata della "Desolazione", per i ruderi dei palazzi, demoliti dalle opposte fazioni o partiti; poi dei "Trionfi", per la magnifiche feste che vi si svolgevano. Il 9 maggio 1848, dopo un infervorato discorso del Padre Alessandro Gavazzi, per raccogliere fondi, armi e uomini da arruolare "sotto la santa bandiera dei Crociati, combattenti per la liberazione del Veneto dal giogo austriaco" fu solennemente imposto alla Piazza il nome di Pio IX. In tempi a noi vicini fu anche chiamata "Piazza Unità d'Italia", ma poi si ritornò al vecchio nome. Qui si facevano le giostre, i tornei e al giovedì grasso si rappresentava la caccia al toro. Nel 1500 qui era l'arrivo della "Corsa degli asini, delle putte (ragazze) e degli ebrei" che partiva dalla Porta dei Molini. La festa si faceva in ricordo della vittoria e della conquista della nostra città, compiuta dai veneziani nel 1509, combattendo contro l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Per i padovani fare una passeggiata e raggiungere le piazze del centro storico, come Piazza della Frutta, delle Erbe e dei Signori, significa entrare ed immergersi nei mercati che tradizionalmente ogni mattina animano la città, e far la spesa, al tempo stesso, è un piacere, un appuntamento, una sorta di rito quotidiano. Ma la fretta, la distrazione, la confusione e l'abitudine ci distolgono dall'alzare gli occhi e dall'ammirare l'architettura delle case, dei palazzi storici che in ogni piazza fanno da cornice. Piazza dei Signori è racchiusa lungo i due lati maggiori tra due quinte di facciate di case porticate, elegantemente arricchite da terrazze con antichi poggioli in ferro battuto, e delimitata poi dalla Chiesa di S.Clemente e il Palazzo del Capitanio, con la Torre dell'Orologio per il cui portico si sbocca in Corte Capitaniato e nella vicina omonima piazza, dove sorgeva il Castello dei Carraresi, signori di Padova e dove ora c'è l'edificio del Liviano, sede della facoltà di Lettere e Filosofia, con sale dipinte da Altichiero. Sul lato meridionale spicca l'elegante Loggia del Consiglio o Gran Guardia, l'edificio cinquecentesco dove si riuniva il Maggior Consiglio cittadino, di cui possiamo apprezzare il recente restauro, avvenuto con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio. Sul lato che guarda la Torre dell'Orologio, un Leone di S.Marco che dall'alta colonna romana in marmo, domina la piazza e richiama la memoria alla Serenissima; infatti dopo essere stato abbattuto dai francesi nel 1797, fu poi sostituito nel 1870 con l'attuale scolpito da Natale Sanavio. Sul selciato della piazza, dalla parte di Via Dante, a circa due metri dal pennone della bandiera, a un metro e mezzo dal bordo della strada, possiamo vedere una pietra con una curiosa incisione: "Una lira (lo strumento musicale), le iniziali P.G. e la data 15.07.81". Lo Scorzon raccontò che un tempo, sotto il portico, tra via Dante e via N. Sauro, si trovava il caffè Genio. D'estate, nella veranda del caffè, si sedevano le mamme con le figlie alla ricerca di un buon partito. Tra i tanti bei ragazzi in passeggiata davanti al caffè, si fece notare un ricco ed elegante giovane di provincia che portava una cravatta su cui era appuntata una spilla a forma di "lira". I primi di luglio del 1881 il giovane smarrì la spilla durante il passeggio senza ritrovarla più. Il 15 luglio tornò in città e rifacendo lo stesso percorso ritrovò la sua spilla su una pietra del selciato. Decise così di far incidere sulla pietra l'oggetto la lui tanto caro, le sue iniziali e la data del ritrovamento. Piazza dei Signori la mattina è un vero e proprio punto di incontro per chi desidera fare un acquisto nei tanti negozi o soffermarsi fra le bancarelle a curiosare fra la merce esposta, ma dal pomeriggio, quando gli ambulanti chiudono la loro attività, la piazza cambia d'abito, si veste di armonia, lasciando libero lo scorcio dei portici. Le case che si affacciano sulla piazza, di epoche varie, soprattutto ottocentesche, godono del privilegio di essere in prima fila e di poter assistere allo spettacolo che ogni giorno la piazza offre con i colori del mercato e le magnificenze dell'architettura. Piazza dei Signori mantiene ancora oggi il ruolo di salotto cittadino, con gli eleganti negozi, il tradizionale mercato e la bellezza dei monumenti che coronano e completano lo scenario. Un angolo di Padova in cui sono custodite e riunite significative testimonianze della storia, delle tradizioni e dell'arte della città.
Corte Capitaniato oggi Piazza Capitaniato è una piazza storica della città di Padova. Si raggiunge passando da piazza dei Signori sotto la Torre dell'Orologio, la porta del Capitaniato passaggio chiamato Soto ea scavesà (letteralmente: sotto la spezzata), caduto in disuso verso la fine del XX secolo. LA STORIA. Lo spazio era in origine un cortile della reggia Carrarese, voluta da Ubertino da Carrara nel XIV secolo. Circondata da edifici adibiti a vario uso, su tutti la grande costruzione ospitante la Sala dei Giganti. La corte accrebbe di importanze al tempo della dominazione veneziana, quando negli edifici dei carraresi si installò il Capitanio e esponenti dell'amministrazione padovana. Nell'antico cortile, che prese il nome di corte Capitaniato, trovarono posto la sede della curia, gli uffici amministrativi, le scuderie, le aree per le esercitazioni e le abitazioni delle guardie. I capitani veneziani erano responsabili degli affari di carattere militare ed affiancavano il podestà, al quale era demandata la gestione dell'amministrazione civile. STRUTTURA. Sul lato est si trova il lato posteriore della torre dell'Orologio e del palazzo del Capitanio, sede oggi di uffici comunali e del dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (fisppa) dell'Università degli Studi di Padova. Sul lato sud si affaccia la sede della Scuola di Scienze Umane, Sociali e del Patrimonio Culturale (ex facoltà di Lettere e Filosofia) e del Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell'Arte, del Cinema e della Musica. Quest'ultimo si trova nel palazzo Liviano, costruito negli anni trenta dall'architetto Gio Ponti negli spazi in precedenza occupati dalla reggia dei Carraresi. Sul lato est del Liviano vi è la scalinata che porta sia all'elegante sala dei Giganti, antica struttura adibita oggi a sala da concerti, i cui pregevoli affreschi furono probabilmente realizzati dall'Altichiero e da Jacopo Avanzi, che alla più piccola sala delle Edicole, parimenti affrescata. Dalla piazza si possono ammirare altre parti di quanto resta delle varie ricostruzioni della reggia, nei cui pressi si trova anche l'originale Loggia dei Carraresi. "RITROVO" DI UNIVERSITARI. La presenza dei due dipartimenti dell'ateneo comporta una massiccia presenza di studenti nella piazza, soprattutto per i festeggiamenti delle lauree, quando sugli alberi vengono affissi i "papiri" e vi hanno luogo scherzi e canti. In piazza Capitaniato si trovava sino al dicembre del 2015, la grande statua di Amleto Sartori raffigurante il drammaturgo Angelo Beolco detto il Ruzante, commissionata dal Rotary Club di Padova nel 1958 e ricollocata presso il Teatro Verdi. Lungo l'asse mediano della piazza sorgono alcuni tra i più antichi alberi di Padova, quali le "Sophore japoniche (o Styphnolobium japonicum) messe a dimora nel 1861, nonché i bagolari (o Celtis australis).
Piazza Capitaniato
Piazza Capitaniato
Corte Capitaniato oggi Piazza Capitaniato è una piazza storica della città di Padova. Si raggiunge passando da piazza dei Signori sotto la Torre dell'Orologio, la porta del Capitaniato passaggio chiamato Soto ea scavesà (letteralmente: sotto la spezzata), caduto in disuso verso la fine del XX secolo. LA STORIA. Lo spazio era in origine un cortile della reggia Carrarese, voluta da Ubertino da Carrara nel XIV secolo. Circondata da edifici adibiti a vario uso, su tutti la grande costruzione ospitante la Sala dei Giganti. La corte accrebbe di importanze al tempo della dominazione veneziana, quando negli edifici dei carraresi si installò il Capitanio e esponenti dell'amministrazione padovana. Nell'antico cortile, che prese il nome di corte Capitaniato, trovarono posto la sede della curia, gli uffici amministrativi, le scuderie, le aree per le esercitazioni e le abitazioni delle guardie. I capitani veneziani erano responsabili degli affari di carattere militare ed affiancavano il podestà, al quale era demandata la gestione dell'amministrazione civile. STRUTTURA. Sul lato est si trova il lato posteriore della torre dell'Orologio e del palazzo del Capitanio, sede oggi di uffici comunali e del dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (fisppa) dell'Università degli Studi di Padova. Sul lato sud si affaccia la sede della Scuola di Scienze Umane, Sociali e del Patrimonio Culturale (ex facoltà di Lettere e Filosofia) e del Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell'Arte, del Cinema e della Musica. Quest'ultimo si trova nel palazzo Liviano, costruito negli anni trenta dall'architetto Gio Ponti negli spazi in precedenza occupati dalla reggia dei Carraresi. Sul lato est del Liviano vi è la scalinata che porta sia all'elegante sala dei Giganti, antica struttura adibita oggi a sala da concerti, i cui pregevoli affreschi furono probabilmente realizzati dall'Altichiero e da Jacopo Avanzi, che alla più piccola sala delle Edicole, parimenti affrescata. Dalla piazza si possono ammirare altre parti di quanto resta delle varie ricostruzioni della reggia, nei cui pressi si trova anche l'originale Loggia dei Carraresi. "RITROVO" DI UNIVERSITARI. La presenza dei due dipartimenti dell'ateneo comporta una massiccia presenza di studenti nella piazza, soprattutto per i festeggiamenti delle lauree, quando sugli alberi vengono affissi i "papiri" e vi hanno luogo scherzi e canti. In piazza Capitaniato si trovava sino al dicembre del 2015, la grande statua di Amleto Sartori raffigurante il drammaturgo Angelo Beolco detto il Ruzante, commissionata dal Rotary Club di Padova nel 1958 e ricollocata presso il Teatro Verdi. Lungo l'asse mediano della piazza sorgono alcuni tra i più antichi alberi di Padova, quali le "Sophore japoniche (o Styphnolobium japonicum) messe a dimora nel 1861, nonché i bagolari (o Celtis australis).
Palazzo del Capitanio: di fronte alla Chiesa di S. Clemente occupa uno spazio privilegiato il Palazzo del Capitanio, chiamato così perché sede di uno dei due capitani veneziani della città. STORIA. Si sviluppa sull'area della ex Reggia dei Carraresi ed è diviso da una antica torre, modificata fra il 1427 e il 1430, sormontata da un tamburo ottagonale che sorregge una cupola rivestita di lastre di piombo. Già dal 1426 l'edificio subì vari interventi di ristrutturazione con l'installazione nel 1427 dell'Orologio, a seguire la decorazione pittorica e la doratura del quadrante e infine quella del leone marciano, opera di Giorgio da Treviso. Passando il volto dell'Orologio entriamo in Corte Capitaniato, uno dei cortili della Reggia dei Carraresi, voluta da Umbertino da Carrara; vi trovavano sede la curia, la cancelleria, gli alloggi dei corpi di guardia, le stalle e le scuderie, giardini e cortili per le esercitazioni. ARTE. Nel 1532 Giovanni Maria Falconetto fu incaricato del progetto della nuova e definitiva facciata della Torre dell'Orologio, ridisegnata a forma di Arco Trionfale a tutto sesto, seguendo il gusto e i canoni classici propri del Cinquecento. Il prospetto monumentale, realizzato in pietra d'Istria, presenta quattro colonne doriche binate collocate su di un alto basamento, mentre ai lati del fornice (apertura ad arco tipico di edifici monumentali) si notano due Vittorie Alate. Nell'attico poggia un Leone di S. Marco e nelle nicchie due figure virili recanti gli stemmi del podestà Giovanni Badoer e del capitano Giovanni Moro. OROLOGIO. Sopra l'arco il grande Orologio, riproduzione di quello inventato nel 1344 dal medico e astronomo Giovanni Dondi (detto appunto dell'Orologio). La popolarità dell'orologio astronomico, uno dei primi realizzati in Italia, fu tale che i discendenti di Giovanni Dondi furono detti dall'Orologio fino all'Ottocento. Deliberata la costruzione il 5 luglio 1423 (si ritiene il primo in Italia) fu disegnato da Maestro Novello e costruito nel 1477 dai vicentini Giovanni e Giampietro delle Caldiere, mentre le decorazioni sul quadrante sono di Giorgio da Treviso. L'Orologio di Piazza dei Signori ha la proprietà di segnare non solo le ore e i minuti, ma anche il mese, il giorno e le fasi della luna e persino il "luogo" astrologico. Al tempo la costruzione e il funzionamento di un orologio erano basati sul calcolo dei pesi che venivano applicati ad un sistema di leve e di raccordi. Questo magnifico esemplare ancora oggi funziona con l'antico sistema e i suoi ingranaggi meriterebbero di essere visitati ed ammirati per prendere coscienza dell'importanza della storia della tecnologia. Gli elementi di decoro, le scritte celebrative e commemorative sui fregi delle due architravi, le linee architettoniche e il magnifico orologio in rame dipinto di azzurro con stelle dorate e simboli zodiacali, impreziosiscono la facciata del Palazzo e restituiscono al visitatore l'immagine abbagliante del fasto e dell'opulenza della Repubblica Serenissima. Tra i segni dello Zodiaco posti attorno all'Orologio manca il segno della Bilancia. Per la tradizione popolare sarebbe una ripicca del costruttore nei confronti della mancanza di giustizia della committenza che volle pagargli una cifra inferiore al pattuito
Palazzo del Capitanio
3 Piazza Capitaniato
Palazzo del Capitanio: di fronte alla Chiesa di S. Clemente occupa uno spazio privilegiato il Palazzo del Capitanio, chiamato così perché sede di uno dei due capitani veneziani della città. STORIA. Si sviluppa sull'area della ex Reggia dei Carraresi ed è diviso da una antica torre, modificata fra il 1427 e il 1430, sormontata da un tamburo ottagonale che sorregge una cupola rivestita di lastre di piombo. Già dal 1426 l'edificio subì vari interventi di ristrutturazione con l'installazione nel 1427 dell'Orologio, a seguire la decorazione pittorica e la doratura del quadrante e infine quella del leone marciano, opera di Giorgio da Treviso. Passando il volto dell'Orologio entriamo in Corte Capitaniato, uno dei cortili della Reggia dei Carraresi, voluta da Umbertino da Carrara; vi trovavano sede la curia, la cancelleria, gli alloggi dei corpi di guardia, le stalle e le scuderie, giardini e cortili per le esercitazioni. ARTE. Nel 1532 Giovanni Maria Falconetto fu incaricato del progetto della nuova e definitiva facciata della Torre dell'Orologio, ridisegnata a forma di Arco Trionfale a tutto sesto, seguendo il gusto e i canoni classici propri del Cinquecento. Il prospetto monumentale, realizzato in pietra d'Istria, presenta quattro colonne doriche binate collocate su di un alto basamento, mentre ai lati del fornice (apertura ad arco tipico di edifici monumentali) si notano due Vittorie Alate. Nell'attico poggia un Leone di S. Marco e nelle nicchie due figure virili recanti gli stemmi del podestà Giovanni Badoer e del capitano Giovanni Moro. OROLOGIO. Sopra l'arco il grande Orologio, riproduzione di quello inventato nel 1344 dal medico e astronomo Giovanni Dondi (detto appunto dell'Orologio). La popolarità dell'orologio astronomico, uno dei primi realizzati in Italia, fu tale che i discendenti di Giovanni Dondi furono detti dall'Orologio fino all'Ottocento. Deliberata la costruzione il 5 luglio 1423 (si ritiene il primo in Italia) fu disegnato da Maestro Novello e costruito nel 1477 dai vicentini Giovanni e Giampietro delle Caldiere, mentre le decorazioni sul quadrante sono di Giorgio da Treviso. L'Orologio di Piazza dei Signori ha la proprietà di segnare non solo le ore e i minuti, ma anche il mese, il giorno e le fasi della luna e persino il "luogo" astrologico. Al tempo la costruzione e il funzionamento di un orologio erano basati sul calcolo dei pesi che venivano applicati ad un sistema di leve e di raccordi. Questo magnifico esemplare ancora oggi funziona con l'antico sistema e i suoi ingranaggi meriterebbero di essere visitati ed ammirati per prendere coscienza dell'importanza della storia della tecnologia. Gli elementi di decoro, le scritte celebrative e commemorative sui fregi delle due architravi, le linee architettoniche e il magnifico orologio in rame dipinto di azzurro con stelle dorate e simboli zodiacali, impreziosiscono la facciata del Palazzo e restituiscono al visitatore l'immagine abbagliante del fasto e dell'opulenza della Repubblica Serenissima. Tra i segni dello Zodiaco posti attorno all'Orologio manca il segno della Bilancia. Per la tradizione popolare sarebbe una ripicca del costruttore nei confronti della mancanza di giustizia della committenza che volle pagargli una cifra inferiore al pattuito
Antenore è la leggendaria figura del fondatore della città, dove arrivò nel 1185 a.C., risalendo il corso del fiume Brenta. Secondo le narrazioni di Virgilio nell'Eneide e del padovano Tito Livio, egli fuggì come Enea da Troia in fiamme portando la famiglia lungo le coste dalmate fino alla foce del Brenta, che risalì fino agli insediamenti degli Euganei. Qui consultò un oracolo che gli pronosticò la fondazione di una grande e ricca città. Per trovare il luogo esatto dove insediarsi avrebbe dovuto scoccare una freccia verso degli uccelli in volo: la città sarebbe nata nel luogo dove fosse caduto l'uccello morente. Tomba di Antenore Il poeta padovano Lovato de'Lovati quando, nel 1274, fu disseppellito un antico sarcofago contenente uno scheletro, lo attribuì immediatamente all'eroe troiano. Per il sarcofago venne immediatamente costruita un'arca per esporlo alla città proteggendolo dalle intemperie e sistemato grossomodo dove si trova ancora oggi in piazza Antenore. Lovato si premurò di conquistarsi un posto nella storia di Padova facendosi costruire un sarcofago simile, da porre di fianco a quello del mitico Capostipite di tutti i padovani. Non sapeva che, a causa del bassorilievo di un cane sul lato del sarcofago, quello sarebbe diventato poi, nella consuetudine popolare, "la tomba del cane di Antenore". Studi sui resti hanno secoli dopo provato che in realtà si tratta di un guerriero di origine ungherese morto tra il III e il IV sec. d.C. Oltre a Virgilio e Tito Livio, anche Omero, in cinque versi dell'Iliade, parla di una popolazione di Eneti o Enetoi, famosi allevatori di cavalli, provenienti dalla Paflagonia, alleati dei Troiani, poi emigrati, nel Veneto attuale. E nell'Iliade si fa riferimento a cinque località, Sesamo, Cromna, Citoro, l'Alta Eritini (o Faraglioni Rossi) ed Egialò, tutte puntualmente e sorprendentemente identificate dopo tremila anni. Pur non esistendo alcuna prova dell'esistenza di Antenore, i ritrovamenti archeologici nell'area confermano però l'effettivo arrivo dei Veneti tra il XIII e l'XI sec. a.C. E, curiosamente, in un passato più recente, la fama dei padovani come addestratori di cavalli era diffusa, come testimonia il ponte dei Cavài (dei cavalli, appunto), dove i viaggiatori sostavano per cambiare cavalli e dove il mercato degli stessi fioriva.
Tomb of Anthenor
Piazza Antenore
Antenore è la leggendaria figura del fondatore della città, dove arrivò nel 1185 a.C., risalendo il corso del fiume Brenta. Secondo le narrazioni di Virgilio nell'Eneide e del padovano Tito Livio, egli fuggì come Enea da Troia in fiamme portando la famiglia lungo le coste dalmate fino alla foce del Brenta, che risalì fino agli insediamenti degli Euganei. Qui consultò un oracolo che gli pronosticò la fondazione di una grande e ricca città. Per trovare il luogo esatto dove insediarsi avrebbe dovuto scoccare una freccia verso degli uccelli in volo: la città sarebbe nata nel luogo dove fosse caduto l'uccello morente. Tomba di Antenore Il poeta padovano Lovato de'Lovati quando, nel 1274, fu disseppellito un antico sarcofago contenente uno scheletro, lo attribuì immediatamente all'eroe troiano. Per il sarcofago venne immediatamente costruita un'arca per esporlo alla città proteggendolo dalle intemperie e sistemato grossomodo dove si trova ancora oggi in piazza Antenore. Lovato si premurò di conquistarsi un posto nella storia di Padova facendosi costruire un sarcofago simile, da porre di fianco a quello del mitico Capostipite di tutti i padovani. Non sapeva che, a causa del bassorilievo di un cane sul lato del sarcofago, quello sarebbe diventato poi, nella consuetudine popolare, "la tomba del cane di Antenore". Studi sui resti hanno secoli dopo provato che in realtà si tratta di un guerriero di origine ungherese morto tra il III e il IV sec. d.C. Oltre a Virgilio e Tito Livio, anche Omero, in cinque versi dell'Iliade, parla di una popolazione di Eneti o Enetoi, famosi allevatori di cavalli, provenienti dalla Paflagonia, alleati dei Troiani, poi emigrati, nel Veneto attuale. E nell'Iliade si fa riferimento a cinque località, Sesamo, Cromna, Citoro, l'Alta Eritini (o Faraglioni Rossi) ed Egialò, tutte puntualmente e sorprendentemente identificate dopo tremila anni. Pur non esistendo alcuna prova dell'esistenza di Antenore, i ritrovamenti archeologici nell'area confermano però l'effettivo arrivo dei Veneti tra il XIII e l'XI sec. a.C. E, curiosamente, in un passato più recente, la fama dei padovani come addestratori di cavalli era diffusa, come testimonia il ponte dei Cavài (dei cavalli, appunto), dove i viaggiatori sostavano per cambiare cavalli e dove il mercato degli stessi fioriva.
A sud della Piazza delle Erbe si snoda un labirinto di strade strette che formano il Ghetto ebraico, operante dal 1603 e abolito nel 1797, anno in cui, Napoleone dichiarò gli ebrei liberi e uguali. E’ dal secolo XII che i primi ebrei iniziano ad insediarsi a Padova ma è dopo la metà del ‘300 che la comunità cresce e si sviluppa, grazie anche alla nascita dell’Università che, a differenza di tutte le altre in Italia ed in Europa, ha sempre accettato studenti di ogni religione, inclusa quella ebraica. In epoca comunale e carrarese poi, lo sviluppo dei commerci richiama in città molti prestatori di denaro e venditori di oggetti di seconda mano, facendo così diventare Padova punto di incontro di diversa provenienza e cultura. Gli insediamenti ebbero inizio nella zona di S.Leonardo (lungo il Bacchiglione, nei pressi di via Savonarola) ben presto però divennero insufficienti e poco pratici, data la lontananza sia dalla zona dei commerci di Piazza delle Erbe, che dall’Università. Si crearono così tre raggruppamenti:gli italiani nella zona di Porta Altinate, i tedeschi e gli spagnoli nella zona di S.Canziano. Dopo la guerra della Lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta e i conseguenti assedi di Padova che si protrassero dal 1509 al 1513 anche la comunità italiana si trasferisce nella zona a ridosso di Piazza delle Erbe in quello che diverrà poi il Ghetto di Padova. Il Ghetto, “Loco stabile et separato, deputato agli ebrei; ne’ alcun cristiano in quello possi star, overo tegnir bottega”, come diceva un avviso del 1603, era chiuso di notte da quattro porte sorvegliate ciascuna da un ebreo e da un cristiano, pagati dalla comunità ebraica: quella settentrionale in via delle Piazze, poco a sud di S.Canziano; quella orientale, la Porta di S.Giuliana, fatta costruire dal Podestà e dal Gran Consiglio, in via S. Martino e Solferino un tempo via Sirena, vicino allo sbocca in via Roma; quella occidentale nella stessa strada prima dell’incrocio con via dei Fabbri; quella meridionale in via dell’Arco dove confluisce con via Marsala. Queste porte impedivano l’uscita degli ebrei dopo le due di notte; nel 1797 furono abbattute e gli ebrei vennero chiamati a far parte della municipalità. Nel ‘600 quasi tutti gli ebrei d’Italia sono ormai rinchiusi nei Ghetti. I Ghetti italiani sono formati o da un grande cortile rettangolare, lungo il quale sono allineate le case, con i negozi e le abitazioni intercomunicanti il tipico chatzér, ossia cortile; oppure da una via o una piazza centrale nella quale sboccano viuzze laterali secondarie, o da un complesso di stradine formanti un piccolo quartiere nel centro (come nel caso di Padova); oppure anche, i più piccoli, da una sola contrada coi due portoni agli sbocchi. Nessun ebreo può abitare fuori dal Ghetto, ne’ uscirne senza il “segno giudaico” (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello giallo, o con nastri gialli o velo giallo). Soltanto la Repubblica Veneta permetteva agli ebrei di passaggio di girare per tre giorni senza alcun segno distintivo. Nel ‘600 nel Ghetto vi erano ben 63 frequentatissime botteghe in cui si vendeva di tutto. Gli ebrei esercitavano però soprattutto l’arte della “strazzaria”, il piccolo commercio di cose usate. Molti si dedicarono all’industria degli argentieri da loro iniziata e portata a grande sviluppo, fino al 1777 quando la Repubblica Veneta permise di esercitare il solo mestiere della “strazzaria”. Visto che non erano ammessi presso le Corporazioni di Arti e Mestieri, praticavano il prestito del denaro, attività vietata ai cristiani e che garantì a molti prestatori il diritto di residenza grazie all’intercessione dei Signori feudali che avevano sempre la necessità di procurarsi rapidamente denaro per mantenere le proprie milizie. Ai loro “banchi” ricorrevano studenti e professori per prestiti e pegni. Dato che agli ebrei era vietato risiedere altrove, come a Venezia, le case del quartiere, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, si sono sviluppate in altezza e , nonostante le trasformazioni e i rifacimenti, conservano ancora l’impianto romanico. Di particolare interesse le quattro colonne con capitelli tutti diversi in via S.Martino e Solferino, di fronte l’imbocco di via dell’Arco. In via dell’Arco si trova l’Hotel Majestic Toscanelli un tempo sede dell’Accademia Rabbinica, di cui oggi conserva ancora un caminetto con lo stemma della famiglia Salom. In via dell’Arco si possono ancora osservare le case- torri sopraelevate, tipiche del quartiere ebraico. Palazzo Strozzi al civ.37 di via S.Martino e Solferino fu sede delle attività economiche dell’esule fiorentino Palla Strozzi che nel 1434 giunse a Padova. Si narra che il vecchio mercante controllasse i suoi garzoni che tenevano un banco in Piazza delle Erbe da un balconcino sotto il portico. Poco oltre attraversata la strada si trova un sottoportico, oltrepassato il quale si entra nella Corte Lenguazza, con loggetta e il retro della vecchia sinagoga di rito tedesco. In passato costituiva l’animato centro sociale e religioso del quartiere: qui vi si potevano acquistare gli azzimi e la carne preparata secondo i rigidi precetti ebraici. In via delle Piazze, sorge la prima grande sinagoga di rito tedesco che fu inaugurata nel 1525 e che nel 1943 una squadra di fascisti la incendiò. Il suo restauro è stato ultimato nel 1998. In via San Martino e Solferino al civ. 13 , subito dopo l’incrocio con via delle piazze si trova la sinagoga di rito italiano,di fronte ad essa, un po’ a sinistra e in alto al terzo piano, si può vedere un loggiato con sei colonnine bianche. Li c’era la sinagoga di rito spagnolo. Nella fine dell’ottocento i tre riti furono riuniti nella grande sinagoga tedesca, dove si praticò il solo rito italiano. Alla fine della seconda guerra mondiale fu riaperta al rito la sinagoga italiana. Nel corso del 1800 il Ghetto entrò a pieno diritto nella vita cittadina e soprattutto in quella degli studenti. Arnaldo Fusinato ricorda l’origine del modo di dire “restare in bolletta”: gli studenti senza soldi vendevano il loro mantello nel Ghetto, in cambio del quale ricevevano una carta bollata (bolletta). La bellezza del Ghetto sta nelle sue vie anguste, nelle suggestive facciate di alcuni palazzetti, nelle altissime abitazioni, nelle piccole botteghe di antichissima tradizione, che si sono diffuse anche nelle vie circostanti dopo la soppressione del Ghetto. Oggi in questa suggestiva zona si concentrano molte attività commerciali caratteristiche.
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Ghetto di Padova
19 Via S. Martino e Solferino
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A sud della Piazza delle Erbe si snoda un labirinto di strade strette che formano il Ghetto ebraico, operante dal 1603 e abolito nel 1797, anno in cui, Napoleone dichiarò gli ebrei liberi e uguali. E’ dal secolo XII che i primi ebrei iniziano ad insediarsi a Padova ma è dopo la metà del ‘300 che la comunità cresce e si sviluppa, grazie anche alla nascita dell’Università che, a differenza di tutte le altre in Italia ed in Europa, ha sempre accettato studenti di ogni religione, inclusa quella ebraica. In epoca comunale e carrarese poi, lo sviluppo dei commerci richiama in città molti prestatori di denaro e venditori di oggetti di seconda mano, facendo così diventare Padova punto di incontro di diversa provenienza e cultura. Gli insediamenti ebbero inizio nella zona di S.Leonardo (lungo il Bacchiglione, nei pressi di via Savonarola) ben presto però divennero insufficienti e poco pratici, data la lontananza sia dalla zona dei commerci di Piazza delle Erbe, che dall’Università. Si crearono così tre raggruppamenti:gli italiani nella zona di Porta Altinate, i tedeschi e gli spagnoli nella zona di S.Canziano. Dopo la guerra della Lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta e i conseguenti assedi di Padova che si protrassero dal 1509 al 1513 anche la comunità italiana si trasferisce nella zona a ridosso di Piazza delle Erbe in quello che diverrà poi il Ghetto di Padova. Il Ghetto, “Loco stabile et separato, deputato agli ebrei; ne’ alcun cristiano in quello possi star, overo tegnir bottega”, come diceva un avviso del 1603, era chiuso di notte da quattro porte sorvegliate ciascuna da un ebreo e da un cristiano, pagati dalla comunità ebraica: quella settentrionale in via delle Piazze, poco a sud di S.Canziano; quella orientale, la Porta di S.Giuliana, fatta costruire dal Podestà e dal Gran Consiglio, in via S. Martino e Solferino un tempo via Sirena, vicino allo sbocca in via Roma; quella occidentale nella stessa strada prima dell’incrocio con via dei Fabbri; quella meridionale in via dell’Arco dove confluisce con via Marsala. Queste porte impedivano l’uscita degli ebrei dopo le due di notte; nel 1797 furono abbattute e gli ebrei vennero chiamati a far parte della municipalità. Nel ‘600 quasi tutti gli ebrei d’Italia sono ormai rinchiusi nei Ghetti. I Ghetti italiani sono formati o da un grande cortile rettangolare, lungo il quale sono allineate le case, con i negozi e le abitazioni intercomunicanti il tipico chatzér, ossia cortile; oppure da una via o una piazza centrale nella quale sboccano viuzze laterali secondarie, o da un complesso di stradine formanti un piccolo quartiere nel centro (come nel caso di Padova); oppure anche, i più piccoli, da una sola contrada coi due portoni agli sbocchi. Nessun ebreo può abitare fuori dal Ghetto, ne’ uscirne senza il “segno giudaico” (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello giallo, o con nastri gialli o velo giallo). Soltanto la Repubblica Veneta permetteva agli ebrei di passaggio di girare per tre giorni senza alcun segno distintivo. Nel ‘600 nel Ghetto vi erano ben 63 frequentatissime botteghe in cui si vendeva di tutto. Gli ebrei esercitavano però soprattutto l’arte della “strazzaria”, il piccolo commercio di cose usate. Molti si dedicarono all’industria degli argentieri da loro iniziata e portata a grande sviluppo, fino al 1777 quando la Repubblica Veneta permise di esercitare il solo mestiere della “strazzaria”. Visto che non erano ammessi presso le Corporazioni di Arti e Mestieri, praticavano il prestito del denaro, attività vietata ai cristiani e che garantì a molti prestatori il diritto di residenza grazie all’intercessione dei Signori feudali che avevano sempre la necessità di procurarsi rapidamente denaro per mantenere le proprie milizie. Ai loro “banchi” ricorrevano studenti e professori per prestiti e pegni. Dato che agli ebrei era vietato risiedere altrove, come a Venezia, le case del quartiere, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, si sono sviluppate in altezza e , nonostante le trasformazioni e i rifacimenti, conservano ancora l’impianto romanico. Di particolare interesse le quattro colonne con capitelli tutti diversi in via S.Martino e Solferino, di fronte l’imbocco di via dell’Arco. In via dell’Arco si trova l’Hotel Majestic Toscanelli un tempo sede dell’Accademia Rabbinica, di cui oggi conserva ancora un caminetto con lo stemma della famiglia Salom. In via dell’Arco si possono ancora osservare le case- torri sopraelevate, tipiche del quartiere ebraico. Palazzo Strozzi al civ.37 di via S.Martino e Solferino fu sede delle attività economiche dell’esule fiorentino Palla Strozzi che nel 1434 giunse a Padova. Si narra che il vecchio mercante controllasse i suoi garzoni che tenevano un banco in Piazza delle Erbe da un balconcino sotto il portico. Poco oltre attraversata la strada si trova un sottoportico, oltrepassato il quale si entra nella Corte Lenguazza, con loggetta e il retro della vecchia sinagoga di rito tedesco. In passato costituiva l’animato centro sociale e religioso del quartiere: qui vi si potevano acquistare gli azzimi e la carne preparata secondo i rigidi precetti ebraici. In via delle Piazze, sorge la prima grande sinagoga di rito tedesco che fu inaugurata nel 1525 e che nel 1943 una squadra di fascisti la incendiò. Il suo restauro è stato ultimato nel 1998. In via San Martino e Solferino al civ. 13 , subito dopo l’incrocio con via delle piazze si trova la sinagoga di rito italiano,di fronte ad essa, un po’ a sinistra e in alto al terzo piano, si può vedere un loggiato con sei colonnine bianche. Li c’era la sinagoga di rito spagnolo. Nella fine dell’ottocento i tre riti furono riuniti nella grande sinagoga tedesca, dove si praticò il solo rito italiano. Alla fine della seconda guerra mondiale fu riaperta al rito la sinagoga italiana. Nel corso del 1800 il Ghetto entrò a pieno diritto nella vita cittadina e soprattutto in quella degli studenti. Arnaldo Fusinato ricorda l’origine del modo di dire “restare in bolletta”: gli studenti senza soldi vendevano il loro mantello nel Ghetto, in cambio del quale ricevevano una carta bollata (bolletta). La bellezza del Ghetto sta nelle sue vie anguste, nelle suggestive facciate di alcuni palazzetti, nelle altissime abitazioni, nelle piccole botteghe di antichissima tradizione, che si sono diffuse anche nelle vie circostanti dopo la soppressione del Ghetto. Oggi in questa suggestiva zona si concentrano molte attività commerciali caratteristiche.
La Specola è uno dei simboli più rappresentativi della città e della sua storia: l'alta torre ricorda infatti la tirannia di Ezzelino III da Romano che nel 1242 aveva edificato un castello con due torri di cui la maggiore, come narrano le cronache del tempo, era il luogo in cui il tiranno teneva rinchiusi e torturava i suoi prigionieri. La Specola I successivi signori di Padova, i Carrara, nel 1374 costruirono un nuovo castello-fortificazione sui resti del vecchio come baluardo difensivo e splendido edificio decorato all'interno e all'esterno. Il 21 maggio 1761 il Senato della Repubblica di Venezia emanava un decreto con il quale istituiva un osservatorio astronomico all'Università di Padova, da adibire anche a luogo di addestramento dei futuri astronomi. Soltanto quattro anni dopo, nel settembre del 1765, si affidava l'incarico al professore di astronomia, geografia e meteore, l'abate Giuseppe Toaldo (1719-1797), di visitare i principali osservatori italiani per informarsi sulla struttura dell'edificio e sui principali strumenti necessari all'attività dell'astronomo. Al ritorno da questa indagine, Toaldo, dopo aver presentato il progetto, nel dicembre dello stesso anno fece venire da Vicenza l'architetto don Domenico Cerato (1715-1792), amico e compagno di studi nel Seminario vescovile di Padova e uno dei più abili architetti del tempo. Toaldo propose di utilizzare la Torre alta del Castel Vecchio per le sue grosse e solide mura e per la sua collocazione all'interno della città, ideale per l'osservazione astronomica. In particolare, la Torre era idonea perché consentiva un'ottima osservazione verso sud, ovvero verso il meridiano celeste, punto cruciale per lo studio del moto degli astri. E fu così che, dopo dieci anni di lavori, nel 1777 la Torre divenne Osservatorio astronomico, ovvero "specula astronomica" secondo la dicitura latina. Cannocchiale della Specola - ph Danesin L'interno della torre fu ristrutturato per l'uso delle osservazioni astronomiche e fu diviso in due parti: una parte inferiore, a 16 metri dal suolo sulla parete est, in cui fu costruita la Sala Meridiana per le osservazioni al meridiano celeste, e una parte superiore, a 35 metri dal suolo nella zona delle merlature, ove fu costituita un'alta sala con alte finestre, la Sala delle Figure, per osservare la volta celeste da ogni angolazione con cannocchiali di vario tipo utilizzando anche la terrazza adiacente. Era stata inoltre costruita una terrazza sopra la sala meridiana per gli studi di meteorologia. La Specola vista da Riviera Paleocapa - ph Danesin In seguito la Specola subì rimodernamenti, sia della strumentazione, sia della struttura, come l'aggiunta di una terza cupola nell'Ottocento o l'edificazione di un padiglione nuovo sul bastione adiacente per accogliere il rifrattore di Mertz. Nell'archivio storico dell'Osservatorio sono ancora conservati gli antichi registri delle osservazioni astronomiche e la biblioteca. La nuova specola, una delle più belle nell'Europa del Settecento, fu visitata da illustri personaggi, come il poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe, che nel 1786 descrisse nel suo diario di viaggio lo splendido panorama che poté ammirare dall'alto della torre dell'Osservatorio. Per informazioni Inaf - Osservatorio Astronomico di Padova vicolo dell'Osservatorio, 5 - 35122 Padova telefono 049 8293449 fax 049 8759840 email museo.laspecola@oapd.inaf.it sito www.beniculturali.inaf.it/musei/padova
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Museum Of The Astronomical Observatory Of Padua
5 Vicolo dell'Osservatorio
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La Specola è uno dei simboli più rappresentativi della città e della sua storia: l'alta torre ricorda infatti la tirannia di Ezzelino III da Romano che nel 1242 aveva edificato un castello con due torri di cui la maggiore, come narrano le cronache del tempo, era il luogo in cui il tiranno teneva rinchiusi e torturava i suoi prigionieri. La Specola I successivi signori di Padova, i Carrara, nel 1374 costruirono un nuovo castello-fortificazione sui resti del vecchio come baluardo difensivo e splendido edificio decorato all'interno e all'esterno. Il 21 maggio 1761 il Senato della Repubblica di Venezia emanava un decreto con il quale istituiva un osservatorio astronomico all'Università di Padova, da adibire anche a luogo di addestramento dei futuri astronomi. Soltanto quattro anni dopo, nel settembre del 1765, si affidava l'incarico al professore di astronomia, geografia e meteore, l'abate Giuseppe Toaldo (1719-1797), di visitare i principali osservatori italiani per informarsi sulla struttura dell'edificio e sui principali strumenti necessari all'attività dell'astronomo. Al ritorno da questa indagine, Toaldo, dopo aver presentato il progetto, nel dicembre dello stesso anno fece venire da Vicenza l'architetto don Domenico Cerato (1715-1792), amico e compagno di studi nel Seminario vescovile di Padova e uno dei più abili architetti del tempo. Toaldo propose di utilizzare la Torre alta del Castel Vecchio per le sue grosse e solide mura e per la sua collocazione all'interno della città, ideale per l'osservazione astronomica. In particolare, la Torre era idonea perché consentiva un'ottima osservazione verso sud, ovvero verso il meridiano celeste, punto cruciale per lo studio del moto degli astri. E fu così che, dopo dieci anni di lavori, nel 1777 la Torre divenne Osservatorio astronomico, ovvero "specula astronomica" secondo la dicitura latina. Cannocchiale della Specola - ph Danesin L'interno della torre fu ristrutturato per l'uso delle osservazioni astronomiche e fu diviso in due parti: una parte inferiore, a 16 metri dal suolo sulla parete est, in cui fu costruita la Sala Meridiana per le osservazioni al meridiano celeste, e una parte superiore, a 35 metri dal suolo nella zona delle merlature, ove fu costituita un'alta sala con alte finestre, la Sala delle Figure, per osservare la volta celeste da ogni angolazione con cannocchiali di vario tipo utilizzando anche la terrazza adiacente. Era stata inoltre costruita una terrazza sopra la sala meridiana per gli studi di meteorologia. La Specola vista da Riviera Paleocapa - ph Danesin In seguito la Specola subì rimodernamenti, sia della strumentazione, sia della struttura, come l'aggiunta di una terza cupola nell'Ottocento o l'edificazione di un padiglione nuovo sul bastione adiacente per accogliere il rifrattore di Mertz. Nell'archivio storico dell'Osservatorio sono ancora conservati gli antichi registri delle osservazioni astronomiche e la biblioteca. La nuova specola, una delle più belle nell'Europa del Settecento, fu visitata da illustri personaggi, come il poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe, che nel 1786 descrisse nel suo diario di viaggio lo splendido panorama che poté ammirare dall'alto della torre dell'Osservatorio. Per informazioni Inaf - Osservatorio Astronomico di Padova vicolo dell'Osservatorio, 5 - 35122 Padova telefono 049 8293449 fax 049 8759840 email museo.laspecola@oapd.inaf.it sito www.beniculturali.inaf.it/musei/padova
Il Castello Carrarese costituisce uno dei più importanti beni storici, architettonici, artistici e militari di Padova. L'antico edificio sorge sull'area che un tempo ospitava il castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256, come perno difensivo della cinta muraria duecentesca. Castello Carrarese A costituirne la traccia più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri dell'antico castello. Caduto il tiranno le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi che fece ricostruire il Castello. I Carraresi fecero, inoltre, dipingere le due torri a scacchi bianchi e rossi, così come Giusto de' Menabuoi nel 1382 le rappresentò nella veduta della città, affrescata nella cappella del Beato Luca Belludi nella basilica di Sant'Antonio. Tutto il castello dunque era decorato dentro e fuori, e i restauri degli ultimi dieci anni eseguiti negli ambienti dell'osservatorio hanno consentito di riportare alla luce visibili tracce di vivo colore rosso e di bianco negli angoli più nascosti della Specola che su quel castello fu edificata. Il Castello venne collegato alla Reggia Carrarese dal traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di collegare i centri del potere politico e militare. Con la costruzione delle mura rinascimentali e a seguito del lungo periodo di pace di cui godette la città sotto il dominio della Repubblica di Venezia, il valore strategico del Castel Vecchio di Padova, così veniva ormai denominato nel Settecento, venne meno. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnuovo sul versante est delle mura ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni. Il Castello nella signoria dei Carraresi La data e la paternità del nuovo castello trecentesco trovano la prima diretta conferma nel rinvenimento, avvenuto attorno al 1810, di un pozzo, trovato nel grande cortile situato all'interno di quella parte del castello trasformata in carcere agli inizi dell'Ottocento. Il pozzo era formato di pietre in una delle quali era scolpita la data: 12 giugno 1374, e il nome dell'illustre Francesco settimo dei Carrara, principe di Padova, costruttore di questo edificio. Nel 1990, in un locale al primo piano della settecentesca casa dell'astronomo, fu rinvenuta una seconda firma dell'illustre principe: sotto l'intonaco settecentesco apparvero i resti di una decorazione floreale con le iniziali FC, ovvero Francesco da Carrara. I resti del Castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il Castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra e tuttora l'Amministrazione carceraria padovana ha alcuni uffici in piazza Castello. La trasformazione in Specola aveva costretto l'architetto Cerato a restaurare quelle che nei suoi disegni erano chiamate "fabbriche dirupate"; nella nuova casa dell'astronomo tutti i muri erano stati intonacati nascondendo così i resti delle antiche decorazioni. Anche l'antico scalone che dal pianoterra portava, attraverso una loggia, alla torre e alle mura occidentali del castello, fu in parte modificato per necessità strutturali, pur conservando l'antico percorso e le colonnine di sostegno alla loggia soprastante. Affreschi Gli interni Un altra notevole testimonianza rinvenuta sempre al primo piano, è la decorazione di una parete con pappagalli. Le cronache del tempo narrano della stanza dei pappagalli dove mangiava il principe di Padova quando soggiornava al castello. Di questa decorazione si erano perdute traccia e collocazione; qualche storico riteneva si trovasse nella reggia dei Carraresi, e che fosse andata definitivamente perduta. Ora sappiamo con certezza che Francesco da Carrara aveva fatto decorare tutti gli ambienti del castello difensivo, un luogo dove si recava per visitare le truppe e dove poteva soggiornare e pranzare in una grande stanza rallegrata da numerosi pappagalli dipinti sui muri; dalle cronache apprendiamo anche come il suo copricapo fosse adornato con le penne degli esotici uccelli. Anche al pianoterra della casa dell'astronomo sono state rinvenute decorazioni floreali in parte restaurate, mentre nella volta di quell'ambiente della torre dove nel pavimento si trovava il foro di accesso alle prigioni di Ezzelino, e dove nella prima metà del Settecento erano depositate le polveri da sparo, è stato riportato alla luce il grande carro, lo stemma dei carraresi, che necessita ancora, assieme ad altre tracce decorative sulle pareti, di un accurato restauro. In questo ambiente ora è collocata la biblioteca dell'osservatorio, che fra qualche anno potrà essere spostata in ambiente più idoneo. Si potrà così procedere al restauro delle decorazioni a fresco e destinare ad uso museale quello che un tempo era il triste luogo di accesso all'orribile prigione voluta da Ezzelino. Una testimonianza, rimasta integra nel tempo, è la Madonna con Bambino situata in un ambiente a nord della grande torre, lungo il percorso occidentale delle mura carraresi. I recenti restauri hanno confermato l'opinione che la Madonna trecentesca, da sempre visibile nei locali della Specola, non si trovasse all'interno di una cappella votiva, bensì fosse collocata all'aperto, all'interno della sommità della torretta difensiva sopra menzionata, di cui ora si possono vedere anche all'interno particolari architettonici come le merlature e le feritoie per il lancio di munizioni. Si tratta dunque dell'effigie di una Madonna collocata in un luogo dove poteva servire di protezione ed incoraggiamento per i soldati nel caso di attacco al castello. Alla Specola dunque si trovano prestigiose testimonianze del Castel Vecchio di Padova. Non rimane nulla, invece, se non qualche testimonianza scritta, di un precedente castello con un alta torre detta Torlonga edificato nel decimo secolo a difesa della città ai tempi delle invasioni degli Ungari, come viene riferito dallo storico padovano Giuseppe Gennari in una sua opera del 1776 riguardante il corso dei fiumi in Padova. Ma quell'edificio e la Torlonga non esistevano più quando Ezzelino da Romano decise di costruire il suo castello: è probabile che fossero crollati durante il disastroso terremoto del 1117 che mandò in rovina molti prestigiosi edifici, compresa la cattedrale, non solo a Padova, ma in quasi tutta la pianura padana. Castello Carrarese Il Castello ritrovato Il Castello è oggetto di opera di restauro e di bonifica sia della struttura che degli affreschi, nella prospettiva di essere restituito, in maniera quanto più integrale, alla città. Le opere di tutela del Castello mirano a farlo diventare un'importante polo culturale cittadino attraverso una serie di progetti ed iniziative che prenderanno forma una volta completati i lavori di bonifica e restauro.
Carrarese's Castle of Padua
16 Piazza del Castello
Il Castello Carrarese costituisce uno dei più importanti beni storici, architettonici, artistici e militari di Padova. L'antico edificio sorge sull'area che un tempo ospitava il castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256, come perno difensivo della cinta muraria duecentesca. Castello Carrarese A costituirne la traccia più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri dell'antico castello. Caduto il tiranno le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi che fece ricostruire il Castello. I Carraresi fecero, inoltre, dipingere le due torri a scacchi bianchi e rossi, così come Giusto de' Menabuoi nel 1382 le rappresentò nella veduta della città, affrescata nella cappella del Beato Luca Belludi nella basilica di Sant'Antonio. Tutto il castello dunque era decorato dentro e fuori, e i restauri degli ultimi dieci anni eseguiti negli ambienti dell'osservatorio hanno consentito di riportare alla luce visibili tracce di vivo colore rosso e di bianco negli angoli più nascosti della Specola che su quel castello fu edificata. Il Castello venne collegato alla Reggia Carrarese dal traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di collegare i centri del potere politico e militare. Con la costruzione delle mura rinascimentali e a seguito del lungo periodo di pace di cui godette la città sotto il dominio della Repubblica di Venezia, il valore strategico del Castel Vecchio di Padova, così veniva ormai denominato nel Settecento, venne meno. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnuovo sul versante est delle mura ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni. Il Castello nella signoria dei Carraresi La data e la paternità del nuovo castello trecentesco trovano la prima diretta conferma nel rinvenimento, avvenuto attorno al 1810, di un pozzo, trovato nel grande cortile situato all'interno di quella parte del castello trasformata in carcere agli inizi dell'Ottocento. Il pozzo era formato di pietre in una delle quali era scolpita la data: 12 giugno 1374, e il nome dell'illustre Francesco settimo dei Carrara, principe di Padova, costruttore di questo edificio. Nel 1990, in un locale al primo piano della settecentesca casa dell'astronomo, fu rinvenuta una seconda firma dell'illustre principe: sotto l'intonaco settecentesco apparvero i resti di una decorazione floreale con le iniziali FC, ovvero Francesco da Carrara. I resti del Castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il Castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra e tuttora l'Amministrazione carceraria padovana ha alcuni uffici in piazza Castello. La trasformazione in Specola aveva costretto l'architetto Cerato a restaurare quelle che nei suoi disegni erano chiamate "fabbriche dirupate"; nella nuova casa dell'astronomo tutti i muri erano stati intonacati nascondendo così i resti delle antiche decorazioni. Anche l'antico scalone che dal pianoterra portava, attraverso una loggia, alla torre e alle mura occidentali del castello, fu in parte modificato per necessità strutturali, pur conservando l'antico percorso e le colonnine di sostegno alla loggia soprastante. Affreschi Gli interni Un altra notevole testimonianza rinvenuta sempre al primo piano, è la decorazione di una parete con pappagalli. Le cronache del tempo narrano della stanza dei pappagalli dove mangiava il principe di Padova quando soggiornava al castello. Di questa decorazione si erano perdute traccia e collocazione; qualche storico riteneva si trovasse nella reggia dei Carraresi, e che fosse andata definitivamente perduta. Ora sappiamo con certezza che Francesco da Carrara aveva fatto decorare tutti gli ambienti del castello difensivo, un luogo dove si recava per visitare le truppe e dove poteva soggiornare e pranzare in una grande stanza rallegrata da numerosi pappagalli dipinti sui muri; dalle cronache apprendiamo anche come il suo copricapo fosse adornato con le penne degli esotici uccelli. Anche al pianoterra della casa dell'astronomo sono state rinvenute decorazioni floreali in parte restaurate, mentre nella volta di quell'ambiente della torre dove nel pavimento si trovava il foro di accesso alle prigioni di Ezzelino, e dove nella prima metà del Settecento erano depositate le polveri da sparo, è stato riportato alla luce il grande carro, lo stemma dei carraresi, che necessita ancora, assieme ad altre tracce decorative sulle pareti, di un accurato restauro. In questo ambiente ora è collocata la biblioteca dell'osservatorio, che fra qualche anno potrà essere spostata in ambiente più idoneo. Si potrà così procedere al restauro delle decorazioni a fresco e destinare ad uso museale quello che un tempo era il triste luogo di accesso all'orribile prigione voluta da Ezzelino. Una testimonianza, rimasta integra nel tempo, è la Madonna con Bambino situata in un ambiente a nord della grande torre, lungo il percorso occidentale delle mura carraresi. I recenti restauri hanno confermato l'opinione che la Madonna trecentesca, da sempre visibile nei locali della Specola, non si trovasse all'interno di una cappella votiva, bensì fosse collocata all'aperto, all'interno della sommità della torretta difensiva sopra menzionata, di cui ora si possono vedere anche all'interno particolari architettonici come le merlature e le feritoie per il lancio di munizioni. Si tratta dunque dell'effigie di una Madonna collocata in un luogo dove poteva servire di protezione ed incoraggiamento per i soldati nel caso di attacco al castello. Alla Specola dunque si trovano prestigiose testimonianze del Castel Vecchio di Padova. Non rimane nulla, invece, se non qualche testimonianza scritta, di un precedente castello con un alta torre detta Torlonga edificato nel decimo secolo a difesa della città ai tempi delle invasioni degli Ungari, come viene riferito dallo storico padovano Giuseppe Gennari in una sua opera del 1776 riguardante il corso dei fiumi in Padova. Ma quell'edificio e la Torlonga non esistevano più quando Ezzelino da Romano decise di costruire il suo castello: è probabile che fossero crollati durante il disastroso terremoto del 1117 che mandò in rovina molti prestigiosi edifici, compresa la cattedrale, non solo a Padova, ma in quasi tutta la pianura padana. Castello Carrarese Il Castello ritrovato Il Castello è oggetto di opera di restauro e di bonifica sia della struttura che degli affreschi, nella prospettiva di essere restituito, in maniera quanto più integrale, alla città. Le opere di tutela del Castello mirano a farlo diventare un'importante polo culturale cittadino attraverso una serie di progetti ed iniziative che prenderanno forma una volta completati i lavori di bonifica e restauro.
Il complesso Moroni Proprio di fronte alla sede universitaria di Palazzo del Bo, sorge il Palazzo del Comune di Padova, costituito dall'accorpamento, in epoche successive, di diversi palazzi: Il Palazzo Comunale si compone di edifici diversi per epoca di costruzione e per originale destinazione: - Il Palazzo della Ragione, costruito nel XIII secolo. - Il Palazzo del Consiglio, costruito nel XIII secolo su preesistenze. - La Torre Bianca degli Anziani, dal 1215 torre civica. - Il Palazzo degli Anziani il Vicariato, eretto alla fine del XIII secolo sul luogo del palazzo di Tiso VI da Camposampiero. - Il Volto della Corda, collegamento aereo tra il Palazzo della Ragione e gli altri edifici, costruito nel XIV secolo. - Il Palazzo del Podestà, eretto nel XIII secolo e ricostruito nel '500 su progetto di Andrea Moroni. - L'Ala Moretti-Scarpari, costruita negli anni '20 e '30 del Novecento sul luogo della chiesa di San Martino. - Il Palazzo delle Debite edificio che ospitava le prigioni, ricostruito nell'Ottocento da Camillo Boito, ora proprietà Inps. Il complesso si estende tra le piazze delle Erbe e della Frutta, per l'antica via del Sale (ora Oberdan) e dal Liston, via VIII Febbraio. Il Palazzo del Podestà L'ex Palazzo del Podestà è stato ristrutturato completamente nel XVI secolo dall'architetto Andrea Moroni, dal quale ora prende il nome, e rappresenta uno degli esempi stilistici più ragguardevoli presenti nel Veneto. Cortile pensile di Palazzo Moroni 190x100 Il maestoso edificio rinascimentale contiene, al primo piano, il cortile pensile. Il cortile è raggiungibile sia dalla scala coperta, posta quasi all'ingresso di via del Municipio, sia dallo scalone che congiunge il palazzo ai piani alti degli edifici medievali ed al Palazzo della Ragione. Scalinata Palazzo Moroni Municipio Comune 190x178 I lati che si affacciano su via del Municipio e piazza delle Erbe sono in marmo bianco e si articolano in due ordini, separati da una balconata che corre lungo tutta la sua lunghezza e sulla quale si aprono una serie di ampie finestre con volta a tutto sesto, divise da colonne. Sono ornati con stemmi e simboli di diversi Podestà, tra cui si possono notare quelle di Domenico Gritti, che occupa una finestra intera, e l'obelisco sulla sommità angolare, che reca le iniziali e l'insegna di Nicola Da Ponte. Nell'angolo sud occidentale si congiunge con una estensione dei primissimi anni del '900 sorta sopra l'area del Fondaco delle Biade. In epoca comunale, quando fu introdotta la figura del Podestà, questo ruolo aveva termini e regole ben precise. A differenza del Consiglio degli Anziani, i cui membri erano eletti e facevano parte della comunità, il Podestà doveva obbligatoriamente essere un forestiero. In cambio dell'alloggio per sé e la famiglia e di un discreto compenso (circa 80 volte quello di un operaio generico), doveva stipendiare e pagare tutte le spese per un gruppo di 35 collaboratori, tra cui quattro giudici del tribunale criminale e tre militi, tutti pure forestieri, che si trasferivano in città con le famiglie per il periodo del mandato. Nessuno, nemmeno i familiari, potevano in alcun modo ricevere regali, donazioni, avere credito o acquistare proprietà e terreni da nessun padovano, nemmeno accettare un invito a pranzo. Il Palazzo del Consiglio Piazza dei Frutti - Palazzo della Ragione - Municipio - Palazzo del Consiglio 190x127 Il Palazzo del Consiglio, che si estende nell'angolo orientale del complesso e si affaccia su piazza dei Frutti, era sede della Cancelleria Pretoria. Come testimoniato da un'iscrizione, fu costruito nel XIII secolo da Lonardo Zize, detto Bocaleca, su alcune proprietà donate dai Camposampiero al Comune. La loggia alla sua base, ora chiusa e occupata da negozi, è ornata da colonne con capitelli bizantini, chiamati anticamente "i due catini d'oro". Subì diversi incendi, nel XIV e XV secolo, venendo quindi rimaneggiato più volte. Il Palazzo degli Anziani Palazzo della Ragione e Torre degli Anziani Il Palazzo degli Anziani è parte dalla duecentesca Torre omonima, anticamente detta Torre Bianca per distinguerla dalla Torre Rossa. La Torre Rossa un tempo sorgeva dove ora vediamo l'arco del Vòlto della Corda, che congiunge il Palazzo del Consiglio a quello della Ragione. Il Palazzo degli Anziani si estende lungo via Guglielmo Oberdan, aprendosi al piano terra in un porticato da cui si accedeva agli antichi magazzini del sale, ora sede dell'Urp del Comune. Qui si riuniva il Consiglio degli Anziani, formato da rappresentanti delle corporazioni e del popolo. L'ala Moretti-Scarpari L'ala Moretti-Scarpari fa parte delle costruzioni del secolo scorso, rimaste incompiute, che tentavano di raccordare il Palazzo degli Anziani con il Palazzo del Podestà. Riprende lo stile del Palazzo del Podestà, con il balcone, le finestre ad arco e le colonne, questa volta coronate da statue e sormontate al centro con una torretta. Su alcuni dei suoi muri esterni sono presenti lapidi commemorative della I Guerra Mondiale su cui sono riportati i nomi dei caduti e i bollettini delle vittorie e lo stemma coronato di Padova, sostenuto da due vittorie alate.
Palazzo Moroni, Comune di Padova
1 Via del Municipio
Il complesso Moroni Proprio di fronte alla sede universitaria di Palazzo del Bo, sorge il Palazzo del Comune di Padova, costituito dall'accorpamento, in epoche successive, di diversi palazzi: Il Palazzo Comunale si compone di edifici diversi per epoca di costruzione e per originale destinazione: - Il Palazzo della Ragione, costruito nel XIII secolo. - Il Palazzo del Consiglio, costruito nel XIII secolo su preesistenze. - La Torre Bianca degli Anziani, dal 1215 torre civica. - Il Palazzo degli Anziani il Vicariato, eretto alla fine del XIII secolo sul luogo del palazzo di Tiso VI da Camposampiero. - Il Volto della Corda, collegamento aereo tra il Palazzo della Ragione e gli altri edifici, costruito nel XIV secolo. - Il Palazzo del Podestà, eretto nel XIII secolo e ricostruito nel '500 su progetto di Andrea Moroni. - L'Ala Moretti-Scarpari, costruita negli anni '20 e '30 del Novecento sul luogo della chiesa di San Martino. - Il Palazzo delle Debite edificio che ospitava le prigioni, ricostruito nell'Ottocento da Camillo Boito, ora proprietà Inps. Il complesso si estende tra le piazze delle Erbe e della Frutta, per l'antica via del Sale (ora Oberdan) e dal Liston, via VIII Febbraio. Il Palazzo del Podestà L'ex Palazzo del Podestà è stato ristrutturato completamente nel XVI secolo dall'architetto Andrea Moroni, dal quale ora prende il nome, e rappresenta uno degli esempi stilistici più ragguardevoli presenti nel Veneto. Cortile pensile di Palazzo Moroni 190x100 Il maestoso edificio rinascimentale contiene, al primo piano, il cortile pensile. Il cortile è raggiungibile sia dalla scala coperta, posta quasi all'ingresso di via del Municipio, sia dallo scalone che congiunge il palazzo ai piani alti degli edifici medievali ed al Palazzo della Ragione. Scalinata Palazzo Moroni Municipio Comune 190x178 I lati che si affacciano su via del Municipio e piazza delle Erbe sono in marmo bianco e si articolano in due ordini, separati da una balconata che corre lungo tutta la sua lunghezza e sulla quale si aprono una serie di ampie finestre con volta a tutto sesto, divise da colonne. Sono ornati con stemmi e simboli di diversi Podestà, tra cui si possono notare quelle di Domenico Gritti, che occupa una finestra intera, e l'obelisco sulla sommità angolare, che reca le iniziali e l'insegna di Nicola Da Ponte. Nell'angolo sud occidentale si congiunge con una estensione dei primissimi anni del '900 sorta sopra l'area del Fondaco delle Biade. In epoca comunale, quando fu introdotta la figura del Podestà, questo ruolo aveva termini e regole ben precise. A differenza del Consiglio degli Anziani, i cui membri erano eletti e facevano parte della comunità, il Podestà doveva obbligatoriamente essere un forestiero. In cambio dell'alloggio per sé e la famiglia e di un discreto compenso (circa 80 volte quello di un operaio generico), doveva stipendiare e pagare tutte le spese per un gruppo di 35 collaboratori, tra cui quattro giudici del tribunale criminale e tre militi, tutti pure forestieri, che si trasferivano in città con le famiglie per il periodo del mandato. Nessuno, nemmeno i familiari, potevano in alcun modo ricevere regali, donazioni, avere credito o acquistare proprietà e terreni da nessun padovano, nemmeno accettare un invito a pranzo. Il Palazzo del Consiglio Piazza dei Frutti - Palazzo della Ragione - Municipio - Palazzo del Consiglio 190x127 Il Palazzo del Consiglio, che si estende nell'angolo orientale del complesso e si affaccia su piazza dei Frutti, era sede della Cancelleria Pretoria. Come testimoniato da un'iscrizione, fu costruito nel XIII secolo da Lonardo Zize, detto Bocaleca, su alcune proprietà donate dai Camposampiero al Comune. La loggia alla sua base, ora chiusa e occupata da negozi, è ornata da colonne con capitelli bizantini, chiamati anticamente "i due catini d'oro". Subì diversi incendi, nel XIV e XV secolo, venendo quindi rimaneggiato più volte. Il Palazzo degli Anziani Palazzo della Ragione e Torre degli Anziani Il Palazzo degli Anziani è parte dalla duecentesca Torre omonima, anticamente detta Torre Bianca per distinguerla dalla Torre Rossa. La Torre Rossa un tempo sorgeva dove ora vediamo l'arco del Vòlto della Corda, che congiunge il Palazzo del Consiglio a quello della Ragione. Il Palazzo degli Anziani si estende lungo via Guglielmo Oberdan, aprendosi al piano terra in un porticato da cui si accedeva agli antichi magazzini del sale, ora sede dell'Urp del Comune. Qui si riuniva il Consiglio degli Anziani, formato da rappresentanti delle corporazioni e del popolo. L'ala Moretti-Scarpari L'ala Moretti-Scarpari fa parte delle costruzioni del secolo scorso, rimaste incompiute, che tentavano di raccordare il Palazzo degli Anziani con il Palazzo del Podestà. Riprende lo stile del Palazzo del Podestà, con il balcone, le finestre ad arco e le colonne, questa volta coronate da statue e sormontate al centro con una torretta. Su alcuni dei suoi muri esterni sono presenti lapidi commemorative della I Guerra Mondiale su cui sono riportati i nomi dei caduti e i bollettini delle vittorie e lo stemma coronato di Padova, sostenuto da due vittorie alate.
L'esterno La Basilica di Sant'Antonio, conosciuta con il nome "Il Santo", è il centro religioso più importante della città, e meta di migliaia di pellegrini che ogni anno, e in particolare il 13 giugno, festa del Santo, invadono la città per la famosa processione. Il santo è una delle più grandi chiese del mondo ed è visitata annualmente da oltre 6,5 milioni di pellegrini, che ne fanno uno dei santuari più venerati del mondo cristiano. La piazza del Santo, antistante, ospita il monumento equestre al Gattamelata di Donatello. Donatello realizzò anche le sculture bronzee (Crocifisso della basilica del Santo, statue e formelle di varie dimensioni) che Camillo Boito ha collocato sull'altare maggiore da lui progettato. La Basilica, che fu iniziata nel 1232 per custodire la tomba del frate francescano Antonio, morto a Padova nel 1231, sorge nel luogo ove già dal 1110 esisteva una chiesa dedicata a Maria poi inglobata nella Basilica come Cappella della Madonna Mora. Nel 1229 era sorto accanto alla chiesetta il convento dei frati fondato probabilmente dallo stesso Sant'Antonio. La vasta costruzione presenta nella sua complessa struttura una caratteristica fusione di stili: elementi romanici nella facciata a campana, gotici nella pianta del deambulatorio con le sette cappelle, bizantini nelle otto cupole rivestite in piombo e moreschi nei due campanili sottili e slanciati. Il tempio fu subito oggetto di attenzioni e cure, anche da parte del Comune di Padova che chiamò i più valenti artisti per decorarlo, a partire da Giotto che pare lavorò per il Capitolo dei Frati, nell'attuale omonimo chiostro. La lunetta del portale maggiore in cui il Mantegna raffigurò i santi Antonio e Bernardino da Siena, oggi conservata al Museo Antoniano, è sostituita da una copia di Nicola Locoff. Le tre porte in bronzo sono state realizzate dall'architetto Camillo Boito (1895). L'interno, a croce latina e a tre navate che si uniscono in semicerchio dietro la tribuna, dove si aprono nove cappelle radiali, è un concentrato di capolavori. Attirano la nostra attenzione soprattutto i monumenti funebri di medici, guerrieri, prelati, letterati. A Michele Sanmicheli si devono il Monumento al cardinale Pietro Bembo (nel secondo pilastro a destra), e quello in onore del nobile veneziano Alessandro Contarini. Le cappelle di destra Le cappelle di destra La prima cappella a destra, in cui riposa il Gattamelata, fu edificata in stile gotico nel 1458 su richiesta della moglie per accogliere la tomba del marito condottiero. Superata la Cappella del Crocifisso o del Sacrocuore incontriamo la Cappella di S. Giacomo o di S. Felice che rappresenta uno straordinario esempio di arte gotica veneziana. Fu realizzata nel 1372 dal capitano dei carraresi Bonifacio dei Lupi di Soragna e fu affrescata da Altichiero da Zevio (Leggenda di S. Giacomo e Crocifissione) tra il 1374 e il 1378, forse con interventi di Jacopo d'Avanzo. Sopra la cappella, l'organo tardo ottocentesco che conta ben 4189 canne. Al di là della sagrestia con armadio quattrocentesco, la trecentesca Sala del Capitolo ospita un frammento di Crocifissione attribuita a Giotto e brani di affreschi della sua bottega. L'Altare Maggiore L'Altare Maggiore L'altare maggiore è preceduto da una balaustra in marmo rosso (1661) con le statue della Fede, Carità, Temperanza e Speranza di Tiziano Aspetti (1593). Alle pareti dodici bassorilievi in bronzo che rappresentano scene dell'Antico Testamento di Andrea Briosco e Bartolomeo Beliamo. L'altare maggiore, al centro di un'abside ampia circondata da un deambulatorio che porta alla Cappella del Tesoro, è uno dei monumenti più prestigiosi della Basilica, nonché uno dei punti di riferimento del Rinascimento italiano. L'altare fu ideato ed eseguito tra il 1443 e il 1450 da Donatello che fu anche autore delle sculture in bronzo dorato che adornano l'altare. Nel 1591 i bronzi furono smontati e smembrati, ma nel 1895 vennero recuperati e inseriti grazie al restauro di Camillo Boito. Un grande Crocifisso sovrasta la Madonna col Bimbo seduta in trono, circondata dalle statue dei Santi protettori di Padova, Giustina, Antonio, Daniele e Prosdocimo, e dai Santi Ludovico e Francesco. Di Donatello è anche, dietro l'altare, la Deposizione in pietra, mentre il monumentale candelabro (1507-1515) con figurazioni sacre e allegoriche a sinistra è di Andrea Briosco, autore pure di due tra i bassorilievi biblici bronzei alle pareti. Il deambulatorio Il deambulatorio Il deambulatorio si apre sulla serie di cappelle, di cui la maggiore ospita il Tesoro, fu eretta in stile barocco alla fine del seicento su disegno del genovese Filippo Parodi, allievo di Bernini. Qui sono infatti custodite le numerose reliquie del Santuario; tra le più venerate la lingua incorrotta del Santo in un preziosissimo reliquiario del fiorentino Giuliano di Giovanni (1436) e il mento in un grande reliquiario di ignoto artista padovano (1350). Nella cappella è anche custodito il sasso che servì al Santo da guanciale all'Arcella, le navicelle rinascimentali per l'incenso e le casse lignee che avevano contenuto i resti del santo. Le cappelle di sinistra Le cappelle di sinistra Dalla Cappella della Madonna Mora, resto della preesistente chiesa di Santa Maria Mater Domini donata a Sant'Antonio nel 1229, si ha accesso alla Cappella del beato Luca Belludi (1382), discepolo del Santo, le cui spoglie riposano nell'urna della parete. La Cappella è decorata dall'ultimo ciclo di affreschi eseguito da Giusto de' Menabuoi con storie dei Santi Filippo e Giacomo. Gli affreschi, in parte deteriorati, sono stati in buona parte rifatti dal Sandri nel 1786 e più volte restaurati. La Cappella è detta anche dei Conti perché fu fatta costruire nel 1382 dalla famiglia Conti, amministratori dei beni carraresi. Messe senza interruzioni si celebrano presso la Cappella dell'Arca del Santo, iniziata nel 1550 da Giovanni Minello su disegni del padovano Andrea Briosco: l'altare al centro, su disegno di Tiziano Aspetti (1593), ha sul retro l'arca in marmo verde con le spoglie del santo portoghese; il soffitto è ornato con stucchi, i primi realizzati in Veneto, di Giovanni Maria Falconetto (1533). La decorazione più importante è costituita dai nove altorilievi delle pareti absidali raffiguranti scene della vita e dei miracoli del Santo, opera di famosi scultori cinquecenteschi (Sansovino, Minello e Tullio Lombardo). I chiostri I chiostri Bellissimi sono pure i chiostri del convento: il Chiostro del Noviziato, quattrocentesco, che reca monumenti di Giovanni Minello e Andrea Briosco, il Chiostro del Capitolo o della Magnolia, ricco di ricordi marmorei, che corrisponde al nucleo originario del cenobio, da cui si accede al Chiostro del Generale, in stile gotico, un tempo detto del Refettorio, che conserva tra gli altri il bassorilievo tombale di Giacoma Leonessa, moglie di Erasmo da Narni, detto il Gattemelata; infine il Chiostro del Museo Antoniano che ospita oltre alla Lunetta del Mantenga, sopra citata, le pale d'altare del Tiepolo e tanti altri capolavori artistici. La Biblioteca Antoniana, a cui possono accedere gli studiosi, si trova al piano superiore del Chiostro del Generale. Istituita nel XIII secolo, contiene oltre 85.000 volumi, tra cui 850 codici manoscritti (alcuni risalenti al IX-X secolo), circa 300 incunaboli, oltre 3.000 cinquecentine e un numero imprecisato di opere del Seicento e del Settecento. Tra i testi più notevoli: un Rationale Divinorum Officiorum, di Guillaume Durand, uno dei primi libri stampati con caratteri mobili (1459); una Cosmographia di Claudio Tolomeo con 26 tavole, le prime incise in rame, del 1462; un codice manoscritto con i Sermoni di Sant'Antonio (Codex Thesauri) con postille (1237). Di particolare valore l'Archivio Musicale della Cappella Musicale della Basilica (fondata nel 1486), ove sono custoditi scritti autografi dei maggiori direttori (Francesco Antonio Vallotti), partiture musicali di eminenti artisti (Giuseppe Tartini, primo violinista al Santo), trattati di teoria musicale. Affidato alla cura del Direttore, nella biblioteca è presente anche l'Archivio Antico e Moderno della Veneranda Arca di Sant'Antonio, l'istituzione cittadina preposta alla salvaguardia e alla tutela del complesso antoniano. L'archivio custodisce tutta la documentazione di tale istituzione a partire dal 1396, anno di fondazione. Le opere di oreficeria, le tele, i quadri e i tessuti prima custoditi nella biblioteca si trovano oggi nel Museo Antoniano.
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Basílica de San Antonio
11 Piazza del Santo
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L'esterno La Basilica di Sant'Antonio, conosciuta con il nome "Il Santo", è il centro religioso più importante della città, e meta di migliaia di pellegrini che ogni anno, e in particolare il 13 giugno, festa del Santo, invadono la città per la famosa processione. Il santo è una delle più grandi chiese del mondo ed è visitata annualmente da oltre 6,5 milioni di pellegrini, che ne fanno uno dei santuari più venerati del mondo cristiano. La piazza del Santo, antistante, ospita il monumento equestre al Gattamelata di Donatello. Donatello realizzò anche le sculture bronzee (Crocifisso della basilica del Santo, statue e formelle di varie dimensioni) che Camillo Boito ha collocato sull'altare maggiore da lui progettato. La Basilica, che fu iniziata nel 1232 per custodire la tomba del frate francescano Antonio, morto a Padova nel 1231, sorge nel luogo ove già dal 1110 esisteva una chiesa dedicata a Maria poi inglobata nella Basilica come Cappella della Madonna Mora. Nel 1229 era sorto accanto alla chiesetta il convento dei frati fondato probabilmente dallo stesso Sant'Antonio. La vasta costruzione presenta nella sua complessa struttura una caratteristica fusione di stili: elementi romanici nella facciata a campana, gotici nella pianta del deambulatorio con le sette cappelle, bizantini nelle otto cupole rivestite in piombo e moreschi nei due campanili sottili e slanciati. Il tempio fu subito oggetto di attenzioni e cure, anche da parte del Comune di Padova che chiamò i più valenti artisti per decorarlo, a partire da Giotto che pare lavorò per il Capitolo dei Frati, nell'attuale omonimo chiostro. La lunetta del portale maggiore in cui il Mantegna raffigurò i santi Antonio e Bernardino da Siena, oggi conservata al Museo Antoniano, è sostituita da una copia di Nicola Locoff. Le tre porte in bronzo sono state realizzate dall'architetto Camillo Boito (1895). L'interno, a croce latina e a tre navate che si uniscono in semicerchio dietro la tribuna, dove si aprono nove cappelle radiali, è un concentrato di capolavori. Attirano la nostra attenzione soprattutto i monumenti funebri di medici, guerrieri, prelati, letterati. A Michele Sanmicheli si devono il Monumento al cardinale Pietro Bembo (nel secondo pilastro a destra), e quello in onore del nobile veneziano Alessandro Contarini. Le cappelle di destra Le cappelle di destra La prima cappella a destra, in cui riposa il Gattamelata, fu edificata in stile gotico nel 1458 su richiesta della moglie per accogliere la tomba del marito condottiero. Superata la Cappella del Crocifisso o del Sacrocuore incontriamo la Cappella di S. Giacomo o di S. Felice che rappresenta uno straordinario esempio di arte gotica veneziana. Fu realizzata nel 1372 dal capitano dei carraresi Bonifacio dei Lupi di Soragna e fu affrescata da Altichiero da Zevio (Leggenda di S. Giacomo e Crocifissione) tra il 1374 e il 1378, forse con interventi di Jacopo d'Avanzo. Sopra la cappella, l'organo tardo ottocentesco che conta ben 4189 canne. Al di là della sagrestia con armadio quattrocentesco, la trecentesca Sala del Capitolo ospita un frammento di Crocifissione attribuita a Giotto e brani di affreschi della sua bottega. L'Altare Maggiore L'Altare Maggiore L'altare maggiore è preceduto da una balaustra in marmo rosso (1661) con le statue della Fede, Carità, Temperanza e Speranza di Tiziano Aspetti (1593). Alle pareti dodici bassorilievi in bronzo che rappresentano scene dell'Antico Testamento di Andrea Briosco e Bartolomeo Beliamo. L'altare maggiore, al centro di un'abside ampia circondata da un deambulatorio che porta alla Cappella del Tesoro, è uno dei monumenti più prestigiosi della Basilica, nonché uno dei punti di riferimento del Rinascimento italiano. L'altare fu ideato ed eseguito tra il 1443 e il 1450 da Donatello che fu anche autore delle sculture in bronzo dorato che adornano l'altare. Nel 1591 i bronzi furono smontati e smembrati, ma nel 1895 vennero recuperati e inseriti grazie al restauro di Camillo Boito. Un grande Crocifisso sovrasta la Madonna col Bimbo seduta in trono, circondata dalle statue dei Santi protettori di Padova, Giustina, Antonio, Daniele e Prosdocimo, e dai Santi Ludovico e Francesco. Di Donatello è anche, dietro l'altare, la Deposizione in pietra, mentre il monumentale candelabro (1507-1515) con figurazioni sacre e allegoriche a sinistra è di Andrea Briosco, autore pure di due tra i bassorilievi biblici bronzei alle pareti. Il deambulatorio Il deambulatorio Il deambulatorio si apre sulla serie di cappelle, di cui la maggiore ospita il Tesoro, fu eretta in stile barocco alla fine del seicento su disegno del genovese Filippo Parodi, allievo di Bernini. Qui sono infatti custodite le numerose reliquie del Santuario; tra le più venerate la lingua incorrotta del Santo in un preziosissimo reliquiario del fiorentino Giuliano di Giovanni (1436) e il mento in un grande reliquiario di ignoto artista padovano (1350). Nella cappella è anche custodito il sasso che servì al Santo da guanciale all'Arcella, le navicelle rinascimentali per l'incenso e le casse lignee che avevano contenuto i resti del santo. Le cappelle di sinistra Le cappelle di sinistra Dalla Cappella della Madonna Mora, resto della preesistente chiesa di Santa Maria Mater Domini donata a Sant'Antonio nel 1229, si ha accesso alla Cappella del beato Luca Belludi (1382), discepolo del Santo, le cui spoglie riposano nell'urna della parete. La Cappella è decorata dall'ultimo ciclo di affreschi eseguito da Giusto de' Menabuoi con storie dei Santi Filippo e Giacomo. Gli affreschi, in parte deteriorati, sono stati in buona parte rifatti dal Sandri nel 1786 e più volte restaurati. La Cappella è detta anche dei Conti perché fu fatta costruire nel 1382 dalla famiglia Conti, amministratori dei beni carraresi. Messe senza interruzioni si celebrano presso la Cappella dell'Arca del Santo, iniziata nel 1550 da Giovanni Minello su disegni del padovano Andrea Briosco: l'altare al centro, su disegno di Tiziano Aspetti (1593), ha sul retro l'arca in marmo verde con le spoglie del santo portoghese; il soffitto è ornato con stucchi, i primi realizzati in Veneto, di Giovanni Maria Falconetto (1533). La decorazione più importante è costituita dai nove altorilievi delle pareti absidali raffiguranti scene della vita e dei miracoli del Santo, opera di famosi scultori cinquecenteschi (Sansovino, Minello e Tullio Lombardo). I chiostri I chiostri Bellissimi sono pure i chiostri del convento: il Chiostro del Noviziato, quattrocentesco, che reca monumenti di Giovanni Minello e Andrea Briosco, il Chiostro del Capitolo o della Magnolia, ricco di ricordi marmorei, che corrisponde al nucleo originario del cenobio, da cui si accede al Chiostro del Generale, in stile gotico, un tempo detto del Refettorio, che conserva tra gli altri il bassorilievo tombale di Giacoma Leonessa, moglie di Erasmo da Narni, detto il Gattemelata; infine il Chiostro del Museo Antoniano che ospita oltre alla Lunetta del Mantenga, sopra citata, le pale d'altare del Tiepolo e tanti altri capolavori artistici. La Biblioteca Antoniana, a cui possono accedere gli studiosi, si trova al piano superiore del Chiostro del Generale. Istituita nel XIII secolo, contiene oltre 85.000 volumi, tra cui 850 codici manoscritti (alcuni risalenti al IX-X secolo), circa 300 incunaboli, oltre 3.000 cinquecentine e un numero imprecisato di opere del Seicento e del Settecento. Tra i testi più notevoli: un Rationale Divinorum Officiorum, di Guillaume Durand, uno dei primi libri stampati con caratteri mobili (1459); una Cosmographia di Claudio Tolomeo con 26 tavole, le prime incise in rame, del 1462; un codice manoscritto con i Sermoni di Sant'Antonio (Codex Thesauri) con postille (1237). Di particolare valore l'Archivio Musicale della Cappella Musicale della Basilica (fondata nel 1486), ove sono custoditi scritti autografi dei maggiori direttori (Francesco Antonio Vallotti), partiture musicali di eminenti artisti (Giuseppe Tartini, primo violinista al Santo), trattati di teoria musicale. Affidato alla cura del Direttore, nella biblioteca è presente anche l'Archivio Antico e Moderno della Veneranda Arca di Sant'Antonio, l'istituzione cittadina preposta alla salvaguardia e alla tutela del complesso antoniano. L'archivio custodisce tutta la documentazione di tale istituzione a partire dal 1396, anno di fondazione. Le opere di oreficeria, le tele, i quadri e i tessuti prima custoditi nella biblioteca si trovano oggi nel Museo Antoniano.
La più vecchia abitazione privata esistente in Città, è indubbiamente il palazzo n. 19 in via S. Lucia. Esso è conosciuto col nome di Palazzo degli Ezzelini, perché alcuni cronisti ne attribuiscono l'erezione a Ezzelino il Balbo, antenato del famigerato tiranno di Padova. Quella costruzione, secondo i suddetti cronisti risale al 1160, cioè circa cento anni prima che il discendente del costruttore s'impadronisse di Padova. Secondo altri cultori la storia padovana, quel palazzo sarebbe anche più antico e l'avrebbe fatto costruire la potente famiglia da Camposampiero. Dopo il 1300 cola abitarono i Carraresi, prima che questi Signori a Padova costruissero la loro magnifica Reggia in Piazza dei Signori e Capitaniato. Coll'andar dei secoli quell'edificio subì grandi modificazioni, in modo che oggi appartengono alla primitiva costruzione soltanto le muraglie esterne, e l'interno venne anche distrutto da un incendio nell'anno 1760. L'immenso arco che sostiene il palazzo, era anticamente chiamato «Volto della Malvasia », forse dal nome di un'osteria che nei pressi esisteva. Infatti a Padova sono presenti altre località che venivano denominate per l'insegna di una vicina osteria. (Per esempio il «Canton del Gallo» è cosi chiamato perche ad uno dei suoi angoli nel medioevo vi era un'osteria con l'insegna del Gallo. La Via Man di ferro (ora via Gregorio Barbarigo) era così chiamata per un'insegna di osteria che era una mano, la quale naturalmente era di ferro). Sopra il Voltone della Malvasia vi era, e vi e ancora, un'ampia sala che nel 1774 venne trasformata in teatro che si chiamo «Teatro S. Lucia », il quale duro fino al 1873 come molti vecchi cittadini ricordano ancora. L'immagine architettonica sembra essersi configurata per lo più intorno al XIII secolo, per le analogie con gli edifici comunali risalenti allo stesso periodo, evidenti ad esempio nelle forme delle bifore del piano superiore. La fabbricazione originale sembra risalire all'origine del XII secolo. La casa, sormontata da un elegante stemma in pietra di Nanto del XV secolo, subì un incendio nel 1760, dal 1794 al 1873 i locali sovrastanti al volto furono ridotti a sala teatrale. Sulla facciata del palazzo a destra del Volto della Malvasia, lapide con medaglione in bronzo, a memoria di Flavio Busonera, membro della Resistenza, qui barbaramente impiccato nel 1944.
Palazzo Ezzelino
La più vecchia abitazione privata esistente in Città, è indubbiamente il palazzo n. 19 in via S. Lucia. Esso è conosciuto col nome di Palazzo degli Ezzelini, perché alcuni cronisti ne attribuiscono l'erezione a Ezzelino il Balbo, antenato del famigerato tiranno di Padova. Quella costruzione, secondo i suddetti cronisti risale al 1160, cioè circa cento anni prima che il discendente del costruttore s'impadronisse di Padova. Secondo altri cultori la storia padovana, quel palazzo sarebbe anche più antico e l'avrebbe fatto costruire la potente famiglia da Camposampiero. Dopo il 1300 cola abitarono i Carraresi, prima che questi Signori a Padova costruissero la loro magnifica Reggia in Piazza dei Signori e Capitaniato. Coll'andar dei secoli quell'edificio subì grandi modificazioni, in modo che oggi appartengono alla primitiva costruzione soltanto le muraglie esterne, e l'interno venne anche distrutto da un incendio nell'anno 1760. L'immenso arco che sostiene il palazzo, era anticamente chiamato «Volto della Malvasia », forse dal nome di un'osteria che nei pressi esisteva. Infatti a Padova sono presenti altre località che venivano denominate per l'insegna di una vicina osteria. (Per esempio il «Canton del Gallo» è cosi chiamato perche ad uno dei suoi angoli nel medioevo vi era un'osteria con l'insegna del Gallo. La Via Man di ferro (ora via Gregorio Barbarigo) era così chiamata per un'insegna di osteria che era una mano, la quale naturalmente era di ferro). Sopra il Voltone della Malvasia vi era, e vi e ancora, un'ampia sala che nel 1774 venne trasformata in teatro che si chiamo «Teatro S. Lucia », il quale duro fino al 1873 come molti vecchi cittadini ricordano ancora. L'immagine architettonica sembra essersi configurata per lo più intorno al XIII secolo, per le analogie con gli edifici comunali risalenti allo stesso periodo, evidenti ad esempio nelle forme delle bifore del piano superiore. La fabbricazione originale sembra risalire all'origine del XII secolo. La casa, sormontata da un elegante stemma in pietra di Nanto del XV secolo, subì un incendio nel 1760, dal 1794 al 1873 i locali sovrastanti al volto furono ridotti a sala teatrale. Sulla facciata del palazzo a destra del Volto della Malvasia, lapide con medaglione in bronzo, a memoria di Flavio Busonera, membro della Resistenza, qui barbaramente impiccato nel 1944.
E’ una delle più antiche chiese della città; la prima notizia certa risale al 1190, mentre in un documento del 1221 viene definita “cappella” senza quindi importanti funzioni religiose; divenne chiesa parrocchiale nel 1308. In passato l’importanza religiosa si univa a quella laica perché in essa ebbero sede varie fraglie (=corporazioni) artigiane; tra cui quella degli speziali e quella dei beccari. Tra gli elementi di maggior interesse: a fianco dell’ingresso, l’affresco della Madonna con il Bambino, eseguito verso il 1450 e attribuito a Jacopo Bellini; presso la parete destra, una tela seicentesca di Pietro Damini da Castelfranco (XVII) che raffigura Gesù nell’atto di consegnare le chiavi a S. Pietro. La facciata: l’attuale facciata è dovuta ad un radicale mutamento del 1598 secondo il gusto manieristi co che si rivela soprattutto nella opulenta decorazione a stucco. La somiglianza con lo stile di S. Canziano sembra avvicinare i due architetti. Nelle nicchie tra le lesene esterne furono poste nel 1696 le statue di S. Alò a sinistra e di S. Giovanni Battista a destra. Sul timpano si ergono tre statue in pietra di S. Germano raffiguranti s. Daniele, S. Clemente e S. Giustina, opera di uno scultore del seicento. Interno: nulla rimane dell’originario vano se non la struttura delle pareti. E’ ad una sola nave; con tre altari addossati alla parete di fondo dei quali quello centrale maggiore è situato nell’abside quadra. Una porta sul lato sinistro immette in un atrio che conduce alla sagrestia, alla canonica e all’uscita laterale in via s. Clemente. Opere in dettaglio – Crocifisso settecentesco; – Pala con miracolo di S. Alò; opera di G. B. Bissoni pittore padovano del XVII secolo. – Tela con il miracolo di S. Clemente opera di Giulio Girello pittore padovano del seicento, seguita da una nicchia un tempo contenente le reliquie di S. Alò e di S. Lorenzo. – Altare dedicato alla Madonna di Pompei ma un tempo a s. Alò; nella tribuna sulla parete sinistra una tela con la deposizione opera di un pittore anonimo del XVII secolo. – Altare dedicato a S. Clemente con la notevole pala raffigurante S. Clemente e il Papa dipinta da Luca Ferrari da Reggio nel XVII secolo; sulla parete destra della tribuna una tela del rodigino G. B. Rossi firmata e datata 1681 raffigura un miracolo della Vergine. – Altare dedicato a s. Antonio, eretto dalla fraglia dei casolini nel 1799. Su questo altare c’era la pala ora appesa alla parete destra raffigurante la predicazione del Battista, opera di Francesco Zanella pittore padovano del sec. XVII/XVIII. – Lapide con iscrizione sopra la quale vi è un bassorilievo settecentesco raffigurante il Battista in mezzo ai caratteristici attrezzi usati dai casolini. – Tela firmata da Pietro Damini da Castelfranco. (XVII) che raffigura Gesù nell’atto di consegnare le chiavi a S. Pietro, inginocchiato alla presenza degli apostoli. In basso a destra il ritratto dell’offerente. – Sopra le reliquie dei santi Tolomeo e Fortunato vi è il tabernacolo della Madonna dei Lumini, un tempo esistente sotto la sale della ragione e qui trasferito nel 1871, come ricorda un’iscrizione. Nella morbidezza del modello del fogliame come pure nelle statue si può forse rintracciare la mano del Bonazza. – A fianco dell’ingresso l’affresco della Madonna con il Bambino, eseguito verso il 1450 e attribuito a Jacopo Bellini. – Nel rosone una vetrata policroma del pittore veronese Pino Canarini (1956). – Il soffitto è decorato con una tempera raffigurante il trionfo di S. Clemente eseguita dal pittore padovano Giacomo Manzoni nel 1896. – Attraverso la porta laterale si passa nell’atrio ove si trova la pala un tempo sull’altare di destra della chiesa, raffigurante in alto il Battista circondato da angeli, e in basso S. Carlo Borromeo ed una santa Monaca, opera firmata da G. Malombra, pittore veneziano. (XVI/XVII). Murati sulle pareti due bassorilievi in pietra tenera patinata eseguiti da un buon artista del 1700 e raffiguranti S. Giuseppe e S. Antonio
Chiesa di San Clemente
E’ una delle più antiche chiese della città; la prima notizia certa risale al 1190, mentre in un documento del 1221 viene definita “cappella” senza quindi importanti funzioni religiose; divenne chiesa parrocchiale nel 1308. In passato l’importanza religiosa si univa a quella laica perché in essa ebbero sede varie fraglie (=corporazioni) artigiane; tra cui quella degli speziali e quella dei beccari. Tra gli elementi di maggior interesse: a fianco dell’ingresso, l’affresco della Madonna con il Bambino, eseguito verso il 1450 e attribuito a Jacopo Bellini; presso la parete destra, una tela seicentesca di Pietro Damini da Castelfranco (XVII) che raffigura Gesù nell’atto di consegnare le chiavi a S. Pietro. La facciata: l’attuale facciata è dovuta ad un radicale mutamento del 1598 secondo il gusto manieristi co che si rivela soprattutto nella opulenta decorazione a stucco. La somiglianza con lo stile di S. Canziano sembra avvicinare i due architetti. Nelle nicchie tra le lesene esterne furono poste nel 1696 le statue di S. Alò a sinistra e di S. Giovanni Battista a destra. Sul timpano si ergono tre statue in pietra di S. Germano raffiguranti s. Daniele, S. Clemente e S. Giustina, opera di uno scultore del seicento. Interno: nulla rimane dell’originario vano se non la struttura delle pareti. E’ ad una sola nave; con tre altari addossati alla parete di fondo dei quali quello centrale maggiore è situato nell’abside quadra. Una porta sul lato sinistro immette in un atrio che conduce alla sagrestia, alla canonica e all’uscita laterale in via s. Clemente. Opere in dettaglio – Crocifisso settecentesco; – Pala con miracolo di S. Alò; opera di G. B. Bissoni pittore padovano del XVII secolo. – Tela con il miracolo di S. Clemente opera di Giulio Girello pittore padovano del seicento, seguita da una nicchia un tempo contenente le reliquie di S. Alò e di S. Lorenzo. – Altare dedicato alla Madonna di Pompei ma un tempo a s. Alò; nella tribuna sulla parete sinistra una tela con la deposizione opera di un pittore anonimo del XVII secolo. – Altare dedicato a S. Clemente con la notevole pala raffigurante S. Clemente e il Papa dipinta da Luca Ferrari da Reggio nel XVII secolo; sulla parete destra della tribuna una tela del rodigino G. B. Rossi firmata e datata 1681 raffigura un miracolo della Vergine. – Altare dedicato a s. Antonio, eretto dalla fraglia dei casolini nel 1799. Su questo altare c’era la pala ora appesa alla parete destra raffigurante la predicazione del Battista, opera di Francesco Zanella pittore padovano del sec. XVII/XVIII. – Lapide con iscrizione sopra la quale vi è un bassorilievo settecentesco raffigurante il Battista in mezzo ai caratteristici attrezzi usati dai casolini. – Tela firmata da Pietro Damini da Castelfranco. (XVII) che raffigura Gesù nell’atto di consegnare le chiavi a S. Pietro, inginocchiato alla presenza degli apostoli. In basso a destra il ritratto dell’offerente. – Sopra le reliquie dei santi Tolomeo e Fortunato vi è il tabernacolo della Madonna dei Lumini, un tempo esistente sotto la sale della ragione e qui trasferito nel 1871, come ricorda un’iscrizione. Nella morbidezza del modello del fogliame come pure nelle statue si può forse rintracciare la mano del Bonazza. – A fianco dell’ingresso l’affresco della Madonna con il Bambino, eseguito verso il 1450 e attribuito a Jacopo Bellini. – Nel rosone una vetrata policroma del pittore veronese Pino Canarini (1956). – Il soffitto è decorato con una tempera raffigurante il trionfo di S. Clemente eseguita dal pittore padovano Giacomo Manzoni nel 1896. – Attraverso la porta laterale si passa nell’atrio ove si trova la pala un tempo sull’altare di destra della chiesa, raffigurante in alto il Battista circondato da angeli, e in basso S. Carlo Borromeo ed una santa Monaca, opera firmata da G. Malombra, pittore veneziano. (XVI/XVII). Murati sulle pareti due bassorilievi in pietra tenera patinata eseguiti da un buon artista del 1700 e raffiguranti S. Giuseppe e S. Antonio
Nell'area delle Porte Contarine si trova uno dei pochi monumenti contemporanei della città, l'opera Memoria e Luce di Daniel Libeskind, architetto statunitense di origine polacca di fama internazionale, riconosciuto come uno tra i dodici più importanti architetti mondiali e già vincitore del concorso per la ricostruzione dell'area di Ground Zero a New York. Monumento "Memoria e Luce" Si tratta di un'imponente struttura luminosa realizzata in vetro e acciaio a ricordare le vittime dell'attentato al World Trade Center dell'11 Settembre 2001. Questa zona, che si estende tra via Matteotti, via Giotto, corso del Popolo e via Trieste, ha sempre avuto una grande importanza per la città. Qui il Tronco Maestro del Bacchiglione confluiva nel Canale del Piovego, che porta alla zona del porto (il Portello) e quindi a Venezia e da qui si diramava il Naviglio Interno (in buona parte interrato negli anni '50), che consentiva il trasporto fin nel cuore della città. Fin dal XIII secolo il sistema di chiuse permetteva di proteggere l'accesso in città e concentrava qui gran parte della fraglia dei barcaroli. Durante la Seconda Guerra Mondiale tutta la zona fu pesantemente bombardata e la ricostruzione diede negli anni un profilo eclettico e disomogeneo, in cui gli edifici dei primi del '900 si alternano a costruzioni degli anni '50 e '60 e poco distanti si elevano i palazzi di vetro del Centro Direzionale di via Gozzi. Lungo il corso d'acqua, poi, si possono ancora ammirare ampi tratti della cinta muraria cinquecentesca che proteggeva la città. Il monumento "Memoria e Luce", unico in Europa, è stato concepito intorno ai resti contorti di una trave del World Trade Center, esposta al padiglione americano della Biennale di Venezia del 2002 e quindi donata dalla città di New York alla Regione Veneto. Si decise di realizzare per questo frammento una cornice capace di essere simbolo di valori universali e di inserirlo quindi in un grande monumento affidato ad un architetto di fama mondiale, da realizzare in un luogo di grande valore simbolico. La scelta di Padova quale collocazione ideale per il monumento è stata sintetizzata dalla console americana Deborah Grace, alla posa della prima pietra: "Padova è una città che ha una lunga tradizione di tolleranza, che ospita una delle più antiche università d'Europa, dove ha lasciato la sua traccia l'insegnamento di Galileo Galilei ... [infatti] Padova è culla di civiltà e cultura, […] dal Medioevo, quando venivano in queste strade studenti da ogni parte d'Europa […] Padova ancora oggi ci insegna che non dobbiamo avere paura della scienza […] Dobbiamo invece avere paura dell'ignoranza e dell'intolleranza che sono le cause principali della violenza e del fanatismo." La struttura si compone di una parete in vetro satinato, lunga 50 metri e con un'altezza variabile da 2 a 5 metri, che termina in un cuneo alto 17 metri, formato anch'esso da due pareti di vetro a forma di libro aperto. All'interno di una di queste due pareti è incastonato il frammento, lungo quasi sei metri, del World Trade Center. Gli aspetti comunicativi della visione di Libeskind dell'architettura e del modo in cui deve dialogare con il contesto e con i suoi fruitori sono evidenti in alcune sue dichiarazioni durante un'intervista: "L'armonia si trova nelle piccole differenze. […] l'architettura è profondamente emotiva, non è solo un'arte intellettuale, non è solo astrazione, va oltre […] il vetro e l'acciaio, e ancora, la matematica, le proporzioni e la geometria: come si possono trasformare queste cose in qualcosa che comunica in profondità con lo spettatore? […] L'architettura, in questo senso, è come la musica. Quando ascolti la musica, non pensi a quali note vengano suonate e quale sia la relazione matematica tra loro […] l'armonia si basa sulla tensione non su un singolo concetto ripetuto all'ennesima potenza. Si deve avere una nota in più per creare una connessione e certamente l'armonia è una struttura polifonica […]" Oggi il monumento Memoria e Luce (inaugurato l'11 settembre 2005) è una presenza suggestiva, pienamente inserita nel paesaggio urbano e in grado di richiamare i valori della fratellanza e del rifiuto di ogni forma di violenza.
Memoria e Luce
15 Via Giotto
Nell'area delle Porte Contarine si trova uno dei pochi monumenti contemporanei della città, l'opera Memoria e Luce di Daniel Libeskind, architetto statunitense di origine polacca di fama internazionale, riconosciuto come uno tra i dodici più importanti architetti mondiali e già vincitore del concorso per la ricostruzione dell'area di Ground Zero a New York. Monumento "Memoria e Luce" Si tratta di un'imponente struttura luminosa realizzata in vetro e acciaio a ricordare le vittime dell'attentato al World Trade Center dell'11 Settembre 2001. Questa zona, che si estende tra via Matteotti, via Giotto, corso del Popolo e via Trieste, ha sempre avuto una grande importanza per la città. Qui il Tronco Maestro del Bacchiglione confluiva nel Canale del Piovego, che porta alla zona del porto (il Portello) e quindi a Venezia e da qui si diramava il Naviglio Interno (in buona parte interrato negli anni '50), che consentiva il trasporto fin nel cuore della città. Fin dal XIII secolo il sistema di chiuse permetteva di proteggere l'accesso in città e concentrava qui gran parte della fraglia dei barcaroli. Durante la Seconda Guerra Mondiale tutta la zona fu pesantemente bombardata e la ricostruzione diede negli anni un profilo eclettico e disomogeneo, in cui gli edifici dei primi del '900 si alternano a costruzioni degli anni '50 e '60 e poco distanti si elevano i palazzi di vetro del Centro Direzionale di via Gozzi. Lungo il corso d'acqua, poi, si possono ancora ammirare ampi tratti della cinta muraria cinquecentesca che proteggeva la città. Il monumento "Memoria e Luce", unico in Europa, è stato concepito intorno ai resti contorti di una trave del World Trade Center, esposta al padiglione americano della Biennale di Venezia del 2002 e quindi donata dalla città di New York alla Regione Veneto. Si decise di realizzare per questo frammento una cornice capace di essere simbolo di valori universali e di inserirlo quindi in un grande monumento affidato ad un architetto di fama mondiale, da realizzare in un luogo di grande valore simbolico. La scelta di Padova quale collocazione ideale per il monumento è stata sintetizzata dalla console americana Deborah Grace, alla posa della prima pietra: "Padova è una città che ha una lunga tradizione di tolleranza, che ospita una delle più antiche università d'Europa, dove ha lasciato la sua traccia l'insegnamento di Galileo Galilei ... [infatti] Padova è culla di civiltà e cultura, […] dal Medioevo, quando venivano in queste strade studenti da ogni parte d'Europa […] Padova ancora oggi ci insegna che non dobbiamo avere paura della scienza […] Dobbiamo invece avere paura dell'ignoranza e dell'intolleranza che sono le cause principali della violenza e del fanatismo." La struttura si compone di una parete in vetro satinato, lunga 50 metri e con un'altezza variabile da 2 a 5 metri, che termina in un cuneo alto 17 metri, formato anch'esso da due pareti di vetro a forma di libro aperto. All'interno di una di queste due pareti è incastonato il frammento, lungo quasi sei metri, del World Trade Center. Gli aspetti comunicativi della visione di Libeskind dell'architettura e del modo in cui deve dialogare con il contesto e con i suoi fruitori sono evidenti in alcune sue dichiarazioni durante un'intervista: "L'armonia si trova nelle piccole differenze. […] l'architettura è profondamente emotiva, non è solo un'arte intellettuale, non è solo astrazione, va oltre […] il vetro e l'acciaio, e ancora, la matematica, le proporzioni e la geometria: come si possono trasformare queste cose in qualcosa che comunica in profondità con lo spettatore? […] L'architettura, in questo senso, è come la musica. Quando ascolti la musica, non pensi a quali note vengano suonate e quale sia la relazione matematica tra loro […] l'armonia si basa sulla tensione non su un singolo concetto ripetuto all'ennesima potenza. Si deve avere una nota in più per creare una connessione e certamente l'armonia è una struttura polifonica […]" Oggi il monumento Memoria e Luce (inaugurato l'11 settembre 2005) è una presenza suggestiva, pienamente inserita nel paesaggio urbano e in grado di richiamare i valori della fratellanza e del rifiuto di ogni forma di violenza.
La storia L'Orto Botanico di Padova, fondato nel 1545, è il più antico Orto Botanico Universitario del mondo che abbia conservato l'ubicazione originaria e che abbia mantenuto, praticamente inalterata, la sua originaria struttura. L'impianto architettonico testimonia la ricerca dell'equilibrio e la perfezione formale della cultura umanistica. Orto Botanico Realizzato su un terreno un tempo di proprietà dei monaci benedettini di Santa Giustina dove si coltivavano piante medicinali, fu istituito su delibera del Senato della Repubblica Veneta, accogliendo la proposta di Francesco Bonafede, lettore dei Semplici, che deliberò l'istituzione a Padova di un Horto Medicinale dove coltivare, osservare, studiare e sperimentare le piante medicinali che allora costituivano la grande maggioranza dei "semplici", ovvero di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Per questa ragione i primi Orti Botanici si chiamarono Giardini dei Semplici (Hortus Simplicium). L'esigenza di un'istituzione di questo tipo appare chiara se si considera che le piante medicinali rappresentavano a quel tempo la principale risorsa terapeutica e che il loro impiego, ai fini terapeutici, si basava quasi esclusivamente sui testi degli antichi medici greci, latini ed arabi. L'interpretazione di questi testi, a causa anche delle varie trascrizioni, era alquanto controversa e frequenti erano gli errori di identificazione delle specie descritte. Ciò comportava spesso l'utilizzo in medicina di piante sbagliate, inefficaci e non di rado dannose. La possibilità di poter disporre di un Horto dove gli studenti di Medicina potessero ricevere anche una preparazione pratica, oltre che teorica, e si impratichissero nel riconoscimento delle droghe vegetali, consentiva anche di individuare le frequenti sofisticazioni e frodi cui erano soggetti a quel tempo i semplici vegetali, da parte dei fornitori e degli speziali. Il progetto Il progetto dell'Orto viene attribuito al dotto patrizio veneziano Daniele Barbaro, divenuto poi Patriarca di Aquileia, e a Pietro da Noale, insigne professore di Medicina all'Università di Padova. La realizzazione è opera invece del bergamasco Andrea Moroni, il cui nome è legato a numerose altre opere architettoniche padovane, tra cui il Palazzo del Bo' (sede centrale dell'Università), la Basilica di Santa Giustina e il palazzo che attualmente è sede del Municipio (Palazzo Moroni). Si narra che le piante, costituite da circa 1800 esemplari, che il primo "custode" dell'Orto, Luigi Squalermo detto Anguillara, fece piantare furono rubate dopo qualche giorno. Per questa ragione nel 1552, pochi anni dopo la fondazione, fu costruito un alto muro circolare di recinzione per impedire i continui furti notturni e furono stabilite anche le pene (multe, carcere, esilio) che sarebbero state inflitte a tutti coloro che avessero osato rubare o danneggiare le piante dell'Orto. L'Orto fu continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo e specialmente dai paesi dove la Repubblica di Venezia aveva possedimenti o rapporti commerciali. Per questo Padova ha avuto un posto preminente nell'introduzione e nello studio di molte piante esotiche. Analogamente agli altri Orti Botanici italiani, anche l'Orto Botanico patavino, durante i suoi oltre quattro secoli di vita, ha contribuito all'introduzione e alla diffusione in Italia di numerose piante esotiche, alcune delle quali molto note, come il ginkgo biloba, la magnolia, la patata, il gelsomino, l'acacia e il girasole, il lillà, il rabarbaro, il ciclamino persiano, per un totale di circa 70 specie. Una specifica raccolta, collocata di fronte alle serre, documenta queste introduzioni, che sono esposte in ordine cronologico. L'architettura La configurazione architettonica esterna è stata completata agli inizi del Settecento con la realizzazione dei quattro ingressi monumentali, delle cancellate in ferro battuto e della balaustra con colonnine in pietra d'Istria che sovrasta il muro circolare su cui furono collocati vasi e busti di importanti personaggi, rivolti verso il centro dell'Orto. In tempi successivi, l'Orto si estese ad occupare anche l'area esterna al muro circolare, dove vennero realizzate altre fontane: la fontana detta di Teofrasto, perché vi fu collocata una statua del medico greco del III secolo a.C., considerato il padre della botanica (porta Sud) e quella detta delle Quattro Stagioni (porta Est) per la presenza, oltre a una statua di Salomone, dello scultore padovano Antonio Bonazza, dei busti marmorei settecenteschi raffiguranti le Quattro Stagioni. Nella prima metà dell'Ottocento furono poi inserite tre meridiane, una cubica, una sferica e una cilindrica, e furono anche realizzate le serre in muratura, al posto delle "conserve", i mobili utilizzati in precedenza. Attualmente si contano 2 serre calde e 8 serre temperate di modeste dimensioni, di cui una conserva ancora la struttura originale interna, con eleganti colonnine e archi in ghisa. Per la limitata disponibilità di serre, le collezioni vive dell'Orto sono collocate prevalentemente all'aperto. Sempre alla prima metà dell'800 risale la costruzione dell'aula ad emiciclo della capienza di cento studenti, detta "teatro botanico", tuttora in uso per lezioni e riunioni. Il grande edificio in prossimità dell'ingresso, che risale ai secoli XVII e XVIII, costituiva un tempo l'abitazione del direttore dell'Orto, tradizionalmente chiamato Prefetto. Oggi la palazzina ospita al piano terra spazi destinati a esposizioni museali, al primo piano la Biblioteca storica, che conserva preziosi manoscritti botanici e libri illustrati, l'archivio dell'Orto botanico e l'Erbario, mentre al secondo piano si trovano la direzione dell'Orto e locali adibiti alla conservazione dei semi. La struttura L'Orto sorge su un'area di forma trapezoidale di circa due ettari ed è delimitato su due lati dal canale Alicorno dal quale, fino a pochi decenni fa, veniva prelevata l'acqua per l'irrigazione. Orto Botanico La parte più antica è quella racchiusa entro il muro circolare, iscritta in un quadrato e suddivisa a sua volta in quattro quadrati minori, detti "quarti" o anche "spalti" separati da due viali perpendicolari orientati secondo i punti cardinali che rappresentano i quattro elementi: acqua, terra, aria, fuoco. La forma circolare e la caratteristica ripartizione geometrica che suddivide l'area in 16 settori, è ricca di riferimenti e di simbologie cosmologiche, proprie del periodo rinascimentale. La circonferenza è il simbolo della perfezione dell'Universo. Cerchio e quadrato rappresentano infatti, nei principi filosofici del tempo, l'universo e la terra. Attualmente ogni quarto, provvisto di fontana centrale, è diviso a sua volta in 250 aiuole, chiamate areole, disposte secondo differenti ed eleganti geometrie. Le piante Nell'Orto sono attualmente coltivate circa 6000 piante di tutti i tipi, di tutti i climi e continenti, contrassegnate da apposite etichette che riportano oltre al nome scientifico della specie, l'iniziale o la sigla dell'autore che l'ha per primo validamente denominata e descritta, la famiglia di appartenenza ed il luogo di origine e, in questo caso, anche l'anno di introduzione oppure di impianto in Orto. Nel primo settore di sinistra, a nord-ovest, un maestoso esemplare di Ginko Biloba, alto ben diciotto metri e piantato nel 1750. Serra della palma di Goethe Nel settore a destra, a sud-est, la famosa Palma di San Pietro (Camaerops humilis arborescens), meglio conosciuta come Palma di Goethe perché ispirò al poeta naturalista tedesco in visita a Padova nel settembre del 1786, una teoria sulla metamorfosi delle piante. La Palma di San Pietro, piantata nel 1585, è considerata la più vecchia dell'Orto, ma a contendere tale primato di anzianità, fuori dal recinto c'è un Agnocasto (Vitex Agnus Cactus) non molto vitale, ma piantato nel 1550. Sempre in questo settore troviamo anche una bella Magnolia Grandiflora, probabilmente piantata nel 1786 e ritenuta la più antica d'Europa. Nelle due grandi vasche, in prossimità della porta nord, con acqua mantenuta a temperatura costante (circa 25°) da un pozzo artesiano, profondo 270 metri e lievemente termale, vengono coltivate curiose e pittoresche piante acquatiche. Tra le specie presenti figurano sia esempi di piante ancorate al terreno (papiro, fior di loto, ninfea, ecc.) che di piante galleggianti (giacinto d'acqua, pistia, lente d'acqua, ecc.). Da alcuni anni viene coltivata all'aperto, con ottimi risultati, anche la gigante e rinomata ninfeacea dell'America tropicale: Victoria cruziana. Le serre e l'arboreto Usciti dal muro di cinta della circonferenza più antica e procedendo verso destra troviamo entro serre piante tropicali, le orchidee, le piante grasse e le piante carnivore. L'Orto ospita una ricca collezione di piante medicinali suddivisa in due settori, di cui uno riservato alle piante di impiego attuale, mentre nel secondo trovano posto i "Semplici" che hanno avuto un certo interesse applicativo nel passato e che ora rivestono solamente un valore storico. Ciascuna pianta è contrassegnata da un cartellino che riporta il nome scientifico e le principali proprietà terapeutiche. Orto Botanico Nell'Arboreto, che fu realizzato dalla seconda metà del Settecento all'esterno del muro circolare, si trovano un gigantesco platano orientale (Platanus orientalis) del 1680 con la sua caratteristica cavità creatasi nel tronco forse a causa di un fulmine, e un cedro dell'Himalaya, che pur se non ancora albero storico, è importante in quanto rappresenta il primo esemplare di questa specie introdotto in Italia (1828). Nell'Arboreto si trova anche esposto, adagiato al suolo, un frammento di fusto subfossile di una grossa quercia e precisamente una farnia (Quercus robur), rinvenuta nel corso di scavi presso Padova e fatta risalire al 700 a.C., a testimonianza delle foreste che ricoprivano un tempo tutta la Pianura padana, prima della distruzione dei boschi ad opera dell'uomo. Il giardino della biodiversità Nelle serre del giardino della biodiversità ci sono circa 1.300 specie vegetali che rappresentano le piante del nostro Pianeta, da quelle che vivono nelle condizioni più favorevoli a quelle che vivono nelle condizioni più estreme. Le serre simulano le condizioni climatiche dei vari sistemi ambientali: dalle aree tropicali alle zone subumide, dalle zone temperate a quelle aride. Per approfondimenti Il ruolo dell'Orto Botanico L'Orto di Padova ha esercitato, fin dal Cinquecento, una profonda influenza nell'ambiente scientifico, sia nazionale che europeo. In quanto importante centro di studio e di ricerca, all'avanguardia nella coltivazione e acclimatazione di piante esotiche, fu frequentato da studenti stranieri e studiosi in viaggio in Italia per i quali rappresentò un modello cui ispirarsi per l'istituzione di strutture analoghe nella loro patria. L'Orto di Padova, definito per questa ragione "la madre" di tutti gli Orti botanici del mondo, non ha solo rappresentato la cultura della scienza botanica, ma ha anche svolto un ruolo di grande rilievo per lo sviluppo di numerose altre discipline scientifiche, come la medicina, la chimica, l'ecologia e la farmacologia. Molti dei botanici che si succedettero nella carica di prefetto dell'Orto furono persone di grande spicco e godettero di stima ed ammirazione per la loro erudizione, tanto che ad essi furono dedicate numerose specie di piante e anche interi generi. L'Orto si interessa alla conservazione di specie rare e minacciate, svolge un'intensa attività di ricerca, sperimentazione e raccolta ad altissimo livello scientifico e fa parte della celebre Università di Padova, fondata nel 1222. Nel 1997 l'Orto Botanico di Padova è stato inserito, come bene culturale, nella lista del Patrimonio mondiale dell'Unesco. Presso il Centro visitatori sono spesso anche allestite mostre. Sono possibili visite guidate e itinerari per non vedenti. http://www.ortobotanicopd.it/it/biglietti
130 personas del lugar lo recomiendan
Universidad de Padua, Jardín Botánico
15 Via Orto Botanico
130 personas del lugar lo recomiendan
La storia L'Orto Botanico di Padova, fondato nel 1545, è il più antico Orto Botanico Universitario del mondo che abbia conservato l'ubicazione originaria e che abbia mantenuto, praticamente inalterata, la sua originaria struttura. L'impianto architettonico testimonia la ricerca dell'equilibrio e la perfezione formale della cultura umanistica. Orto Botanico Realizzato su un terreno un tempo di proprietà dei monaci benedettini di Santa Giustina dove si coltivavano piante medicinali, fu istituito su delibera del Senato della Repubblica Veneta, accogliendo la proposta di Francesco Bonafede, lettore dei Semplici, che deliberò l'istituzione a Padova di un Horto Medicinale dove coltivare, osservare, studiare e sperimentare le piante medicinali che allora costituivano la grande maggioranza dei "semplici", ovvero di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Per questa ragione i primi Orti Botanici si chiamarono Giardini dei Semplici (Hortus Simplicium). L'esigenza di un'istituzione di questo tipo appare chiara se si considera che le piante medicinali rappresentavano a quel tempo la principale risorsa terapeutica e che il loro impiego, ai fini terapeutici, si basava quasi esclusivamente sui testi degli antichi medici greci, latini ed arabi. L'interpretazione di questi testi, a causa anche delle varie trascrizioni, era alquanto controversa e frequenti erano gli errori di identificazione delle specie descritte. Ciò comportava spesso l'utilizzo in medicina di piante sbagliate, inefficaci e non di rado dannose. La possibilità di poter disporre di un Horto dove gli studenti di Medicina potessero ricevere anche una preparazione pratica, oltre che teorica, e si impratichissero nel riconoscimento delle droghe vegetali, consentiva anche di individuare le frequenti sofisticazioni e frodi cui erano soggetti a quel tempo i semplici vegetali, da parte dei fornitori e degli speziali. Il progetto Il progetto dell'Orto viene attribuito al dotto patrizio veneziano Daniele Barbaro, divenuto poi Patriarca di Aquileia, e a Pietro da Noale, insigne professore di Medicina all'Università di Padova. La realizzazione è opera invece del bergamasco Andrea Moroni, il cui nome è legato a numerose altre opere architettoniche padovane, tra cui il Palazzo del Bo' (sede centrale dell'Università), la Basilica di Santa Giustina e il palazzo che attualmente è sede del Municipio (Palazzo Moroni). Si narra che le piante, costituite da circa 1800 esemplari, che il primo "custode" dell'Orto, Luigi Squalermo detto Anguillara, fece piantare furono rubate dopo qualche giorno. Per questa ragione nel 1552, pochi anni dopo la fondazione, fu costruito un alto muro circolare di recinzione per impedire i continui furti notturni e furono stabilite anche le pene (multe, carcere, esilio) che sarebbero state inflitte a tutti coloro che avessero osato rubare o danneggiare le piante dell'Orto. L'Orto fu continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo e specialmente dai paesi dove la Repubblica di Venezia aveva possedimenti o rapporti commerciali. Per questo Padova ha avuto un posto preminente nell'introduzione e nello studio di molte piante esotiche. Analogamente agli altri Orti Botanici italiani, anche l'Orto Botanico patavino, durante i suoi oltre quattro secoli di vita, ha contribuito all'introduzione e alla diffusione in Italia di numerose piante esotiche, alcune delle quali molto note, come il ginkgo biloba, la magnolia, la patata, il gelsomino, l'acacia e il girasole, il lillà, il rabarbaro, il ciclamino persiano, per un totale di circa 70 specie. Una specifica raccolta, collocata di fronte alle serre, documenta queste introduzioni, che sono esposte in ordine cronologico. L'architettura La configurazione architettonica esterna è stata completata agli inizi del Settecento con la realizzazione dei quattro ingressi monumentali, delle cancellate in ferro battuto e della balaustra con colonnine in pietra d'Istria che sovrasta il muro circolare su cui furono collocati vasi e busti di importanti personaggi, rivolti verso il centro dell'Orto. In tempi successivi, l'Orto si estese ad occupare anche l'area esterna al muro circolare, dove vennero realizzate altre fontane: la fontana detta di Teofrasto, perché vi fu collocata una statua del medico greco del III secolo a.C., considerato il padre della botanica (porta Sud) e quella detta delle Quattro Stagioni (porta Est) per la presenza, oltre a una statua di Salomone, dello scultore padovano Antonio Bonazza, dei busti marmorei settecenteschi raffiguranti le Quattro Stagioni. Nella prima metà dell'Ottocento furono poi inserite tre meridiane, una cubica, una sferica e una cilindrica, e furono anche realizzate le serre in muratura, al posto delle "conserve", i mobili utilizzati in precedenza. Attualmente si contano 2 serre calde e 8 serre temperate di modeste dimensioni, di cui una conserva ancora la struttura originale interna, con eleganti colonnine e archi in ghisa. Per la limitata disponibilità di serre, le collezioni vive dell'Orto sono collocate prevalentemente all'aperto. Sempre alla prima metà dell'800 risale la costruzione dell'aula ad emiciclo della capienza di cento studenti, detta "teatro botanico", tuttora in uso per lezioni e riunioni. Il grande edificio in prossimità dell'ingresso, che risale ai secoli XVII e XVIII, costituiva un tempo l'abitazione del direttore dell'Orto, tradizionalmente chiamato Prefetto. Oggi la palazzina ospita al piano terra spazi destinati a esposizioni museali, al primo piano la Biblioteca storica, che conserva preziosi manoscritti botanici e libri illustrati, l'archivio dell'Orto botanico e l'Erbario, mentre al secondo piano si trovano la direzione dell'Orto e locali adibiti alla conservazione dei semi. La struttura L'Orto sorge su un'area di forma trapezoidale di circa due ettari ed è delimitato su due lati dal canale Alicorno dal quale, fino a pochi decenni fa, veniva prelevata l'acqua per l'irrigazione. Orto Botanico La parte più antica è quella racchiusa entro il muro circolare, iscritta in un quadrato e suddivisa a sua volta in quattro quadrati minori, detti "quarti" o anche "spalti" separati da due viali perpendicolari orientati secondo i punti cardinali che rappresentano i quattro elementi: acqua, terra, aria, fuoco. La forma circolare e la caratteristica ripartizione geometrica che suddivide l'area in 16 settori, è ricca di riferimenti e di simbologie cosmologiche, proprie del periodo rinascimentale. La circonferenza è il simbolo della perfezione dell'Universo. Cerchio e quadrato rappresentano infatti, nei principi filosofici del tempo, l'universo e la terra. Attualmente ogni quarto, provvisto di fontana centrale, è diviso a sua volta in 250 aiuole, chiamate areole, disposte secondo differenti ed eleganti geometrie. Le piante Nell'Orto sono attualmente coltivate circa 6000 piante di tutti i tipi, di tutti i climi e continenti, contrassegnate da apposite etichette che riportano oltre al nome scientifico della specie, l'iniziale o la sigla dell'autore che l'ha per primo validamente denominata e descritta, la famiglia di appartenenza ed il luogo di origine e, in questo caso, anche l'anno di introduzione oppure di impianto in Orto. Nel primo settore di sinistra, a nord-ovest, un maestoso esemplare di Ginko Biloba, alto ben diciotto metri e piantato nel 1750. Serra della palma di Goethe Nel settore a destra, a sud-est, la famosa Palma di San Pietro (Camaerops humilis arborescens), meglio conosciuta come Palma di Goethe perché ispirò al poeta naturalista tedesco in visita a Padova nel settembre del 1786, una teoria sulla metamorfosi delle piante. La Palma di San Pietro, piantata nel 1585, è considerata la più vecchia dell'Orto, ma a contendere tale primato di anzianità, fuori dal recinto c'è un Agnocasto (Vitex Agnus Cactus) non molto vitale, ma piantato nel 1550. Sempre in questo settore troviamo anche una bella Magnolia Grandiflora, probabilmente piantata nel 1786 e ritenuta la più antica d'Europa. Nelle due grandi vasche, in prossimità della porta nord, con acqua mantenuta a temperatura costante (circa 25°) da un pozzo artesiano, profondo 270 metri e lievemente termale, vengono coltivate curiose e pittoresche piante acquatiche. Tra le specie presenti figurano sia esempi di piante ancorate al terreno (papiro, fior di loto, ninfea, ecc.) che di piante galleggianti (giacinto d'acqua, pistia, lente d'acqua, ecc.). Da alcuni anni viene coltivata all'aperto, con ottimi risultati, anche la gigante e rinomata ninfeacea dell'America tropicale: Victoria cruziana. Le serre e l'arboreto Usciti dal muro di cinta della circonferenza più antica e procedendo verso destra troviamo entro serre piante tropicali, le orchidee, le piante grasse e le piante carnivore. L'Orto ospita una ricca collezione di piante medicinali suddivisa in due settori, di cui uno riservato alle piante di impiego attuale, mentre nel secondo trovano posto i "Semplici" che hanno avuto un certo interesse applicativo nel passato e che ora rivestono solamente un valore storico. Ciascuna pianta è contrassegnata da un cartellino che riporta il nome scientifico e le principali proprietà terapeutiche. Orto Botanico Nell'Arboreto, che fu realizzato dalla seconda metà del Settecento all'esterno del muro circolare, si trovano un gigantesco platano orientale (Platanus orientalis) del 1680 con la sua caratteristica cavità creatasi nel tronco forse a causa di un fulmine, e un cedro dell'Himalaya, che pur se non ancora albero storico, è importante in quanto rappresenta il primo esemplare di questa specie introdotto in Italia (1828). Nell'Arboreto si trova anche esposto, adagiato al suolo, un frammento di fusto subfossile di una grossa quercia e precisamente una farnia (Quercus robur), rinvenuta nel corso di scavi presso Padova e fatta risalire al 700 a.C., a testimonianza delle foreste che ricoprivano un tempo tutta la Pianura padana, prima della distruzione dei boschi ad opera dell'uomo. Il giardino della biodiversità Nelle serre del giardino della biodiversità ci sono circa 1.300 specie vegetali che rappresentano le piante del nostro Pianeta, da quelle che vivono nelle condizioni più favorevoli a quelle che vivono nelle condizioni più estreme. Le serre simulano le condizioni climatiche dei vari sistemi ambientali: dalle aree tropicali alle zone subumide, dalle zone temperate a quelle aride. Per approfondimenti Il ruolo dell'Orto Botanico L'Orto di Padova ha esercitato, fin dal Cinquecento, una profonda influenza nell'ambiente scientifico, sia nazionale che europeo. In quanto importante centro di studio e di ricerca, all'avanguardia nella coltivazione e acclimatazione di piante esotiche, fu frequentato da studenti stranieri e studiosi in viaggio in Italia per i quali rappresentò un modello cui ispirarsi per l'istituzione di strutture analoghe nella loro patria. L'Orto di Padova, definito per questa ragione "la madre" di tutti gli Orti botanici del mondo, non ha solo rappresentato la cultura della scienza botanica, ma ha anche svolto un ruolo di grande rilievo per lo sviluppo di numerose altre discipline scientifiche, come la medicina, la chimica, l'ecologia e la farmacologia. Molti dei botanici che si succedettero nella carica di prefetto dell'Orto furono persone di grande spicco e godettero di stima ed ammirazione per la loro erudizione, tanto che ad essi furono dedicate numerose specie di piante e anche interi generi. L'Orto si interessa alla conservazione di specie rare e minacciate, svolge un'intensa attività di ricerca, sperimentazione e raccolta ad altissimo livello scientifico e fa parte della celebre Università di Padova, fondata nel 1222. Nel 1997 l'Orto Botanico di Padova è stato inserito, come bene culturale, nella lista del Patrimonio mondiale dell'Unesco. Presso il Centro visitatori sono spesso anche allestite mostre. Sono possibili visite guidate e itinerari per non vedenti. http://www.ortobotanicopd.it/it/biglietti
Prato della Valle, uno dei simboli di Padova, è una grande piazza ellittica che, oltre ad essere la maggiore piazza padovana, è una delle più grandi d'Europa (88620 mq), seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Prato della Valle - ph Danesin La piazza è in realtà un grande spazio monumentale caratterizzato da un'isola verde centrale, chiamata Isola Memmia, in onore del podestà che commissionò i lavori, circondata da un canale ornato da un doppio basamento di statue numerate di celebri personaggi del passato che secondo il progetto originario dovevano essere 88. Oggi possiamo osservare, invece, solo 78 statue con 8 piedistalli sormontati da obelischi e 2 vuoti. Quattro viali attraversano il Prato su piccoli ponti, per poi incontrarsi al centro dell'isolotto. La sistemazione trae ispirazione dalla grande tradizione veneta del giardino patrizio; qui per la prima volta questo venne distolto dall'uso privato e proposto, secondo i concetti neoclassici, come soluzione urbanistica e qualificazione ambientale. Breve storia Fin dall'antichità questo spazio aperto ebbe funzioni economiche e ricreative. In epoca romana fu sede di un vasto teatro, lo Zairo, delle cui fondamenta sono state rinvenute le tracce nel canale che circonda l'Isola Memmia, e di un circo per le corse dei cavalli. Nell'epoca delle persecuzioni contro i primi cristiani, il circo fu utilizzato per i combattimenti. Qui furono martirizzati due dei quattro patroni della città, Santa Giustina e San Daniele. Nel Medioevo fu invece sede di fiere, giostre, feste pubbliche e gare, come le corse dei "sedioli", una specie di biga tipicamente padovana o il "castello d'amore", che si concludeva con la conquista delle belle ragazze da marito da parte di giovanotti venuti da tutto il Veneto. La domenica delle Palme era anche il luogo tradizionale delle grandi assemblee "di tutti gli uomini liberi del Padovano" e già nel 1077 era luogo da "mercato" e due volte al mese aveva luogo il mercato degli animali. Ad ottobre e a novembre si tenevano invece le due grandi fiere in onore dei Santi Patroni Giustina e Prosdocimo. Persino le più frequentate prediche di Sant'Antonio venivano tenute in Prato della Valle. Sebbene si trovasse a ridosso delle mura della città, continuò a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, dovuto alla conformazione a catino del terreno, dove l'acqua ristagnava, tanto da assumere quell'aspetto di valle che giustifica il nome. Inoltre esso non era proprietà demaniale, ma dell'abbazia di S. Giustina che, durante la dominazione veneziana, non aveva i mezzi di curarne la bonifica. Tutti questi fattori, come pure la destinazione cimiteriale di una sua parte, contribuirono così a preservare la zona da radicali cambiamenti e a lasciarla a lungo inedificata. Il progetto di Memmo Il 14 febbraio del 1767 il Senato Veneto dichiarò l'area di proprietà comunale contro le pretese dei monaci di Santa Giustina. Prato della Valle - ph Danesin Qualche anno dopo, nel 1775, Andrea Memmo, patrizio veneziano illuminista, nominato Provveditore della Serenissima a Padova, con l'aiuto dell'abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza e Padova e progettista di diverse opere pubbliche a Padova e dintorni, valorizzò questo spazio attuando una radicale bonifica e creando una canalizzazione sotterranea destinata a far defluire le acque dell'anello centrale, che tuttora vediamo, valicato da 4 ponti, recingere una specie di grande aiuola circolare. Secondo le cronache, per la realizzazione dell'isola Memmia, dei ponti e della canaletta bastarono 44 giorni e senza aggravio per l'erario in quanto Andrea Memmo usò anche il suo denaro. Il suo progetto, rimasto in parte incompiuto, è visibile in un'incisione su rame di Francesco Piranesi del 1785. Sembra che Memmo avesse commissionato questa e altre rappresentazioni e le tenesse esposte a Palazzo Venezia, sede dell'ambasciata della Repubblica a Roma, nell'intento di ottenere il finanziamento per le statue ornamentali, proponendolo a persone notabili. Le statue su piedistallo che adornano la piazza, 38 lungo l'anello interno all'Isola Mummia e 40 lungo quello esterno, furono scolpite in pietra di Costozza tra il 1775 e il 1883 da diversi artisti. Esse rappresentano i più illustri figli della città, padovani di nascita o d'adozione, e ricordano professori e studenti che onorarono la città e lo Studio padovano. Solo gli spazi dell'ingresso ai quattro ponti furono riservati a personaggi politici, a Dogi e Papi. La statua numero 44 rappresenta Andrea Memmo e fu innalzata due anni dopo la sua morte, nel 1794, ad opera del padovano Felice Chiereghin. Valore artistico ha la numero 52 del giro interno, opera giovanile del celebre scultore Antonio Canova, di cui l'originale è oggi ai Musei Civici; essa rappresenta Giovanni Poleni, il matematico e fisico veneziano che a soli 25 anni fu insegnante di astronomia e fisica presso la nostra università. Tra le atre statue ricordiamo quelle di Antenore, Torquato Tasso, Pietro D'Abano, Andrea Mantegna, Ludovico Ariosto, Francesco Petrarca, Galileo Galilei, Giovanni Dondi dell'Orologio, Antonio Canova stesso e Antenore, che, secondo il mito, fu il fondatore di Padova. L'idea del Memmo era quella di creare un nuovo centro commerciale cittadino, uno spazio adatto per fiere e manifestazioni. Riuscì così a trasformare in pochissimo tempo il centro di Prato della Valle da palude malsana in luogo di mercati, spettacoli, incontri e di passeggio. Nell'isola Memmia furono così inizialmente allestiti padiglioni per dar vita ad un mercato, ma in seguito, al posto delle botteghe, furono piantati degli alberi che tanto hanno contribuito a dare un gusto tipicamente inglese alla piazza ma che al tempo stesso, per l'eterogeneità degli edifici che la circondano, così lontana dalla regolarità dell'edilizia inglese, l'hanno resa unica, originale e indimenticabile. Così d'Annunzio la cantò nella sua "Città del silenzio": "…prato molle, ombrato d'olmi e di marmi, che cinge la riviera e le rondini rigano di strida, tutti i pensieri miei furono colmi d'amore e i sensi miei di primavera come in un lembo del giardin d'Armida" Il Prato oggi Dopo l'Unità d'Italia, quest'area era stata ribattezzata Piazza Vittorio Emanuele II, ma è prevalso il nome storico o più semplicemente il Prato, come lo chiamano i padovani. Noto anche come "il prato senza erba", a causa della carenza di erba dovuta alla presenza di troppi alberi, oggi è invece completamente erboso, poiché degli originali alberi ne è sopravvissuto solamente uno. Mentre negli anni '90 il Prato era afflitto da degrado, oggi tutta la piazza è completamente riqualificata ed ampiamente impiegata dai padovani per passeggiate o altro: in estate difatti la piazza è animata da molta gente che pattina, passeggia o studia, magari prendendo il sole. Le sere d'estate il Prato ospita sempre numerosissimi ragazzi che vi si incontrano fino a tardi. Da alcuni anni è anche sede della tappa padovana del Festivalbar, e recentemente ha anche ospitato gare di pattinaggio, grazie all'ampio anello asfaltato che circonda la piazza. Ogni capodanno e ferragosto vengono organizzate in Prato feste con musica e fuochi artificiali; particolarmente apprezzati quelli ferragostani che registrano spettatori da tutto il Veneto. Di grande interesse sono alcuni monumenti che si affacciano sul Prato della Valle: la Basilica benedettina di Santa Giustina, la Loggia Amulea in stile neoclassico fatta costruire dal Comune di Padova per far assistere le persone eminenti e gli ospiti importanti alle feste e alle corse che si tenevano in Prato della Valle, e molti palazzi costruiti tra il Quattrocento e l'Ottocento.
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Prato della Valle
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Prato della Valle, uno dei simboli di Padova, è una grande piazza ellittica che, oltre ad essere la maggiore piazza padovana, è una delle più grandi d'Europa (88620 mq), seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Prato della Valle - ph Danesin La piazza è in realtà un grande spazio monumentale caratterizzato da un'isola verde centrale, chiamata Isola Memmia, in onore del podestà che commissionò i lavori, circondata da un canale ornato da un doppio basamento di statue numerate di celebri personaggi del passato che secondo il progetto originario dovevano essere 88. Oggi possiamo osservare, invece, solo 78 statue con 8 piedistalli sormontati da obelischi e 2 vuoti. Quattro viali attraversano il Prato su piccoli ponti, per poi incontrarsi al centro dell'isolotto. La sistemazione trae ispirazione dalla grande tradizione veneta del giardino patrizio; qui per la prima volta questo venne distolto dall'uso privato e proposto, secondo i concetti neoclassici, come soluzione urbanistica e qualificazione ambientale. Breve storia Fin dall'antichità questo spazio aperto ebbe funzioni economiche e ricreative. In epoca romana fu sede di un vasto teatro, lo Zairo, delle cui fondamenta sono state rinvenute le tracce nel canale che circonda l'Isola Memmia, e di un circo per le corse dei cavalli. Nell'epoca delle persecuzioni contro i primi cristiani, il circo fu utilizzato per i combattimenti. Qui furono martirizzati due dei quattro patroni della città, Santa Giustina e San Daniele. Nel Medioevo fu invece sede di fiere, giostre, feste pubbliche e gare, come le corse dei "sedioli", una specie di biga tipicamente padovana o il "castello d'amore", che si concludeva con la conquista delle belle ragazze da marito da parte di giovanotti venuti da tutto il Veneto. La domenica delle Palme era anche il luogo tradizionale delle grandi assemblee "di tutti gli uomini liberi del Padovano" e già nel 1077 era luogo da "mercato" e due volte al mese aveva luogo il mercato degli animali. Ad ottobre e a novembre si tenevano invece le due grandi fiere in onore dei Santi Patroni Giustina e Prosdocimo. Persino le più frequentate prediche di Sant'Antonio venivano tenute in Prato della Valle. Sebbene si trovasse a ridosso delle mura della città, continuò a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, dovuto alla conformazione a catino del terreno, dove l'acqua ristagnava, tanto da assumere quell'aspetto di valle che giustifica il nome. Inoltre esso non era proprietà demaniale, ma dell'abbazia di S. Giustina che, durante la dominazione veneziana, non aveva i mezzi di curarne la bonifica. Tutti questi fattori, come pure la destinazione cimiteriale di una sua parte, contribuirono così a preservare la zona da radicali cambiamenti e a lasciarla a lungo inedificata. Il progetto di Memmo Il 14 febbraio del 1767 il Senato Veneto dichiarò l'area di proprietà comunale contro le pretese dei monaci di Santa Giustina. Prato della Valle - ph Danesin Qualche anno dopo, nel 1775, Andrea Memmo, patrizio veneziano illuminista, nominato Provveditore della Serenissima a Padova, con l'aiuto dell'abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza e Padova e progettista di diverse opere pubbliche a Padova e dintorni, valorizzò questo spazio attuando una radicale bonifica e creando una canalizzazione sotterranea destinata a far defluire le acque dell'anello centrale, che tuttora vediamo, valicato da 4 ponti, recingere una specie di grande aiuola circolare. Secondo le cronache, per la realizzazione dell'isola Memmia, dei ponti e della canaletta bastarono 44 giorni e senza aggravio per l'erario in quanto Andrea Memmo usò anche il suo denaro. Il suo progetto, rimasto in parte incompiuto, è visibile in un'incisione su rame di Francesco Piranesi del 1785. Sembra che Memmo avesse commissionato questa e altre rappresentazioni e le tenesse esposte a Palazzo Venezia, sede dell'ambasciata della Repubblica a Roma, nell'intento di ottenere il finanziamento per le statue ornamentali, proponendolo a persone notabili. Le statue su piedistallo che adornano la piazza, 38 lungo l'anello interno all'Isola Mummia e 40 lungo quello esterno, furono scolpite in pietra di Costozza tra il 1775 e il 1883 da diversi artisti. Esse rappresentano i più illustri figli della città, padovani di nascita o d'adozione, e ricordano professori e studenti che onorarono la città e lo Studio padovano. Solo gli spazi dell'ingresso ai quattro ponti furono riservati a personaggi politici, a Dogi e Papi. La statua numero 44 rappresenta Andrea Memmo e fu innalzata due anni dopo la sua morte, nel 1794, ad opera del padovano Felice Chiereghin. Valore artistico ha la numero 52 del giro interno, opera giovanile del celebre scultore Antonio Canova, di cui l'originale è oggi ai Musei Civici; essa rappresenta Giovanni Poleni, il matematico e fisico veneziano che a soli 25 anni fu insegnante di astronomia e fisica presso la nostra università. Tra le atre statue ricordiamo quelle di Antenore, Torquato Tasso, Pietro D'Abano, Andrea Mantegna, Ludovico Ariosto, Francesco Petrarca, Galileo Galilei, Giovanni Dondi dell'Orologio, Antonio Canova stesso e Antenore, che, secondo il mito, fu il fondatore di Padova. L'idea del Memmo era quella di creare un nuovo centro commerciale cittadino, uno spazio adatto per fiere e manifestazioni. Riuscì così a trasformare in pochissimo tempo il centro di Prato della Valle da palude malsana in luogo di mercati, spettacoli, incontri e di passeggio. Nell'isola Memmia furono così inizialmente allestiti padiglioni per dar vita ad un mercato, ma in seguito, al posto delle botteghe, furono piantati degli alberi che tanto hanno contribuito a dare un gusto tipicamente inglese alla piazza ma che al tempo stesso, per l'eterogeneità degli edifici che la circondano, così lontana dalla regolarità dell'edilizia inglese, l'hanno resa unica, originale e indimenticabile. Così d'Annunzio la cantò nella sua "Città del silenzio": "…prato molle, ombrato d'olmi e di marmi, che cinge la riviera e le rondini rigano di strida, tutti i pensieri miei furono colmi d'amore e i sensi miei di primavera come in un lembo del giardin d'Armida" Il Prato oggi Dopo l'Unità d'Italia, quest'area era stata ribattezzata Piazza Vittorio Emanuele II, ma è prevalso il nome storico o più semplicemente il Prato, come lo chiamano i padovani. Noto anche come "il prato senza erba", a causa della carenza di erba dovuta alla presenza di troppi alberi, oggi è invece completamente erboso, poiché degli originali alberi ne è sopravvissuto solamente uno. Mentre negli anni '90 il Prato era afflitto da degrado, oggi tutta la piazza è completamente riqualificata ed ampiamente impiegata dai padovani per passeggiate o altro: in estate difatti la piazza è animata da molta gente che pattina, passeggia o studia, magari prendendo il sole. Le sere d'estate il Prato ospita sempre numerosissimi ragazzi che vi si incontrano fino a tardi. Da alcuni anni è anche sede della tappa padovana del Festivalbar, e recentemente ha anche ospitato gare di pattinaggio, grazie all'ampio anello asfaltato che circonda la piazza. Ogni capodanno e ferragosto vengono organizzate in Prato feste con musica e fuochi artificiali; particolarmente apprezzati quelli ferragostani che registrano spettatori da tutto il Veneto. Di grande interesse sono alcuni monumenti che si affacciano sul Prato della Valle: la Basilica benedettina di Santa Giustina, la Loggia Amulea in stile neoclassico fatta costruire dal Comune di Padova per far assistere le persone eminenti e gli ospiti importanti alle feste e alle corse che si tenevano in Prato della Valle, e molti palazzi costruiti tra il Quattrocento e l'Ottocento.
Il grandioso e celebre tempio di Santa Giustina, che secondo alcuni studiosi sorgerebbe sulle rovine di un tempio pagano, è la più importante opera architettonica di Padova e il più antico luogo di culto della città. La chiesa, straordinariamente affascinante per la sua posizione laterale ed asimmetrica rispetto a Prato della Valle, venne fondata intorno al V secolo su un luogo cimiteriale in memoria della martire Giustina: una giovane patrizia cittadina che fu martirizzata nel 304 nella feroce persecuzione di Massimiliano. Secondo la tradizione il padre della martire, Vitaliano, alto funzionario imperiale che pare fosse stato convertito al cristianesimo da San Prosdocimo, fece costruire il primo nucleo della chiesa che sarebbe diventata la sede della prima cattedrale della città cristiana. Alla Chiesa fu annesso successivamente un monastero benedettino e il complesso si arricchì progressivamente di beni e reliquie. Dopo la ricostruzione, a seguito del terremoto del 1117, la chiesa fu demolita nel 1502 per dar posto all'attuale colosso, realizzato tra il 1532 e il 1579 da diversi architetti, e in particolare da Andrea Moroni e Andrea da Valle. La facciata La facciata La facciata, che sarebbe dovuta essere ricoperta di marmo, probabilmente bianco, non fu mai portata a termine. Sulla gradinata si possono ammirare due grifi in marmo rosso di Verona appartenenti al portale duecentesco. Furono inoltre necessari 85 anni per arrivare alla copertura del tetto che richiese enormi quantità di denaro e di materiali. Ed è per queste ragioni che quando si pensa ad un lavoro interminabile, si dice: "...longo come a fabrica de Santa Giustina". La facciata in ruvida pietra è d'altra parte entrata a pieno titolo nell'immagine acquisita, in tutto ciò aiutata dall'orizzonte delle otto cupole, che le danno un aspetto rotondeggiante, e dal campanile poggiante sul predecessore medievale, che nasconde interessanti elementi delle fabbriche anteriori e che domina la vastissima mole della Basilica. L'interno L'interno L'interno, vasto e luminoso, uno dei massimi capolavori dell'architettura rinascimentale, è a croce latina e si presenta diviso da grandi pilastri in tre navate. La luce entra attraverso le cupole finestrate. Per dimensioni (122 metri di lunghezza) Santa Giustina è la nona tra le chiese del mondo, segnata anche nel pavimento della Basilica di S. Pietro a Roma. Partendo dalla navata di destra, dietro l'Arca di San Mattia si apre un suggestivo passaggio per il Pozzo dei Martiri (1566) dove sono raccolte tutte le reliquie dei martiri padovani, ornato da quattro statue in terracotta; sulla destra una gabbia in ferro che conteneva le reliquie di San Luca. Di qui giungiamo al Sacello di S. Prosdocimo (il sacello è una piccola cappella votiva) con ricche decorazioni marmoree e musive (di mosaico), fatto costruire alla fine del VI secolo. Tornati in chiesa attraverso il transetto e la cappella dedicata a San Massimo, nota per il movimentato gruppo marmoreo di Filippo Parodi raffigurante la Pietà, si accede alla trecentesca Cappella di S. Luca. L'ancona (tavola dipinta) di Andrea Mantegna che era posta sopra l'Arca di San Luca, opera pisana del 1316 con bellissimi rilievi in alabastro, fu asportata da Napoleone e oggi si trova alla Pinacoteca Brera di Milano. Una lapide in marmo nero ricorda la sepoltura della veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, morta nel 1684 a soli 38 anni, la prima donna laureata nel mondo (1678). Attraverso il Coro vecchio, che era l'abside della chiesa precedente (1462), con 50 stalli e sedili in noce, si accede all'antisagrestia, dove è custodito l'architrave del portale romanico della basilica vecchia (1080 circa). La sagrestia (1462) racchiude arredi lignei seicenteschi. Notevolissimi gli intagli e i decori del cinquecentesco coro, dove la pala (Martirio di S. Giustina, 1575 circa) all'altare di fondo è di Paolo Veronese. La cappella a sinistra del presbiterio reca nella volta e nel catino affreschi di Sebastiano Ricci. Il monastero Il monastero Il ricco monastero, che in passato accolse personaggi illustri e papi, fu soppresso da Napoleone Bonaparte nel 1810 e trasformato in caserma e ospedale militare. Ritornò ai monaci nel 1919 e fu eretto nuovamente in Abbazia nel 1943. E' possibile visitarne il Chiostro del Capitolo, costruito nel XII secolo in stile romanico e il Chiostro Maggiore, chiamato anche Chiostro Dipinto per i molti affreschi che lo decoravano. La biblioteca monastica medioevale, con i suoi arredi, i suoi scaffali scolpiti in legno pregiato, le ricche tappezzerie, le raccolte d'arte, incrementate da lasciti e donazioni, e i suoi 80.000 volumi, aveva raggiunto l'apice nel XVIII secolo, ma a seguito di un decreto di Napoleone fu soppressa. Gli scaffali furono portati nella Sala dei Giganti della Reggia Carrarese, ora Liviano, ma purtroppo furono tanti i libri e i capolavori d'arte dispersi. http://www.abbaziasantagiustina.org/storia
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Abadía de Santa Giustina
2/A Via Giuseppe Ferrari
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Il grandioso e celebre tempio di Santa Giustina, che secondo alcuni studiosi sorgerebbe sulle rovine di un tempio pagano, è la più importante opera architettonica di Padova e il più antico luogo di culto della città. La chiesa, straordinariamente affascinante per la sua posizione laterale ed asimmetrica rispetto a Prato della Valle, venne fondata intorno al V secolo su un luogo cimiteriale in memoria della martire Giustina: una giovane patrizia cittadina che fu martirizzata nel 304 nella feroce persecuzione di Massimiliano. Secondo la tradizione il padre della martire, Vitaliano, alto funzionario imperiale che pare fosse stato convertito al cristianesimo da San Prosdocimo, fece costruire il primo nucleo della chiesa che sarebbe diventata la sede della prima cattedrale della città cristiana. Alla Chiesa fu annesso successivamente un monastero benedettino e il complesso si arricchì progressivamente di beni e reliquie. Dopo la ricostruzione, a seguito del terremoto del 1117, la chiesa fu demolita nel 1502 per dar posto all'attuale colosso, realizzato tra il 1532 e il 1579 da diversi architetti, e in particolare da Andrea Moroni e Andrea da Valle. La facciata La facciata La facciata, che sarebbe dovuta essere ricoperta di marmo, probabilmente bianco, non fu mai portata a termine. Sulla gradinata si possono ammirare due grifi in marmo rosso di Verona appartenenti al portale duecentesco. Furono inoltre necessari 85 anni per arrivare alla copertura del tetto che richiese enormi quantità di denaro e di materiali. Ed è per queste ragioni che quando si pensa ad un lavoro interminabile, si dice: "...longo come a fabrica de Santa Giustina". La facciata in ruvida pietra è d'altra parte entrata a pieno titolo nell'immagine acquisita, in tutto ciò aiutata dall'orizzonte delle otto cupole, che le danno un aspetto rotondeggiante, e dal campanile poggiante sul predecessore medievale, che nasconde interessanti elementi delle fabbriche anteriori e che domina la vastissima mole della Basilica. L'interno L'interno L'interno, vasto e luminoso, uno dei massimi capolavori dell'architettura rinascimentale, è a croce latina e si presenta diviso da grandi pilastri in tre navate. La luce entra attraverso le cupole finestrate. Per dimensioni (122 metri di lunghezza) Santa Giustina è la nona tra le chiese del mondo, segnata anche nel pavimento della Basilica di S. Pietro a Roma. Partendo dalla navata di destra, dietro l'Arca di San Mattia si apre un suggestivo passaggio per il Pozzo dei Martiri (1566) dove sono raccolte tutte le reliquie dei martiri padovani, ornato da quattro statue in terracotta; sulla destra una gabbia in ferro che conteneva le reliquie di San Luca. Di qui giungiamo al Sacello di S. Prosdocimo (il sacello è una piccola cappella votiva) con ricche decorazioni marmoree e musive (di mosaico), fatto costruire alla fine del VI secolo. Tornati in chiesa attraverso il transetto e la cappella dedicata a San Massimo, nota per il movimentato gruppo marmoreo di Filippo Parodi raffigurante la Pietà, si accede alla trecentesca Cappella di S. Luca. L'ancona (tavola dipinta) di Andrea Mantegna che era posta sopra l'Arca di San Luca, opera pisana del 1316 con bellissimi rilievi in alabastro, fu asportata da Napoleone e oggi si trova alla Pinacoteca Brera di Milano. Una lapide in marmo nero ricorda la sepoltura della veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, morta nel 1684 a soli 38 anni, la prima donna laureata nel mondo (1678). Attraverso il Coro vecchio, che era l'abside della chiesa precedente (1462), con 50 stalli e sedili in noce, si accede all'antisagrestia, dove è custodito l'architrave del portale romanico della basilica vecchia (1080 circa). La sagrestia (1462) racchiude arredi lignei seicenteschi. Notevolissimi gli intagli e i decori del cinquecentesco coro, dove la pala (Martirio di S. Giustina, 1575 circa) all'altare di fondo è di Paolo Veronese. La cappella a sinistra del presbiterio reca nella volta e nel catino affreschi di Sebastiano Ricci. Il monastero Il monastero Il ricco monastero, che in passato accolse personaggi illustri e papi, fu soppresso da Napoleone Bonaparte nel 1810 e trasformato in caserma e ospedale militare. Ritornò ai monaci nel 1919 e fu eretto nuovamente in Abbazia nel 1943. E' possibile visitarne il Chiostro del Capitolo, costruito nel XII secolo in stile romanico e il Chiostro Maggiore, chiamato anche Chiostro Dipinto per i molti affreschi che lo decoravano. La biblioteca monastica medioevale, con i suoi arredi, i suoi scaffali scolpiti in legno pregiato, le ricche tappezzerie, le raccolte d'arte, incrementate da lasciti e donazioni, e i suoi 80.000 volumi, aveva raggiunto l'apice nel XVIII secolo, ma a seguito di un decreto di Napoleone fu soppressa. Gli scaffali furono portati nella Sala dei Giganti della Reggia Carrarese, ora Liviano, ma purtroppo furono tanti i libri e i capolavori d'arte dispersi. http://www.abbaziasantagiustina.org/storia
Il MUSME, Museo di Storia della Medicina, inaugurato il 5 giugno 2015, è già considerato un’eccellenza a livello nazionale. Si tratta di un museo di nuova generazione che racconta, attraverso l’ausilio di tecnologie all’avanguardia e la possibilità di interazione da parte del visitatore, lo straordinario percorso della Medicina da disciplina antica a scienza moderna. Rispettando il contesto padovano in cui è inserito, il museo pone l’accento sulla storia e sul ruolo rivestito dalla Scuola medica patavina. In equilibrio tra passato e futuro, il MUSME rivoluziona il concetto di Museo scientifico, coinvolgendo tutti e cinque i sensi del visitatore, il quale si ritrova immerso in una narrazione storica che viene rafforzata dell’interazione pratica. Incrocio tra una tradizionale collezione di reperti e un moderno Science Centre, il MUSME rinnova l’immaginario collettivo di museo, riuscendo a conquistare tutti grazie alla proposta di un percorso espositivo che si adatta ad ogni tipologia di visitatore. Per i più piccoli la narrazione si lega al gioco e alla possibilità di sperimentare in prima persona, un modo perfetto per imparare divertendosi. Per gli adulti e per gli studiosi il museo propone approfondimenti su numerose tematiche, senza rinunciare allo svago e al coinvolgimento diretto. Nel 2015 ha vinto il prestigioso premio “eContent Award Italy” per i migliori contenuti e servizi in formato digitale nella sezione “eLearning & Science” e in poco tempo ha scalato le classifiche di Tripadvisor, dove ha raggiunto le prime posizioni tra le centinaia di cose da fare a Padova, e il 1° posto tra i musei di Padova. Il successo è stato notevole, in particolare con le scolaresche: ogni anno oltre 800 classi di tutte le età decidono di venire a farci visita. Il rinnovamento continuo del museo, grazie alle esposizioni temporanee e a una relazione continua con l’Università di Padova, permettono al museo di attirare ogni anno più visitatori, fino ad arrivare recentemente a 50.000 visitatori l’anno. La sede stessa del MUSME ci parla di straordinarie innovazioni nel nostro passato. Il Museo è allestito nel palazzo quattrocentesco che fu sede del primo ospedale padovano, costruito nel 1414 dai coniugi Sibilia de’ Cetto e Baldo Bonafari da Piombino: l’ospedale di San Francesco Grande. Nella seconda metà del ’500 fu in questi locali che, per la prima volta al Mondo, gli studenti di Medicina iniziarono a imparare la pratica clinica direttamente al letto dei malati, gettando le basi del moderno approccio didattico in Medicina. L’ospedale di San Francesco fu attivo per quasi quattro secoli, fino al 29 marzo 1798, quando fu sostituito da un nuovo ospedale, voluto dall’allora vescovo di Padova Nicolò Giustiniani: l’Ospedale Giustinianeo. https://www.musme.it/
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MUSME
94 Via S. Francesco
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Il MUSME, Museo di Storia della Medicina, inaugurato il 5 giugno 2015, è già considerato un’eccellenza a livello nazionale. Si tratta di un museo di nuova generazione che racconta, attraverso l’ausilio di tecnologie all’avanguardia e la possibilità di interazione da parte del visitatore, lo straordinario percorso della Medicina da disciplina antica a scienza moderna. Rispettando il contesto padovano in cui è inserito, il museo pone l’accento sulla storia e sul ruolo rivestito dalla Scuola medica patavina. In equilibrio tra passato e futuro, il MUSME rivoluziona il concetto di Museo scientifico, coinvolgendo tutti e cinque i sensi del visitatore, il quale si ritrova immerso in una narrazione storica che viene rafforzata dell’interazione pratica. Incrocio tra una tradizionale collezione di reperti e un moderno Science Centre, il MUSME rinnova l’immaginario collettivo di museo, riuscendo a conquistare tutti grazie alla proposta di un percorso espositivo che si adatta ad ogni tipologia di visitatore. Per i più piccoli la narrazione si lega al gioco e alla possibilità di sperimentare in prima persona, un modo perfetto per imparare divertendosi. Per gli adulti e per gli studiosi il museo propone approfondimenti su numerose tematiche, senza rinunciare allo svago e al coinvolgimento diretto. Nel 2015 ha vinto il prestigioso premio “eContent Award Italy” per i migliori contenuti e servizi in formato digitale nella sezione “eLearning & Science” e in poco tempo ha scalato le classifiche di Tripadvisor, dove ha raggiunto le prime posizioni tra le centinaia di cose da fare a Padova, e il 1° posto tra i musei di Padova. Il successo è stato notevole, in particolare con le scolaresche: ogni anno oltre 800 classi di tutte le età decidono di venire a farci visita. Il rinnovamento continuo del museo, grazie alle esposizioni temporanee e a una relazione continua con l’Università di Padova, permettono al museo di attirare ogni anno più visitatori, fino ad arrivare recentemente a 50.000 visitatori l’anno. La sede stessa del MUSME ci parla di straordinarie innovazioni nel nostro passato. Il Museo è allestito nel palazzo quattrocentesco che fu sede del primo ospedale padovano, costruito nel 1414 dai coniugi Sibilia de’ Cetto e Baldo Bonafari da Piombino: l’ospedale di San Francesco Grande. Nella seconda metà del ’500 fu in questi locali che, per la prima volta al Mondo, gli studenti di Medicina iniziarono a imparare la pratica clinica direttamente al letto dei malati, gettando le basi del moderno approccio didattico in Medicina. L’ospedale di San Francesco fu attivo per quasi quattro secoli, fino al 29 marzo 1798, quando fu sostituito da un nuovo ospedale, voluto dall’allora vescovo di Padova Nicolò Giustiniani: l’Ospedale Giustinianeo. https://www.musme.it/
All'angolo tra via S. Francesco e via degli Zabarella incontriamo Palazzo Zabarella, forse una delle testimonianze più significative tuttora esistenti dell'aspetto della Padova medievale e per questo testimone del vissuto storico della città. Anticamente la zona era denominata Rumena, a causa della notevole quantità di rovine risalenti all'epoca romana. La testimonianza di quel periodo rimane nel riutilizzo di mattoni romani per la costruzione della torre, l'elemento che meglio caratterizza il palazzo nei confronti della città, e del nucleo centrale del palazzo, risalente tra il XII e il XIII secolo. Alcuni scavi hanno rivelato testimonianze di insediamenti abitativi che risalgono addirittura all'inizio dell'VIII secolo a.C. e di attività produttive, legate per lo più alla lavorazione della ceramica, risalenti al V secolo a.C. In particolare gli scavi hanno portato alla luce una casa-laboratorio decorata in alcuni locali da splendidi pavimenti a mosaico. Non abbiamo dati sui primi proprietari del palazzo, che compare tra le proprietà della famiglia dei Da Carrara fino al finire del XIV secolo quando poi il palazzo passò alla famiglia Zabarella, che ne mantenne la proprietà per più di quattro secoli, lasciandolo sostanzialmente immutato nella sua articolazione spaziale ma radicalmente trasformato nella facciata. Fu nel XVI secolo che venne rinnovato il prospetto su via San Francesco, con l'inserimento di finestre e poggioli di gusto rinascimentale mantenendo, però, la costruzione feudale con la torre e le merlature guelfe. L'assetto della facciata in chiave neoclassica, avvenne invece nei primi anni dell'800 per opera del noto architetto Daniele Danieletti, la cui opera sarà coronata, intorno al 1818-19, dalla raffinata decorazione delle pareti realizzata da tre famosi artisti: Francesco Hayez, Giuseppe Borsato e Giovanni Carlo Bevilacqua, già attivi a Venezia e che interpretano il gusto neoclassico della riscoperta dell'antico. Oggi Palazzo Zabarella è sede di numerosi eventi di carattere culturale e di mostre di grande respiro internazionale. The Mellon Collection of French Art from the Virginia Museum of Fine Arts 26 ottobre 2019 – 01 marzo 2020 https://www.zabarella.it/
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Palazzo Zabarella
14 Via Zabarella
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All'angolo tra via S. Francesco e via degli Zabarella incontriamo Palazzo Zabarella, forse una delle testimonianze più significative tuttora esistenti dell'aspetto della Padova medievale e per questo testimone del vissuto storico della città. Anticamente la zona era denominata Rumena, a causa della notevole quantità di rovine risalenti all'epoca romana. La testimonianza di quel periodo rimane nel riutilizzo di mattoni romani per la costruzione della torre, l'elemento che meglio caratterizza il palazzo nei confronti della città, e del nucleo centrale del palazzo, risalente tra il XII e il XIII secolo. Alcuni scavi hanno rivelato testimonianze di insediamenti abitativi che risalgono addirittura all'inizio dell'VIII secolo a.C. e di attività produttive, legate per lo più alla lavorazione della ceramica, risalenti al V secolo a.C. In particolare gli scavi hanno portato alla luce una casa-laboratorio decorata in alcuni locali da splendidi pavimenti a mosaico. Non abbiamo dati sui primi proprietari del palazzo, che compare tra le proprietà della famiglia dei Da Carrara fino al finire del XIV secolo quando poi il palazzo passò alla famiglia Zabarella, che ne mantenne la proprietà per più di quattro secoli, lasciandolo sostanzialmente immutato nella sua articolazione spaziale ma radicalmente trasformato nella facciata. Fu nel XVI secolo che venne rinnovato il prospetto su via San Francesco, con l'inserimento di finestre e poggioli di gusto rinascimentale mantenendo, però, la costruzione feudale con la torre e le merlature guelfe. L'assetto della facciata in chiave neoclassica, avvenne invece nei primi anni dell'800 per opera del noto architetto Daniele Danieletti, la cui opera sarà coronata, intorno al 1818-19, dalla raffinata decorazione delle pareti realizzata da tre famosi artisti: Francesco Hayez, Giuseppe Borsato e Giovanni Carlo Bevilacqua, già attivi a Venezia e che interpretano il gusto neoclassico della riscoperta dell'antico. Oggi Palazzo Zabarella è sede di numerosi eventi di carattere culturale e di mostre di grande respiro internazionale. The Mellon Collection of French Art from the Virginia Museum of Fine Arts 26 ottobre 2019 – 01 marzo 2020 https://www.zabarella.it/
Padova: una città ricca di storia e di cultura, ricca di colori e vissuta da gente che ama la conoscenza e il condividere. E’ partendo da questi elementi caratterizzanti che il Centro Culturale Altinate/San Gaetano è diventato un luogo di riferimento della città, un luogo che vuole informare, promuovere e divulgare la cultura in tutte le sue forme. Il Centro organizza e propone mostre, dibattiti, festival, rassegne, corsi e conferenze; già da alcuni anni, inoltre, vengono realizzati eventi di spicco che richiamano centinaia di visitatori. Il Centro è nato nel 2008 dalla ristrutturazione dell'ex Tribunale, prima complesso conventuale dei teatini; è strutturato su 4 livelli per un totale di 12.000 mq. Questa realtà cittadina, con una spiccata vocazione verso i giovani, si accredita come sede di attività poliedriche, un luogo "tutto da vivere", nel quale socializzare, studiare, assistere a concerti, spettacoli, pranzare o bere un caffè e leggere un libro. EVENTI Dal 25 ottobre 2019 al 28 giugno 2020 --> L'Egitto di Belzoni.Un gigante nella terra delle piramidi <-- http://www.altinatesangaetano.it/it/eventi/mostra-legitto-di-belzoni In occasione del bicentenario del rientro di Belzoni a Padova, dopo tre viaggi compiuti agli inizi dell’Ottocento lungo il Nilo, L'Assessorato alla Cultura del Comune di Padova promuove una grande mostra al Centro culturale Altinate San Gaetano, per raccontare una vita “fuori dagli schemi”, che dal palcoscenico del polveroso Sadler’s Wells Theatre, dove il giovane Belzoni si era cimentato in numeri di forza e giochi d’acqua ottenendo grandi successi, si proietta sugli appassionanti scenari della civiltà dell’Egitto. Una vita straordinaria, degna di un film. E non a caso George Lucas, il regista di Guerre Stellari, nel dare vita all’Indiana Jones de I predatori dell’arca perduta si è ispirato proprio a Belzoni. Gli spazi della mostra vedono la ricostruzione degli ambienti, con effetti speciali e tecnologie digitali, in modo che il visitatore si trovi immerso negli ambienti cui il Belzoni si è trovato di fronte. Molti gli oggetti antichi presenti in mostra, provenienti da diversi musei italiani e stranieri, alcuni sono esposti al pubblico per la prima volta. www.legittodibelzoni.it Info da lunedì a giovedì 09:00-19:00 venerdì e sabato 09:00-24:00 domenica e festivi 09:00-20:00 24 e 31 dicembre aperto fino alle ore 15:00 25 dicembre e 1 gennaio chiuso Biglietti: intero euro 16,00 ridotto euro 14,00: over 65 anni, ragazzi dai 6 ai 17 anni, studenti dai 18 ai 25 anni, persone diversamente abili dai 18 anni, titolari di convenzioni gratuito: bambini fino ai 5 anni (non in gruppo scolastico), bambini e ragazzi con disabilità fino ai 17 anni, accompagnatori di visitatori diversamente abili
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Centro Cívico de Arte y Cultura Altinate/San Gaetano
71 Via Altinate
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Padova: una città ricca di storia e di cultura, ricca di colori e vissuta da gente che ama la conoscenza e il condividere. E’ partendo da questi elementi caratterizzanti che il Centro Culturale Altinate/San Gaetano è diventato un luogo di riferimento della città, un luogo che vuole informare, promuovere e divulgare la cultura in tutte le sue forme. Il Centro organizza e propone mostre, dibattiti, festival, rassegne, corsi e conferenze; già da alcuni anni, inoltre, vengono realizzati eventi di spicco che richiamano centinaia di visitatori. Il Centro è nato nel 2008 dalla ristrutturazione dell'ex Tribunale, prima complesso conventuale dei teatini; è strutturato su 4 livelli per un totale di 12.000 mq. Questa realtà cittadina, con una spiccata vocazione verso i giovani, si accredita come sede di attività poliedriche, un luogo "tutto da vivere", nel quale socializzare, studiare, assistere a concerti, spettacoli, pranzare o bere un caffè e leggere un libro. EVENTI Dal 25 ottobre 2019 al 28 giugno 2020 --> L'Egitto di Belzoni.Un gigante nella terra delle piramidi <-- http://www.altinatesangaetano.it/it/eventi/mostra-legitto-di-belzoni In occasione del bicentenario del rientro di Belzoni a Padova, dopo tre viaggi compiuti agli inizi dell’Ottocento lungo il Nilo, L'Assessorato alla Cultura del Comune di Padova promuove una grande mostra al Centro culturale Altinate San Gaetano, per raccontare una vita “fuori dagli schemi”, che dal palcoscenico del polveroso Sadler’s Wells Theatre, dove il giovane Belzoni si era cimentato in numeri di forza e giochi d’acqua ottenendo grandi successi, si proietta sugli appassionanti scenari della civiltà dell’Egitto. Una vita straordinaria, degna di un film. E non a caso George Lucas, il regista di Guerre Stellari, nel dare vita all’Indiana Jones de I predatori dell’arca perduta si è ispirato proprio a Belzoni. Gli spazi della mostra vedono la ricostruzione degli ambienti, con effetti speciali e tecnologie digitali, in modo che il visitatore si trovi immerso negli ambienti cui il Belzoni si è trovato di fronte. Molti gli oggetti antichi presenti in mostra, provenienti da diversi musei italiani e stranieri, alcuni sono esposti al pubblico per la prima volta. www.legittodibelzoni.it Info da lunedì a giovedì 09:00-19:00 venerdì e sabato 09:00-24:00 domenica e festivi 09:00-20:00 24 e 31 dicembre aperto fino alle ore 15:00 25 dicembre e 1 gennaio chiuso Biglietti: intero euro 16,00 ridotto euro 14,00: over 65 anni, ragazzi dai 6 ai 17 anni, studenti dai 18 ai 25 anni, persone diversamente abili dai 18 anni, titolari di convenzioni gratuito: bambini fino ai 5 anni (non in gruppo scolastico), bambini e ragazzi con disabilità fino ai 17 anni, accompagnatori di visitatori diversamente abili
La Loggia e l'Odeo Cornaro rappresentano una delle principali testimonianze del rinascimento padovano. Commissionati da uno dei maggiori mecenati del '500 padovano, Alvise Cornaro, il complesso faceva parte di un più ampio corpo di edifici e giardini. Loggia e Odeo Cornaro L'ispirazione del complesso era quella della villa romana ai margini della città. Infatti, riprendendo la passione rinascimentale per il giardino e dotata di un accesso privilegiato al fiume, come era d'abitudine per le abitazioni patrizie padovane, consente alla Natura di penetrare il tessuto urbano. La Loggia Realizzata in pietra di Nanto, la Loggia rappresenta una novità nel panorama veneto rinascimentale per la sua destinazione d'uso. Cornaro e Falconetto la immaginano come una "frons scenae", cioè come un fondale fisso adatto ad essere cornice di spettacoli diversi, un "teatro all'antica" teorizzato poi da Palladio e Scamozzi. Si trattava di una base rialzata con un portico decorato e chiusa da un fondale. Tutto il modello rappresentativo era particolare: pubblico e attori si trovavano così vicini da potersi mescolare. In questa ambientazione la pungente ironia delle rappresentazioni di Angelo Beolco detto il Ruzante, amico e protetto di Alvise Cornaro, risultava ancora più forte: come il complesso mescola Natura e Cultura, così le commedie di Beolco mescolavano umorismo greve a sottigliezza d'analisi, la lingua pavana del popolo sosteneva impianti narrativi della più classica tradizione di Plauto e Aristofane. La ripresa di temi e motivi classici si evidenzia anche nella scelta dei soggetti rappresentati e dei motivi decorativi: le metope e i triglifi dell'architrave o la Vittoria alata sopra l'arco centrale, ma anche le statue di Diana, Venere Celeste e Apollo che si trovano al primo superiore. Stando ad alcune fonti contemporanee alla realizzazione della loggia, queste statue dovrebbero essere opera dello scultore Zuan Padovano, detto da Milan, che alcuni studiosi hanno successivamente identificato con Giovanni Rubino detto Dentone, attivo nella cappella dell'Arca del Santo. Anche la volta è decorata con motivi geometrici di chiara ispirazione classica. L'Odeo L'Odeo venne realizzato qualche anno più tardi, nel 1530 per essere dedicato alla musica, ai dibattiti e alle conversazioni erudite. Affreschi del Complesso Cornaro - ph Danesin La facciata è su due piani: al pian terreno una nicchia centrale è affiancata da due finte finestre, a sinistra con un'allegoria di Sole-Giorno, a destra di Luna-Notte, mentre al piano superiore è presente un loggiato coperto da volta a botte. La pianta è un ottagono circondato da aree laterali e nasce su ispirazione della villa di Marco Terenzio Varrone. La volta della stanza centrale dell'Odeo è decorata a "grottesche" su fondo chiaro; questa tipologia di fregi, ispirata della scoperta della Domus Aurea di Nerone, si diffonde nella prima metà del '500 specie a Roma e Mantova e questo ne è il primo esempio patavino. Questi affreschi sono opera di Gualtiero Padovano e riprendono motivi decorativi e simboli che non fanno parte della tradizione padovana, ma cari al '500, probabilmente legati alla pratica alchimistica o ai riti del mondo contadino: putti, satiri, vasi e figure incappucciate di indovini. La padovanità e l'idea di far entrare in maniera preponderante la Natura nella realizzazione del complesso si evidenziano invece negli elementi tratti dalla vita agreste con esempi di flora e fauna locale. Il pittore olandese Lambert Sustris decora le stanze laterali con ampi paesaggi, mentre si ipotizza che gli stucchi siano stati realizzati dai figli di Falconetto e da Tiziano Minio, scultore attivo nell'Odeo negli anni compresi fra il 1534 e il 1537. L'Odeo rimase fino al 1968 abitazione privata e solo i recenti restauri l'hanno riportato a degna collocazione nel complesso monumentale cittadino. In considerazione della fragilità della decorazione e della ristrettezza degli spazi, l'accesso al complesso è consentito solo per turni e per piccoli gruppi accompagnati.
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Lodge and Odeo Cornaro
37 Via M. Cesarotti
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La Loggia e l'Odeo Cornaro rappresentano una delle principali testimonianze del rinascimento padovano. Commissionati da uno dei maggiori mecenati del '500 padovano, Alvise Cornaro, il complesso faceva parte di un più ampio corpo di edifici e giardini. Loggia e Odeo Cornaro L'ispirazione del complesso era quella della villa romana ai margini della città. Infatti, riprendendo la passione rinascimentale per il giardino e dotata di un accesso privilegiato al fiume, come era d'abitudine per le abitazioni patrizie padovane, consente alla Natura di penetrare il tessuto urbano. La Loggia Realizzata in pietra di Nanto, la Loggia rappresenta una novità nel panorama veneto rinascimentale per la sua destinazione d'uso. Cornaro e Falconetto la immaginano come una "frons scenae", cioè come un fondale fisso adatto ad essere cornice di spettacoli diversi, un "teatro all'antica" teorizzato poi da Palladio e Scamozzi. Si trattava di una base rialzata con un portico decorato e chiusa da un fondale. Tutto il modello rappresentativo era particolare: pubblico e attori si trovavano così vicini da potersi mescolare. In questa ambientazione la pungente ironia delle rappresentazioni di Angelo Beolco detto il Ruzante, amico e protetto di Alvise Cornaro, risultava ancora più forte: come il complesso mescola Natura e Cultura, così le commedie di Beolco mescolavano umorismo greve a sottigliezza d'analisi, la lingua pavana del popolo sosteneva impianti narrativi della più classica tradizione di Plauto e Aristofane. La ripresa di temi e motivi classici si evidenzia anche nella scelta dei soggetti rappresentati e dei motivi decorativi: le metope e i triglifi dell'architrave o la Vittoria alata sopra l'arco centrale, ma anche le statue di Diana, Venere Celeste e Apollo che si trovano al primo superiore. Stando ad alcune fonti contemporanee alla realizzazione della loggia, queste statue dovrebbero essere opera dello scultore Zuan Padovano, detto da Milan, che alcuni studiosi hanno successivamente identificato con Giovanni Rubino detto Dentone, attivo nella cappella dell'Arca del Santo. Anche la volta è decorata con motivi geometrici di chiara ispirazione classica. L'Odeo L'Odeo venne realizzato qualche anno più tardi, nel 1530 per essere dedicato alla musica, ai dibattiti e alle conversazioni erudite. Affreschi del Complesso Cornaro - ph Danesin La facciata è su due piani: al pian terreno una nicchia centrale è affiancata da due finte finestre, a sinistra con un'allegoria di Sole-Giorno, a destra di Luna-Notte, mentre al piano superiore è presente un loggiato coperto da volta a botte. La pianta è un ottagono circondato da aree laterali e nasce su ispirazione della villa di Marco Terenzio Varrone. La volta della stanza centrale dell'Odeo è decorata a "grottesche" su fondo chiaro; questa tipologia di fregi, ispirata della scoperta della Domus Aurea di Nerone, si diffonde nella prima metà del '500 specie a Roma e Mantova e questo ne è il primo esempio patavino. Questi affreschi sono opera di Gualtiero Padovano e riprendono motivi decorativi e simboli che non fanno parte della tradizione padovana, ma cari al '500, probabilmente legati alla pratica alchimistica o ai riti del mondo contadino: putti, satiri, vasi e figure incappucciate di indovini. La padovanità e l'idea di far entrare in maniera preponderante la Natura nella realizzazione del complesso si evidenziano invece negli elementi tratti dalla vita agreste con esempi di flora e fauna locale. Il pittore olandese Lambert Sustris decora le stanze laterali con ampi paesaggi, mentre si ipotizza che gli stucchi siano stati realizzati dai figli di Falconetto e da Tiziano Minio, scultore attivo nell'Odeo negli anni compresi fra il 1534 e il 1537. L'Odeo rimase fino al 1968 abitazione privata e solo i recenti restauri l'hanno riportato a degna collocazione nel complesso monumentale cittadino. In considerazione della fragilità della decorazione e della ristrettezza degli spazi, l'accesso al complesso è consentito solo per turni e per piccoli gruppi accompagnati.
Cenni storici La Chiesa di S. Sofia è tra le più antiche della città. Nota e famosa soprattutto per la sua originalissima struttura, nel secolo scorso fu a lungo oggetto di studi di culto da parte di numerosi esperti. I resti di fondazioni romane visibili nel sotterraneo e una pietra sacrificale dimostrano che la chiesa è sorta sulle rovine di un tempio pagano, probabilmente dedicato al dio Mitra, divinità di origine persiana, le cui prime tracce risalgono al 1300 a.C., ma probabilmente risalgono a prima di quella data. Tale divinità era venerata in uno dei culti orientali, portato dal mondo ellenico, diffusosi a Roma in alternativa alla religione ufficiale. Il primo grande rifacimento della chiesa risale al IX secolo, in epoca carolingia. L'attuale edificio, stilisticamente affine alla tipologia diffusa sul litorale adriatico, fu costruito, a partire dalla zona absidale, tra il 1106 e il 1110 e completato nel 1127. L&#039;esterno L'esterno La facciata (XI - XIV secolo) appare inclinata a causa di cedimenti delle fondamenta avvenuti già durante la prima costruzione. Durante il tremendo terremoto del 1117, che distrusse gran parte degli edifici padovani compresa la Basilica di Santa Giustina, la struttura era ancora nell'iniziale fase di costruzione. La facciata, tripartita, rivela la suddivisione interna in tre navate. Il corpo centrale è diviso da un cornicione: nella parte inferiore la porta sormontata da un arco e fiancheggiata da quattro nicchie, nella parte superiore due colonne, il rosone, la bifora e due finestre incorniciate dagli archetti pensili. Il tetto a capanna e il portale affiancato da nicchie ricalcano modelli presenti nella laguna veneta. La superficie muraria delle ali laterali esalta la materia e le sfumature cromatiche del mattone. Il piccolo campanile romano-gotico risale al XIV secolo. Il tetto con volte a crociera è del XIV secolo e fino ad allora era una copertura provvisoria di paglia. La struttura non era stata calcolata per sostenere l'enorme peso della nuova copertura e creò già da subito problemi statici tamponati con tiranti e sostegni al colonnato interno. L'abside, che costituisce la parte più interessante e singolare dell'edificio, è formata esternamente dalla sovrapposizione di tre ordini di arcate: il primo giro dal basso è la parte più antica dell'edificio (VII - IX secolo) ed è ornato con semicolonne sormontate da rozzi capitelli in pietra con croci e animali. Il secondo giro risale al X secolo, il terzo fu costruito cento anni più tardi e completato nel 1127 con il resto dell'edificio. L&#039;interno L'interno L'interno a tre navate richiama lo stile romanico-gotico. E' coperto con volte a crociera ed è caratterizzato per l'assoluta essenzialità dell'arredo. Le tre navate sono separate da pilastri e colonne bizantine che, poiché diverse l'una dall'altra, formano una sequenza molto bizzarra e interessante. Persino i vari livelli sono lasciati all'improvvisazione del momento e denotano chiaramente molte fasi successive di lavorazione condotte però in breve tempo e con l'utilizzo di materiale da costruzione di recupero, riciclato da rovine anche romane. A sinistra dell'ingresso principale, il Sepolcro del giurista Lodovico Cortuso, morto nel 1418, che dispose che ai suoi funerali partecipasse un coro di dodici ragazze vestite di verde, accompagnate da cinquanta suonatori e tutti gli ordini monastici, eccetto quelli in abito nero. Tra le opere scultoree quella di maggior valore è la Vergine col Cristo morto dello scultore Egidio da Wiener Neustadt (1430), collocata sopra il secondo altare della navata di sinistra. Nell'ultima nicchia a sinistra prima dell'abside interna, Madonna col bambino attribuita a Giovanni da Gaibana. Nella lunetta dell'abside, Madonna col bambino e due sante, affresco del XIV secolo di scuola giottesca. I resti della decorazione murale più antica, risalente al XIII secolo, sono oggi deteriorati. Dalle analisi delle strutture pare comunque certo che non sia mai stato previsto un ciclo organico di affreschi. Restauri ottocenteschi e del secondo dopoguerra (1951-58) hanno rimosso gran parte dell'apparato decorativo e tutte le aggiunte barocche, compresi gli altari. Grazie alle accurate note dei cronachisti dei secoli passati, sappiamo che nel 1448 il diciassettenne Andrea Mantegna firmava la sua prima pala d'altare e che addirittura a quell'età precocissima era già definito "magister" e "pictor". Di quest'opera perduta, che ornava l'altare maggiore della chiesa di Santa Sofia, ci resta solo la trascrizione della scritta di cui era fregiata grazie alla quale sappiamo che Mantegna era nato, diciassette anni prima, ossia nel 1431, in un piccolo paese veneto, di nome Isola di Carturo, proprio sul confine tra Vicenza e Padova. Le strutture arcaiche e la cripta Le strutture arcaiche e la cripta L'origine arcaica delle strutture preesistenti alla Chiesa è testimoniata in particolare dalla cripta sotterranea, che rappresenta forse la sopravvivenza di un importante tempio antico collegato da una galleria sotterranea ad un altro sull'opposta sponda del fiume Brenta dapprima e Bacchiglione poi, che vi passava accanto. Proprio questo è l'aspetto che pone ancora notevoli dubbi interpretativi, individuabili in leggende. Nomi di luoghi e tracce storiche sono tuttavia fuorvianti ed insicuri. La stessa consacrazione a Santa Sofia s'innesta in queste leggende, condizionandone pesantemente le discussioni interpretative storiche. Le strutture incompiute della cripta, identificate negli anni '50, sono assai particolari, in quanto ripetono esattamente in dimensioni solo di poco ridotte, quelle della cripta della veneziana basilica di S. Marco, iniziata nel 1063. Ed anche le maestranze dovevano venire da Venezia, in quanto le parti rimaste dell'elevato mostrano un apparato di nicchie semicircolari con disposizione a spina di pesce dei mattoni delle semicalotte che è tipicamente lagunare. Se la progettazione architettonica e la conduzione della fabbrica sono state del tutto carenti ed improvvisate, anche a causa del lungo protrarsi dei lavori e delle modeste disponibilità finanziarie, del tutto straordinaria è stata invece l'abilità delle maestranze. In particolare è evidentissima la bravura nel lavorare il laterizio, con numerose soluzioni altamente spettacolari.
Santa Sofia Church
Cenni storici La Chiesa di S. Sofia è tra le più antiche della città. Nota e famosa soprattutto per la sua originalissima struttura, nel secolo scorso fu a lungo oggetto di studi di culto da parte di numerosi esperti. I resti di fondazioni romane visibili nel sotterraneo e una pietra sacrificale dimostrano che la chiesa è sorta sulle rovine di un tempio pagano, probabilmente dedicato al dio Mitra, divinità di origine persiana, le cui prime tracce risalgono al 1300 a.C., ma probabilmente risalgono a prima di quella data. Tale divinità era venerata in uno dei culti orientali, portato dal mondo ellenico, diffusosi a Roma in alternativa alla religione ufficiale. Il primo grande rifacimento della chiesa risale al IX secolo, in epoca carolingia. L'attuale edificio, stilisticamente affine alla tipologia diffusa sul litorale adriatico, fu costruito, a partire dalla zona absidale, tra il 1106 e il 1110 e completato nel 1127. L&#039;esterno L'esterno La facciata (XI - XIV secolo) appare inclinata a causa di cedimenti delle fondamenta avvenuti già durante la prima costruzione. Durante il tremendo terremoto del 1117, che distrusse gran parte degli edifici padovani compresa la Basilica di Santa Giustina, la struttura era ancora nell'iniziale fase di costruzione. La facciata, tripartita, rivela la suddivisione interna in tre navate. Il corpo centrale è diviso da un cornicione: nella parte inferiore la porta sormontata da un arco e fiancheggiata da quattro nicchie, nella parte superiore due colonne, il rosone, la bifora e due finestre incorniciate dagli archetti pensili. Il tetto a capanna e il portale affiancato da nicchie ricalcano modelli presenti nella laguna veneta. La superficie muraria delle ali laterali esalta la materia e le sfumature cromatiche del mattone. Il piccolo campanile romano-gotico risale al XIV secolo. Il tetto con volte a crociera è del XIV secolo e fino ad allora era una copertura provvisoria di paglia. La struttura non era stata calcolata per sostenere l'enorme peso della nuova copertura e creò già da subito problemi statici tamponati con tiranti e sostegni al colonnato interno. L'abside, che costituisce la parte più interessante e singolare dell'edificio, è formata esternamente dalla sovrapposizione di tre ordini di arcate: il primo giro dal basso è la parte più antica dell'edificio (VII - IX secolo) ed è ornato con semicolonne sormontate da rozzi capitelli in pietra con croci e animali. Il secondo giro risale al X secolo, il terzo fu costruito cento anni più tardi e completato nel 1127 con il resto dell'edificio. L&#039;interno L'interno L'interno a tre navate richiama lo stile romanico-gotico. E' coperto con volte a crociera ed è caratterizzato per l'assoluta essenzialità dell'arredo. Le tre navate sono separate da pilastri e colonne bizantine che, poiché diverse l'una dall'altra, formano una sequenza molto bizzarra e interessante. Persino i vari livelli sono lasciati all'improvvisazione del momento e denotano chiaramente molte fasi successive di lavorazione condotte però in breve tempo e con l'utilizzo di materiale da costruzione di recupero, riciclato da rovine anche romane. A sinistra dell'ingresso principale, il Sepolcro del giurista Lodovico Cortuso, morto nel 1418, che dispose che ai suoi funerali partecipasse un coro di dodici ragazze vestite di verde, accompagnate da cinquanta suonatori e tutti gli ordini monastici, eccetto quelli in abito nero. Tra le opere scultoree quella di maggior valore è la Vergine col Cristo morto dello scultore Egidio da Wiener Neustadt (1430), collocata sopra il secondo altare della navata di sinistra. Nell'ultima nicchia a sinistra prima dell'abside interna, Madonna col bambino attribuita a Giovanni da Gaibana. Nella lunetta dell'abside, Madonna col bambino e due sante, affresco del XIV secolo di scuola giottesca. I resti della decorazione murale più antica, risalente al XIII secolo, sono oggi deteriorati. Dalle analisi delle strutture pare comunque certo che non sia mai stato previsto un ciclo organico di affreschi. Restauri ottocenteschi e del secondo dopoguerra (1951-58) hanno rimosso gran parte dell'apparato decorativo e tutte le aggiunte barocche, compresi gli altari. Grazie alle accurate note dei cronachisti dei secoli passati, sappiamo che nel 1448 il diciassettenne Andrea Mantegna firmava la sua prima pala d'altare e che addirittura a quell'età precocissima era già definito "magister" e "pictor". Di quest'opera perduta, che ornava l'altare maggiore della chiesa di Santa Sofia, ci resta solo la trascrizione della scritta di cui era fregiata grazie alla quale sappiamo che Mantegna era nato, diciassette anni prima, ossia nel 1431, in un piccolo paese veneto, di nome Isola di Carturo, proprio sul confine tra Vicenza e Padova. Le strutture arcaiche e la cripta Le strutture arcaiche e la cripta L'origine arcaica delle strutture preesistenti alla Chiesa è testimoniata in particolare dalla cripta sotterranea, che rappresenta forse la sopravvivenza di un importante tempio antico collegato da una galleria sotterranea ad un altro sull'opposta sponda del fiume Brenta dapprima e Bacchiglione poi, che vi passava accanto. Proprio questo è l'aspetto che pone ancora notevoli dubbi interpretativi, individuabili in leggende. Nomi di luoghi e tracce storiche sono tuttavia fuorvianti ed insicuri. La stessa consacrazione a Santa Sofia s'innesta in queste leggende, condizionandone pesantemente le discussioni interpretative storiche. Le strutture incompiute della cripta, identificate negli anni '50, sono assai particolari, in quanto ripetono esattamente in dimensioni solo di poco ridotte, quelle della cripta della veneziana basilica di S. Marco, iniziata nel 1063. Ed anche le maestranze dovevano venire da Venezia, in quanto le parti rimaste dell'elevato mostrano un apparato di nicchie semicircolari con disposizione a spina di pesce dei mattoni delle semicalotte che è tipicamente lagunare. Se la progettazione architettonica e la conduzione della fabbrica sono state del tutto carenti ed improvvisate, anche a causa del lungo protrarsi dei lavori e delle modeste disponibilità finanziarie, del tutto straordinaria è stata invece l'abilità delle maestranze. In particolare è evidentissima la bravura nel lavorare il laterizio, con numerose soluzioni altamente spettacolari.
La chiesa, iniziata nelle forme attuali nel 1276 su precedenti antichissime strutture, è dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, ma è tradizionalmente conosciuta come degli Eremitani in quanto l'annesso convento con foresteria, che oggi ospita il Museo Civico agli Eremitani, era meta dei pellegrini di passaggio. Sul fianco della facciata rimangono le tracce della porta d'accesso all'area conventuale, con i segni della campanella di richiamo. L'originale copertura lignea (1306) è attribuita a frate Giovanni degli Eremitani, monaco del convento noto per aver realizzato la grande copertura del Palazzo della Ragione. La chiesa è un tipico esempio di edificio dell'ordine Agostiniano: un'unica grande aula (detta anche a granaio) adatta alla predicazione. Francescano è l'impianto architettonico, per la semplicità dovuta principalmente al contenimento dei costi di costruzione, ma non mancano accenni gotici. L'edificio, pur avendo subito alcuni cambiamenti nei secoli XIV e XVII e, più recentemente, durante la seconda guerra mondiale, conserva ancora il fascino delle chiese conventuali trecentesche. La facciata, del 1360, si presenta divisa orizzontalmente in due parti: una inferiore in pietra, con portale al centro e quattro archi ciechi ai lati (un particolare tipico dell'architettura padovana del tempo e che serviva per predicare ai fedeli riuniti nel sagrato); una superiore in cotto, di impronta tardo-romanica, con lesene ad archi, un bel rosone centrale e un fastigio ornato da archetti pensili. L'interno Bellissimo è l'interno a una sola navata, con il soffitto ligneo e le pareti ornate dall'alternanza di fasce di mattoni rossi e ocra. All'ingresso della chiesa due sepolcri, opera di Andriolo de Santi: a sinistra quello di Jacopo da Carrara, con un'iscrizione dettata dal Petrarca, e a destra quello di Ubaldino da Carrara, entrambi signori della Padova trecentesca. Proseguendo lungo la parete di destra, dopo un altare barocco, incontriamo la Cappella del Sacro Cuore con affreschi di figure a mezzo busto rappresentanti le Virtù e Le Arti Liberali di Giusto de' Menabuoi e tre cappelline in cui recenti restauri hanno portato alla luce alcuni frammenti di affreschi trecenteschi tra cui busti di sante del Guariento. La Cappella Ovetari Segue la Cappella Ovetari, eretta da Antonio Ovetari e fatta affrescare dalla moglie dopo la morte del marito. L'incarico fu affidato a Giovanni d'Alemagna, Antonio Vivarini, Niccolò Pizzolo, Ansuino da Forlì e al giovane Andrea Mantenga, all'epoca diciassettenne e allievo dello Squarcione. Il bombardamento dell'11 marzo 1944 polverizzò la Cappella Ovetari e del Mantenga oggi rimangono solo i due riquadri inferiori della parete destra della Cappella: l'Assunta nell'abside e il Martirio di San Cristoforo, che staccati verso la fine dell'800, in quanto già danneggiati, si salvarono fortunatamente al bombardamento. Le altre cappelle Dopo la Cappella Ovetari si apre la Cappella Dotto in cui rimane traccia di un affresco attribuito ad Altichiero. Nella Cappella Maggiore, corrispondente al Presbiterio, rimane, sulla sinistra, la parte superstite del ciclo di affreschi raffiguranti le Storie di S. Agostino, San Filippo e San Giacomo minore del Guariento, a cui collaborò anche Niccolò Semitecolo. Anche il Crocifisso del 1370, dipinto a tempera su tavola, è attribuito ad uno dei due artisti sopra citati. A destra Cristo incorona la Vergine del Guariento. Segue la Cappella Sanguinacci con il sarcofago di Ilario Sanguinacci, una tra le opere più riuscite dello scultore trecentesco Paolo Jacobello. Nella parete di destra in alto Madonna in trono col Bambino in piedi, tre santi ai lati e un offerente inginocchiato attribuita a Giusto de' Menabuoi. Anche la Sacrestia conserva importanti opere d'arte, tra cui un affresco di Altichiero.
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Iglesia de los Eremitani
9 Piazza Eremitani
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La chiesa, iniziata nelle forme attuali nel 1276 su precedenti antichissime strutture, è dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, ma è tradizionalmente conosciuta come degli Eremitani in quanto l'annesso convento con foresteria, che oggi ospita il Museo Civico agli Eremitani, era meta dei pellegrini di passaggio. Sul fianco della facciata rimangono le tracce della porta d'accesso all'area conventuale, con i segni della campanella di richiamo. L'originale copertura lignea (1306) è attribuita a frate Giovanni degli Eremitani, monaco del convento noto per aver realizzato la grande copertura del Palazzo della Ragione. La chiesa è un tipico esempio di edificio dell'ordine Agostiniano: un'unica grande aula (detta anche a granaio) adatta alla predicazione. Francescano è l'impianto architettonico, per la semplicità dovuta principalmente al contenimento dei costi di costruzione, ma non mancano accenni gotici. L'edificio, pur avendo subito alcuni cambiamenti nei secoli XIV e XVII e, più recentemente, durante la seconda guerra mondiale, conserva ancora il fascino delle chiese conventuali trecentesche. La facciata, del 1360, si presenta divisa orizzontalmente in due parti: una inferiore in pietra, con portale al centro e quattro archi ciechi ai lati (un particolare tipico dell'architettura padovana del tempo e che serviva per predicare ai fedeli riuniti nel sagrato); una superiore in cotto, di impronta tardo-romanica, con lesene ad archi, un bel rosone centrale e un fastigio ornato da archetti pensili. L'interno Bellissimo è l'interno a una sola navata, con il soffitto ligneo e le pareti ornate dall'alternanza di fasce di mattoni rossi e ocra. All'ingresso della chiesa due sepolcri, opera di Andriolo de Santi: a sinistra quello di Jacopo da Carrara, con un'iscrizione dettata dal Petrarca, e a destra quello di Ubaldino da Carrara, entrambi signori della Padova trecentesca. Proseguendo lungo la parete di destra, dopo un altare barocco, incontriamo la Cappella del Sacro Cuore con affreschi di figure a mezzo busto rappresentanti le Virtù e Le Arti Liberali di Giusto de' Menabuoi e tre cappelline in cui recenti restauri hanno portato alla luce alcuni frammenti di affreschi trecenteschi tra cui busti di sante del Guariento. La Cappella Ovetari Segue la Cappella Ovetari, eretta da Antonio Ovetari e fatta affrescare dalla moglie dopo la morte del marito. L'incarico fu affidato a Giovanni d'Alemagna, Antonio Vivarini, Niccolò Pizzolo, Ansuino da Forlì e al giovane Andrea Mantenga, all'epoca diciassettenne e allievo dello Squarcione. Il bombardamento dell'11 marzo 1944 polverizzò la Cappella Ovetari e del Mantenga oggi rimangono solo i due riquadri inferiori della parete destra della Cappella: l'Assunta nell'abside e il Martirio di San Cristoforo, che staccati verso la fine dell'800, in quanto già danneggiati, si salvarono fortunatamente al bombardamento. Le altre cappelle Dopo la Cappella Ovetari si apre la Cappella Dotto in cui rimane traccia di un affresco attribuito ad Altichiero. Nella Cappella Maggiore, corrispondente al Presbiterio, rimane, sulla sinistra, la parte superstite del ciclo di affreschi raffiguranti le Storie di S. Agostino, San Filippo e San Giacomo minore del Guariento, a cui collaborò anche Niccolò Semitecolo. Anche il Crocifisso del 1370, dipinto a tempera su tavola, è attribuito ad uno dei due artisti sopra citati. A destra Cristo incorona la Vergine del Guariento. Segue la Cappella Sanguinacci con il sarcofago di Ilario Sanguinacci, una tra le opere più riuscite dello scultore trecentesco Paolo Jacobello. Nella parete di destra in alto Madonna in trono col Bambino in piedi, tre santi ai lati e un offerente inginocchiato attribuita a Giusto de' Menabuoi. Anche la Sacrestia conserva importanti opere d'arte, tra cui un affresco di Altichiero.
La chiesa di San Nicolò è un edificio religioso di origine alto-medievale che si affaccia sul Selciato San Nicolò a Padova. Parrocchia almeno dal 1178, è ancora retta dal clero secolare della Diocesi di Padova. Ha come sussidiaria la rettoria di Santa Lucia e per un periodo quella di Sant'Agnese in Stra' Maggiore, chiusa al culto nel XX secolo. STORIA. La Chiesa di San Nicolò è sicuramente da annoverare tra quelle più antiche della città se non tra le prime ad essere dedicate a San Nicola di Mira, probabilmente prima dell'arrivo delle reliquie nella città di Bari (1087). Alcuni scavi archeologici hanno confermato che la costruzione ha origine ben anteriore al 1088, anno in cui il Vescovo di Padova Milone donò la chiesa alle Monache di San Pietro. In un documento del 1178 il Vescovo Gerardo la cita tra le parrocchie della città. La chiesa subì rimaneggiamenti ed adeguamenti, sostanziali quelli del XIV secolo (1305) epoca in cui si inserì nel circuito della Reggia Carrarese. Nella visita pastorale del 1546 la chiesa era dotata di ben 11 altari, alcuni appartenenti ad alcune famiglie dell'aristocrazia padovana che ebbero speciali diritti sulla chiesa, come i Forzatè e i Sala (dal secolo XII, o dall'epoca carrarese). Nel seicento e nel settecento la chiesa subì vari adeguamenti architettonici che alterarono il primitivo aspetto medievale. Nell'Ottocento fu ripristinato il campanile. Sulla scia del Vaticano II (dal 1966 al 1971) la chiesa subì un lungo lavoro di restauro che si propose di riportare la struttura alle fattezze originali eliminando la gran parte del ricco patrimonio artistico di età barocca. Nella chiesa sono sepolti Giordano e Marco Forzatè ed altri componenti della famiglia padovana le decorazioni pittoriche a tema araldico, all'esterno della chiesa. DESCRIZIONE INTERNO/ESTERNO. La Chiesa si affaccia su uno spazio utilizzato come arie cimiteriale sino all'età napoleonica. L'edificio, orientato levante-ponente è assai complesso perché circondato da una serie di costruzioni del XIII e XIV secolo. Sulla facciata decorata da archetti gotici si apre un rosone. Sporge la cappella Forzatè (1367) collegata con un'arcata al campanile gotico. Sotto l'arcata, il portale maggiore lombardesco, della seconda metà del Quattrocento, con la raffigurazione di San Nicola mitrato, il Padre Eterno e ai lati, L'Annunciazione. Sul fianco destro un complesso paramento murario gotico, decorato da arcatelle gotiche e da pitture araldiche è sovrastato da abitazioni di età medievale, come il fianco sinistro addossato al trecentesco palazzo Montorsi. Sull'intero edificio si susseguono decorazioni, stemmi e raffigurazioni araldiche. L'edicola votiva quattrocentesca che si addossava al campanile è stata demolita nel ottocento. INTERNO. L'interno è caratterizzato da una certa asimmetria, accentuata della quarta navata che si apre verso meridione. Arcate di varie dimensioni ed ampiezza rendono l'ambiente suggestivo. Il soffitto voltato risale al XIV secolo. Sulla cappella a destra, una pala raffigurante Sant'Agnese e proveniente dall'omonima chiesa. Nella cappella successiva è ospitato il fonte battesimale cinquecentesco, sul retro l'imponente deposito in marmo rosso veronese di Giordano e Marco Forzatè, sovrastato da un pregevole trittico rinascimentale, con cornice originale (sono raffigurati i Santi Leonardo e Giacomo con al centro la Vergine ed il Bambino) opera di un artista di scuola padovana legato al Bellini e al Parisati. Proseguendo si incontra la bella tela firmata da Giandomenico Tiepolo e datata 1777 raffigurante la Sacra Famiglia con le Sante Francesca Romana ed Eurosia, sino al 1966 pala dell'altar maggiore (l'angelo di sinistra è un'aggiunta del pittore Giovanbattista Mingardi). Il cancello di bronzo che un tempo chiudeva l'accesso al presbiterio è opera di Jacopo Gabano (1747), a cui probabilmente si doveva tutto l'impianto dell'altar maggiore. Segue poi un grande pannello ligneo lavorato al altorilievo raffigurante San Giovanni nel deserto, San Francesco stigmatizzato, la bilocazione di Sant'Antonio e San Bernardino che guarische il re nella chiesa sono presenti altri tre pannelli del genere e probabilmente decoravano gli scanni del presbiterio. Lungo le pareti i resti dei paliotti dei vecchi altari eliminati durante il restauro degli anni '60. L'abside, ripristinata, reca tracce di affreschi quattrocenteschi. La Madonna col Bambino in terracotta posta sulla destra secondo alcuni è attribuibile al lavoro di Giovanni da Pisa. L'altare è stato ricavato dalla mensa del vecchio altare barocco. Sul catino, frammenti di arredo liturgico di età romanica ed affresco quattrocentesco. Sotto, sedili e sede liturgica degli anni '70. Segue l'altare del Santissimo Sacramento ricavato dal vecchio tabernacolo. Si incontra poi una tavola raffigurante San Liberale per alcuni riferibile a Jacopo Parisati. Seguono poi alcuni lacerti di affresco (Crocifissione e Storie del Battista), lavoro di Gerardino da Reggio commissionato da Marco Forzatè nel 1374. ORGANO A CANNE. Su una mensola in controfacciata, si trova l'organo a canne Mascioni opus 557, costruito nel 1941 in sostituzione di un precedente organo Pugina del XIX secolo e nel 1997, nell'ambito di un restauro, collocato nell'attuale posizione. Lo strumento, a trasmissione elettrica, ha due tastiere di 58 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 30. La mostra, con cassa lignea limitata al basamento, è ceciliana, con più cuspidi composte da canne di Principale; la consolle mobile indipendente è situata nella navata laterale di sinistra.
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Saint Nicolò
Via San Nicolò
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La chiesa di San Nicolò è un edificio religioso di origine alto-medievale che si affaccia sul Selciato San Nicolò a Padova. Parrocchia almeno dal 1178, è ancora retta dal clero secolare della Diocesi di Padova. Ha come sussidiaria la rettoria di Santa Lucia e per un periodo quella di Sant'Agnese in Stra' Maggiore, chiusa al culto nel XX secolo. STORIA. La Chiesa di San Nicolò è sicuramente da annoverare tra quelle più antiche della città se non tra le prime ad essere dedicate a San Nicola di Mira, probabilmente prima dell'arrivo delle reliquie nella città di Bari (1087). Alcuni scavi archeologici hanno confermato che la costruzione ha origine ben anteriore al 1088, anno in cui il Vescovo di Padova Milone donò la chiesa alle Monache di San Pietro. In un documento del 1178 il Vescovo Gerardo la cita tra le parrocchie della città. La chiesa subì rimaneggiamenti ed adeguamenti, sostanziali quelli del XIV secolo (1305) epoca in cui si inserì nel circuito della Reggia Carrarese. Nella visita pastorale del 1546 la chiesa era dotata di ben 11 altari, alcuni appartenenti ad alcune famiglie dell'aristocrazia padovana che ebbero speciali diritti sulla chiesa, come i Forzatè e i Sala (dal secolo XII, o dall'epoca carrarese). Nel seicento e nel settecento la chiesa subì vari adeguamenti architettonici che alterarono il primitivo aspetto medievale. Nell'Ottocento fu ripristinato il campanile. Sulla scia del Vaticano II (dal 1966 al 1971) la chiesa subì un lungo lavoro di restauro che si propose di riportare la struttura alle fattezze originali eliminando la gran parte del ricco patrimonio artistico di età barocca. Nella chiesa sono sepolti Giordano e Marco Forzatè ed altri componenti della famiglia padovana le decorazioni pittoriche a tema araldico, all'esterno della chiesa. DESCRIZIONE INTERNO/ESTERNO. La Chiesa si affaccia su uno spazio utilizzato come arie cimiteriale sino all'età napoleonica. L'edificio, orientato levante-ponente è assai complesso perché circondato da una serie di costruzioni del XIII e XIV secolo. Sulla facciata decorata da archetti gotici si apre un rosone. Sporge la cappella Forzatè (1367) collegata con un'arcata al campanile gotico. Sotto l'arcata, il portale maggiore lombardesco, della seconda metà del Quattrocento, con la raffigurazione di San Nicola mitrato, il Padre Eterno e ai lati, L'Annunciazione. Sul fianco destro un complesso paramento murario gotico, decorato da arcatelle gotiche e da pitture araldiche è sovrastato da abitazioni di età medievale, come il fianco sinistro addossato al trecentesco palazzo Montorsi. Sull'intero edificio si susseguono decorazioni, stemmi e raffigurazioni araldiche. L'edicola votiva quattrocentesca che si addossava al campanile è stata demolita nel ottocento. INTERNO. L'interno è caratterizzato da una certa asimmetria, accentuata della quarta navata che si apre verso meridione. Arcate di varie dimensioni ed ampiezza rendono l'ambiente suggestivo. Il soffitto voltato risale al XIV secolo. Sulla cappella a destra, una pala raffigurante Sant'Agnese e proveniente dall'omonima chiesa. Nella cappella successiva è ospitato il fonte battesimale cinquecentesco, sul retro l'imponente deposito in marmo rosso veronese di Giordano e Marco Forzatè, sovrastato da un pregevole trittico rinascimentale, con cornice originale (sono raffigurati i Santi Leonardo e Giacomo con al centro la Vergine ed il Bambino) opera di un artista di scuola padovana legato al Bellini e al Parisati. Proseguendo si incontra la bella tela firmata da Giandomenico Tiepolo e datata 1777 raffigurante la Sacra Famiglia con le Sante Francesca Romana ed Eurosia, sino al 1966 pala dell'altar maggiore (l'angelo di sinistra è un'aggiunta del pittore Giovanbattista Mingardi). Il cancello di bronzo che un tempo chiudeva l'accesso al presbiterio è opera di Jacopo Gabano (1747), a cui probabilmente si doveva tutto l'impianto dell'altar maggiore. Segue poi un grande pannello ligneo lavorato al altorilievo raffigurante San Giovanni nel deserto, San Francesco stigmatizzato, la bilocazione di Sant'Antonio e San Bernardino che guarische il re nella chiesa sono presenti altri tre pannelli del genere e probabilmente decoravano gli scanni del presbiterio. Lungo le pareti i resti dei paliotti dei vecchi altari eliminati durante il restauro degli anni '60. L'abside, ripristinata, reca tracce di affreschi quattrocenteschi. La Madonna col Bambino in terracotta posta sulla destra secondo alcuni è attribuibile al lavoro di Giovanni da Pisa. L'altare è stato ricavato dalla mensa del vecchio altare barocco. Sul catino, frammenti di arredo liturgico di età romanica ed affresco quattrocentesco. Sotto, sedili e sede liturgica degli anni '70. Segue l'altare del Santissimo Sacramento ricavato dal vecchio tabernacolo. Si incontra poi una tavola raffigurante San Liberale per alcuni riferibile a Jacopo Parisati. Seguono poi alcuni lacerti di affresco (Crocifissione e Storie del Battista), lavoro di Gerardino da Reggio commissionato da Marco Forzatè nel 1374. ORGANO A CANNE. Su una mensola in controfacciata, si trova l'organo a canne Mascioni opus 557, costruito nel 1941 in sostituzione di un precedente organo Pugina del XIX secolo e nel 1997, nell'ambito di un restauro, collocato nell'attuale posizione. Lo strumento, a trasmissione elettrica, ha due tastiere di 58 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 30. La mostra, con cassa lignea limitata al basamento, è ceciliana, con più cuspidi composte da canne di Principale; la consolle mobile indipendente è situata nella navata laterale di sinistra.
Tra piazza delle Erbe e l'inizio di via Roma, si trova la chiesa di San Canziano, chiamata anche chiesa di Santa Rita dai padovani. A quest'ultima è dedicato l'altare, mentre l'intero edificio è un omaggio ai fratelli martiri di Acquileia: Canziano, Canzio, Canzianilla e al loro maestro Proto. ARCHITETTURA. La scritta latina sulla facciata afferma che nel 1617, "con più suntuosa forma e ornamento", si sono conclusi i lavori di ristrutturazione della chiesa primitiva (1034). L'accostamento dei materiali, come pietra arenaria, intonaco e laterizio, le conferiscono un aspetto vivace, che attrae gli sguardi dei passanti. La facciata è romanica, come il campaniletto che spunta tra i tetti delle case vicine. PITTURA E SCULTURA. Le due statue del Bonazza ai lati rappresentano la purezza e l'umiltà. L'attico è sormontato dai quattro Evangelisti scolpiti da Pietro Danieletti, che si è occupato anche dei due bassorilievi con gli episodi della vita di san Canziano. L'affresco della Vergine Immacolata con i Santi titolari, ristrutturato nel 1955, è opera del francese Lodovico di Vernansal. All'interno l'attenzione è sull'altare maggiore, affiancato da quattro statue in terracotta di Andrea Briosco, che rappresentano i santi Agnese ed Enrico, a sinistra, e Anna e Girolamo, a destra. La pala sopra l'altare maggiore è opera di Alessandro Varotari, detto il Padovanino. Sull'altare della parete di destra compare un'altra immagine dell'Immacolata, ad opera di Francesco Zanella. La pala posta sopra l'altare è opera della pittrice Cecilia Pivato Caniato. Sopra la porta della sacrestia si trova una grande tela di Pietro Damini, Il miracolo del cuore dell'avaro.
Chiesa di San Canziano
Via San Canziano
Tra piazza delle Erbe e l'inizio di via Roma, si trova la chiesa di San Canziano, chiamata anche chiesa di Santa Rita dai padovani. A quest'ultima è dedicato l'altare, mentre l'intero edificio è un omaggio ai fratelli martiri di Acquileia: Canziano, Canzio, Canzianilla e al loro maestro Proto. ARCHITETTURA. La scritta latina sulla facciata afferma che nel 1617, "con più suntuosa forma e ornamento", si sono conclusi i lavori di ristrutturazione della chiesa primitiva (1034). L'accostamento dei materiali, come pietra arenaria, intonaco e laterizio, le conferiscono un aspetto vivace, che attrae gli sguardi dei passanti. La facciata è romanica, come il campaniletto che spunta tra i tetti delle case vicine. PITTURA E SCULTURA. Le due statue del Bonazza ai lati rappresentano la purezza e l'umiltà. L'attico è sormontato dai quattro Evangelisti scolpiti da Pietro Danieletti, che si è occupato anche dei due bassorilievi con gli episodi della vita di san Canziano. L'affresco della Vergine Immacolata con i Santi titolari, ristrutturato nel 1955, è opera del francese Lodovico di Vernansal. All'interno l'attenzione è sull'altare maggiore, affiancato da quattro statue in terracotta di Andrea Briosco, che rappresentano i santi Agnese ed Enrico, a sinistra, e Anna e Girolamo, a destra. La pala sopra l'altare maggiore è opera di Alessandro Varotari, detto il Padovanino. Sull'altare della parete di destra compare un'altra immagine dell'Immacolata, ad opera di Francesco Zanella. La pala posta sopra l'altare è opera della pittrice Cecilia Pivato Caniato. Sopra la porta della sacrestia si trova una grande tela di Pietro Damini, Il miracolo del cuore dell'avaro.
La Chiesa dei Servi è stata edificata tra la fine del ‘300 (1372 – 1392) e gli inizi del ‘400 in onore della Madre di Dio, per volere di Fina de Buzzaccarini (una donna munifica e pia), moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, sull’area dove sorgevano le case di Nicolò da Carrara, demolite per punirlo del tradimento ordito contro la Repubblica Veneta assieme a Cangrande della Scala nel 1358, episodio che aveva scatenato una guerra intestina e insanguinato la città. Morta Fina de Buzzaccarini, il figlio Francesco Novello nel 1392 cedette la chiesa ai Servi di Maria, un Ordine religioso nato a Firenze intorno al 1240 e approvato da papa Benedetto XI nel 1304; da allora viene chiamata “Santa Maria dei Servi”. Successivamente al periodo napoleonico divenuta parrocchia assunse il titolo di “Natività della Beata Vergine Maria ai Servi”. Tra la fine del 1300 e gli inizi del 1400 venne costruito presso la chiesa anche un convento di cui restano alcune tracce dopo gli abbattimenti degli anni ’50-’60. La chiesa venne confiscata ai Servi di Maria all’arrivo di Napoleone che, con un decreto del 1807, li allontanò nonostante ne fossero i rettori. Venne restituita dallo stato italiano alla proprietà ecclesiastica in forma ufficiale solo nel 1963. Una lapide posta all’interno, sulla parete verso via Roma, ricorda l’evento (ecco l’immagine dell’iscrizione). Il vescovo Antonio Mattiazzo ha richiamato i Servi di Maria, riaffidando a loro chiesa e parrocchia il giorno 6 settembre 2014. LA CHIESA ATTUALE La chiesa, romanico-gotica, che conserva ancora oggi la sua forma primitiva, si distingue per una collocazione nord-sud, in parallelo alla via Roma sulla quale prospetta il bel portico risalente al 1510, sorretto quasi tutto da 10 pilastrini ottagonali qui portati dalla cancellata della cappella del Santo nella basilica antoniana. Sotto il porticato si apre un grande e ricco portale ogivale, gotico-lombardesco, con porta lignea rinascimentale intagliata, che funge da ingresso principale. Absidi e campanile -restaurato nel 2004 (vai alla scheda illustrativa)- sono stretti tra le case e non accessibili -né interamente visibili- dall’esterno. La facciata prospetta su un modesto slargo tra le case che ne impedisce una piena visibilità; essa è divisa da lesene con portone molto semplice ad arco pieno, sormontato da una finestra circolare a sua volta sormontata da una più piccola, in alto vi corre tutto intorno una serie di archetti a sesto acuto. L’interno, frutto di un restauro del 1927-30, si presenta ad una sola navata, lunga 57 metri e larga 17 metri, con un alto soffitto a travi a vista e tre absidi nel fondo per altare maggiore e due cappelle laterali. Contiene numerose opere d’arte: 021_VE 58788a destra, in una nicchia, la Pietà, affresco mantegnesco entro elegante cornice lombardesca (vai alla scheda illustrativa). Subito a ridosso monumentale altare barocco di Antonio Bonazza sul quale è posizionata una statua quattrocentesca di Madonna con il Bambino. Seguono Madonna con il Bambino e i Santi Antonio e Rocco di Domenico Campagnola. Sopra la porta della Sagrestia: monumento di bronzo dedicato a Paolo e Angelo De castro, giureconsulti, di Andrea Riccio. Ai lati dell’altare maggiore si aprono due cappelle, dedicate -sulla destra- al Sacro Cuore di Gesù (vai alla scheda illustrativa) e -sulla sinistra- al Croci fisso miracoloso di Donatello (vai alla scheda illustrativa). Sulla sinistra dell’altare del Crocifisso, tela ad olio del sec. XVII attribuita a Matteo de’ Pitocchi, rappresentante lo stesso Crocifisso Miracoloso e Bartolomeo Dotti, priore con confratelli della confraternita del Crocifisso (vai alla scheda illustrativa). Sulla destra dell’altare del Sacro Cuore tre tondi in pietra del sec. XIV e XV (vai alla scheda illustrativa). Alcune opere sono conservate in locali adiacenti. Nella Sagrestia: Addolorata di Lodovico Dorigny, tela a mezzaluna di Jean Veaux, quadri di Lodovico Vernansal e Dario Varotari. La chiesa è stata nel tempo oggetto di numerosi restauri, leggi alcune notizie nella scheda illustrativa.
Chiesa di Santa Maria dei Servi
2 Vicolo dei Servi
La Chiesa dei Servi è stata edificata tra la fine del ‘300 (1372 – 1392) e gli inizi del ‘400 in onore della Madre di Dio, per volere di Fina de Buzzaccarini (una donna munifica e pia), moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, sull’area dove sorgevano le case di Nicolò da Carrara, demolite per punirlo del tradimento ordito contro la Repubblica Veneta assieme a Cangrande della Scala nel 1358, episodio che aveva scatenato una guerra intestina e insanguinato la città. Morta Fina de Buzzaccarini, il figlio Francesco Novello nel 1392 cedette la chiesa ai Servi di Maria, un Ordine religioso nato a Firenze intorno al 1240 e approvato da papa Benedetto XI nel 1304; da allora viene chiamata “Santa Maria dei Servi”. Successivamente al periodo napoleonico divenuta parrocchia assunse il titolo di “Natività della Beata Vergine Maria ai Servi”. Tra la fine del 1300 e gli inizi del 1400 venne costruito presso la chiesa anche un convento di cui restano alcune tracce dopo gli abbattimenti degli anni ’50-’60. La chiesa venne confiscata ai Servi di Maria all’arrivo di Napoleone che, con un decreto del 1807, li allontanò nonostante ne fossero i rettori. Venne restituita dallo stato italiano alla proprietà ecclesiastica in forma ufficiale solo nel 1963. Una lapide posta all’interno, sulla parete verso via Roma, ricorda l’evento (ecco l’immagine dell’iscrizione). Il vescovo Antonio Mattiazzo ha richiamato i Servi di Maria, riaffidando a loro chiesa e parrocchia il giorno 6 settembre 2014. LA CHIESA ATTUALE La chiesa, romanico-gotica, che conserva ancora oggi la sua forma primitiva, si distingue per una collocazione nord-sud, in parallelo alla via Roma sulla quale prospetta il bel portico risalente al 1510, sorretto quasi tutto da 10 pilastrini ottagonali qui portati dalla cancellata della cappella del Santo nella basilica antoniana. Sotto il porticato si apre un grande e ricco portale ogivale, gotico-lombardesco, con porta lignea rinascimentale intagliata, che funge da ingresso principale. Absidi e campanile -restaurato nel 2004 (vai alla scheda illustrativa)- sono stretti tra le case e non accessibili -né interamente visibili- dall’esterno. La facciata prospetta su un modesto slargo tra le case che ne impedisce una piena visibilità; essa è divisa da lesene con portone molto semplice ad arco pieno, sormontato da una finestra circolare a sua volta sormontata da una più piccola, in alto vi corre tutto intorno una serie di archetti a sesto acuto. L’interno, frutto di un restauro del 1927-30, si presenta ad una sola navata, lunga 57 metri e larga 17 metri, con un alto soffitto a travi a vista e tre absidi nel fondo per altare maggiore e due cappelle laterali. Contiene numerose opere d’arte: 021_VE 58788a destra, in una nicchia, la Pietà, affresco mantegnesco entro elegante cornice lombardesca (vai alla scheda illustrativa). Subito a ridosso monumentale altare barocco di Antonio Bonazza sul quale è posizionata una statua quattrocentesca di Madonna con il Bambino. Seguono Madonna con il Bambino e i Santi Antonio e Rocco di Domenico Campagnola. Sopra la porta della Sagrestia: monumento di bronzo dedicato a Paolo e Angelo De castro, giureconsulti, di Andrea Riccio. Ai lati dell’altare maggiore si aprono due cappelle, dedicate -sulla destra- al Sacro Cuore di Gesù (vai alla scheda illustrativa) e -sulla sinistra- al Croci fisso miracoloso di Donatello (vai alla scheda illustrativa). Sulla sinistra dell’altare del Crocifisso, tela ad olio del sec. XVII attribuita a Matteo de’ Pitocchi, rappresentante lo stesso Crocifisso Miracoloso e Bartolomeo Dotti, priore con confratelli della confraternita del Crocifisso (vai alla scheda illustrativa). Sulla destra dell’altare del Sacro Cuore tre tondi in pietra del sec. XIV e XV (vai alla scheda illustrativa). Alcune opere sono conservate in locali adiacenti. Nella Sagrestia: Addolorata di Lodovico Dorigny, tela a mezzaluna di Jean Veaux, quadri di Lodovico Vernansal e Dario Varotari. La chiesa è stata nel tempo oggetto di numerosi restauri, leggi alcune notizie nella scheda illustrativa.
L'edificio che vediamo oggi è quanto rimane dell'antica chiesa dedicata a San Michele e ai Santi Arcangeli, che ospitava anche altri affreschi di Jacopo da Verona. La Cappella di Santa Maria fu eretta a seguito di un incendio, avvenuto durante l'assedio del vicino Castelvecchio nel corso della riconquista di Padova ai Visconti da parte dell'ultimo Signore, Francesco II Novello da Carrara. Gli affreschi che decorano la cappella di Santa Maria della chiesa di San Michele, realizzati nel 1397 da Jacopo da Verona, sono incentrati sul ciclo mariano. I soggetti rappresentati sono Annunciazione, Natività e Adorazione dei magi, Ascensione, Pentecoste, Morte della Vergine e San Michele. Nel sottarco della cappella busti di Evangelisti e Dottori della Chiesa. Una lapide ancora in sito conferma la paternità di Jacopo da Verona e testimonia che la Cappella fu voluta nel 1397 da Piero, figlio di Bartolomeo de Bovi, cugino di Piero di Bonaventura, ufficiale della zecca dei Carraresi. L'attuale edificio è frutto di un ampliamento ottocentesco. Altri lacerti di affreschi, anche cinquecenteschi, decorano le parti già pertinenti alla navata. Dagli affreschi emerge la figura di un pittore eclettico, che accanto agli elementi derivati dalla formazione presso Altichiero, della cui arte offre una visione più domestica, ne accoglie altri presi da Giotto, Avanzi e Giusto Menabuoi. Il tono borghese e, si potrebbe dire, quotidiano della decorazione si contrappone alle eleganze aristocratiche che avevano caratterizzato la cultura figurativa cittadina negli anni immediatamente precedenti. Ancora una volta è particolarmente insistente l'attenzione ritrattistica nelle scene dell'Adorazione dei Magi e della Dormitio Virginis. In quest'ultima compaiono personaggi che sono stati variamente identificati in Petrarca, Francesco il Vecchio e Francesco II Novello da Carrara e lo stesso Bovi raffigurato a capo scoperto in primo piano. E' stato ipotizzato, che qui Jacopo abbia lavorato con aiuti, forse i suoi due figli, ricordati dai documenti come pittori. Associazione La Torlonga Info: Oratorio di San Michele, piazzetta San Michele 1 tel. +39 049 660836 orario: da martedì a venerdì 11:00-13:00 sabato e domenica 15:00-18:00 dal 1 ottobre al 31 maggio da martedì a venerdì 11:00-13:00 sabato e domenica 16:00-19:00 dal 1 giugno al 30 settembre chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S.Stefano, Capodanno, I Maggio biglietti: intero euro 2,00, ridotto euro 1,50, gratuito giovani fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide infolatorlonga@gmail.com
Oratorio di San Michele
32 Riviera Tiso da Camposampiero
L'edificio che vediamo oggi è quanto rimane dell'antica chiesa dedicata a San Michele e ai Santi Arcangeli, che ospitava anche altri affreschi di Jacopo da Verona. La Cappella di Santa Maria fu eretta a seguito di un incendio, avvenuto durante l'assedio del vicino Castelvecchio nel corso della riconquista di Padova ai Visconti da parte dell'ultimo Signore, Francesco II Novello da Carrara. Gli affreschi che decorano la cappella di Santa Maria della chiesa di San Michele, realizzati nel 1397 da Jacopo da Verona, sono incentrati sul ciclo mariano. I soggetti rappresentati sono Annunciazione, Natività e Adorazione dei magi, Ascensione, Pentecoste, Morte della Vergine e San Michele. Nel sottarco della cappella busti di Evangelisti e Dottori della Chiesa. Una lapide ancora in sito conferma la paternità di Jacopo da Verona e testimonia che la Cappella fu voluta nel 1397 da Piero, figlio di Bartolomeo de Bovi, cugino di Piero di Bonaventura, ufficiale della zecca dei Carraresi. L'attuale edificio è frutto di un ampliamento ottocentesco. Altri lacerti di affreschi, anche cinquecenteschi, decorano le parti già pertinenti alla navata. Dagli affreschi emerge la figura di un pittore eclettico, che accanto agli elementi derivati dalla formazione presso Altichiero, della cui arte offre una visione più domestica, ne accoglie altri presi da Giotto, Avanzi e Giusto Menabuoi. Il tono borghese e, si potrebbe dire, quotidiano della decorazione si contrappone alle eleganze aristocratiche che avevano caratterizzato la cultura figurativa cittadina negli anni immediatamente precedenti. Ancora una volta è particolarmente insistente l'attenzione ritrattistica nelle scene dell'Adorazione dei Magi e della Dormitio Virginis. In quest'ultima compaiono personaggi che sono stati variamente identificati in Petrarca, Francesco il Vecchio e Francesco II Novello da Carrara e lo stesso Bovi raffigurato a capo scoperto in primo piano. E' stato ipotizzato, che qui Jacopo abbia lavorato con aiuti, forse i suoi due figli, ricordati dai documenti come pittori. Associazione La Torlonga Info: Oratorio di San Michele, piazzetta San Michele 1 tel. +39 049 660836 orario: da martedì a venerdì 11:00-13:00 sabato e domenica 15:00-18:00 dal 1 ottobre al 31 maggio da martedì a venerdì 11:00-13:00 sabato e domenica 16:00-19:00 dal 1 giugno al 30 settembre chiusura: tutti i lunedì non festivi, Natale, S.Stefano, Capodanno, I Maggio biglietti: intero euro 2,00, ridotto euro 1,50, gratuito giovani fino ai 5 anni, disabili, giornalisti, guide infolatorlonga@gmail.com
L’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti, già Patavina, erede della "Accademia dei Ricovrati", costituitasi in Padova il 25 novembre 1599, ha la propria sede nelle belle sale del trecentesco palazzo dei Signori da Carrara, e più precisamente in ciò che rimane del vasto e poderoso complesso di edifici che costituivano le abitazioni dei Principi e delle loro famiglie. Gli illustri "Ricovrati", professori dello Studio di Padova o benemeriti della cultura (riuniti nel 1599 per opera di un giovane patrizio veneziano, Federico Cornaro, poi destinato a diventare cardinale e vescovo di Padova, presente e socio tra gli altri Galileo Galilei), ottennero le sale della Reggia per le loro adunanze fin dal 1721; precedentemente si riunivano nella sala degli "Uomini Illustri" (Sala dei Giganti), e prima ancora nelle private abitazioni dei "Principi" (Presidenti). Divenuta nel 1779 "Accademia di Scienze Lettere ed Arti in Padova", successivamente "Accademia Patavina" e, dal 1998, "Accademia Galileiana" la prestigiosa istituzione continuò a svolgere (e ancor oggi continua) il suo proficuo lavoro di promozione culturale, raccogliendosi nella sala delle adunanze, affrescata dal Guariento. La vita dell’Accademia è regolata da un preciso Statuto, approvato con Decreto Presidenziale, mentre la sua attività è approvata dal Ministero per i Beni Culturali; la compongono i soci effettivi, che non possono superare il numero di 90, e i soci corrispondenti nazionali (non più di 110) e stranieri (20). I soci sono distinti nella Classe di scienze matematiche e naturali e nella Classe di scienze morali, lettere ed arti. La vita accademica è diretta da un Ufficio di Presidenza, formato dal Presidente, dal Vice Presidente, da due Segretari, dal Bibliotecario, dal Conservatore e dall’Amministratore. A soci effettivi vengono, di regola, eletti i soci corrispondenti benemeriti per la collaborazione prestata all’attività accademica, mentre i soci corrispondenti sono scelti fra persone note per la loro opera scientifica, letteraria o artistica. L’attività dell’Accademia consiste principalmente nella lettura e discussione, da parte di soci o di altri studiosi da loro presentati, di "Memorie" originali e inedite nei vari campi della cultura, che vengono poi pubblicate annualmente in due volumi separati, uno per la Classe di Scienze matematiche e naturali, l’altro per la Classe di scienze morali, lettere ed arti, diffusi in Italia e all’estero alle Accademie e ad altri Enti di Cultura; l’Accademia inoltre promuove Convegni culturali anche in collaborazione con l’Università o con altre Istituzioni: così da anni vengono promossi i Seminari di Tecnologia dell’Informazione e viene attuata la "Lectura Petrarce" in collaborazione con l’Ente Nazionale Francesco Petrarca, chiamando studiosi particolarmente qualificati dall’Italia e dall’estero. https://www.accademiagalileiana.it/
Galileiana Academy of Arts and Science
7 Via Accademia
L’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti, già Patavina, erede della "Accademia dei Ricovrati", costituitasi in Padova il 25 novembre 1599, ha la propria sede nelle belle sale del trecentesco palazzo dei Signori da Carrara, e più precisamente in ciò che rimane del vasto e poderoso complesso di edifici che costituivano le abitazioni dei Principi e delle loro famiglie. Gli illustri "Ricovrati", professori dello Studio di Padova o benemeriti della cultura (riuniti nel 1599 per opera di un giovane patrizio veneziano, Federico Cornaro, poi destinato a diventare cardinale e vescovo di Padova, presente e socio tra gli altri Galileo Galilei), ottennero le sale della Reggia per le loro adunanze fin dal 1721; precedentemente si riunivano nella sala degli "Uomini Illustri" (Sala dei Giganti), e prima ancora nelle private abitazioni dei "Principi" (Presidenti). Divenuta nel 1779 "Accademia di Scienze Lettere ed Arti in Padova", successivamente "Accademia Patavina" e, dal 1998, "Accademia Galileiana" la prestigiosa istituzione continuò a svolgere (e ancor oggi continua) il suo proficuo lavoro di promozione culturale, raccogliendosi nella sala delle adunanze, affrescata dal Guariento. La vita dell’Accademia è regolata da un preciso Statuto, approvato con Decreto Presidenziale, mentre la sua attività è approvata dal Ministero per i Beni Culturali; la compongono i soci effettivi, che non possono superare il numero di 90, e i soci corrispondenti nazionali (non più di 110) e stranieri (20). I soci sono distinti nella Classe di scienze matematiche e naturali e nella Classe di scienze morali, lettere ed arti. La vita accademica è diretta da un Ufficio di Presidenza, formato dal Presidente, dal Vice Presidente, da due Segretari, dal Bibliotecario, dal Conservatore e dall’Amministratore. A soci effettivi vengono, di regola, eletti i soci corrispondenti benemeriti per la collaborazione prestata all’attività accademica, mentre i soci corrispondenti sono scelti fra persone note per la loro opera scientifica, letteraria o artistica. L’attività dell’Accademia consiste principalmente nella lettura e discussione, da parte di soci o di altri studiosi da loro presentati, di "Memorie" originali e inedite nei vari campi della cultura, che vengono poi pubblicate annualmente in due volumi separati, uno per la Classe di Scienze matematiche e naturali, l’altro per la Classe di scienze morali, lettere ed arti, diffusi in Italia e all’estero alle Accademie e ad altri Enti di Cultura; l’Accademia inoltre promuove Convegni culturali anche in collaborazione con l’Università o con altre Istituzioni: così da anni vengono promossi i Seminari di Tecnologia dell’Informazione e viene attuata la "Lectura Petrarce" in collaborazione con l’Ente Nazionale Francesco Petrarca, chiamando studiosi particolarmente qualificati dall’Italia e dall’estero. https://www.accademiagalileiana.it/
La storia Nel 1973 viene istituito il Museo Diocesano d’Arte Sacra San Gregorio Barbarigo, con il compito della conservazione e valorizzazione culturale delle opere d’arte esistenti nella Diocesi di Padova e appartenenti a Enti o fondazioni religiose: si trattava di un primo embrione di museo, aperto al pubblico solo su richiesta. L’attuale Museo Diocesano di Padova nasce nel 2000 grazie ai contributi stanziati dallo Stato in vista dell’anno giubilare, che hanno reso possibile il recupero di alcuni ambienti del Palazzo Vescovile e il loro riutilizzo come sede espositiva rendendoli accessibili al pubblico. Si estende su una superficie di oltre 2000 metri quadrati, comprendenti il grande Salone dei Vescovi al piano nobile, le salette attigue sul lato est e l’ala meridionale, edificata al tempo del vescovo Francesco Pisani (1524-1567), già sede degli appartamenti vescovili. Il percorso museale comprende inoltre la sala San Gregorio Barbarigo al piano sottostante e il piano terra del palazzo, ex cantina voltata su pilastri oggi destinata alle esposizioni temporanee. Il palazzo vescovile L'edificio che ospita il Museo presenta una struttura complessa e articolata, a causa dei numerosi interventi succedutisi nel tempo. Le origini del Palazzo, come testimonia un’iscrizione ancor oggi conservata, risalgono all’anno 1309 quando il vescovo Pagano della Torre fece costruire un nuovo complesso, più a nord rispetto alla sede preesistente, dotandolo già di un’ampia aula di rappresentanza. Nel corso del XIV secolo alcuni interventi modificarono ed ampliarono il palazzo, ma solo nel XV secolo, grazie al rinnovamento voluto dai vescovi Pietro Donato, Iacopo Zeno e Pietro Barozzi, gli edifici medievali furono trasformati in una residenza rinascimentale e assunsero nel tempo la caratterizzazione architettonica ed artistica mantenuta ancor oggi: un edificio cubico, al cui piano nobile è situato un ampio salone, forse in origine chiuso da una copertura a carena di nave, simile a quella del Palazzo della Ragione. Responsabile del completamento del salone e della sua straordinaria decorazione fu il vescovo Pietro Barozzi (1487-1507), uomo colto e dai molteplici interessi umanistici e scientifici, oltre che attento pastore della sua diocesi. Egli commissionò a Bartolomeo Montagna (1449/50-1523), pittore vicentino attivo nel territorio, la decorazione delle pareti della sala del trono, con i ritratti dei primi cento Vescovi di Padova, a iniziare da Prosdocimo, primo diffusore del Cristianesimo in terra veneta, fino al committente stesso. Nel monumentale Salone i Vescovi tenevano udienza, ricevevano le autorità e radunavano il clero diocesano: lo facevano alla “presenza silenziosa” dei Vescovi che li avevano preceduti, raffigurati nei ritratti sulle pareti della sala, testimoni di una tradizione cristiana millenaria. Con il vescovo Giorgio Corner (1697-1723) viene completata la decorazione delle pareti del salone, con la prosecuzione dei ritratti dei vescovi inseriti in una finta architettura dipinta, insieme ad allegorie delle Virtù. L’impianto decorativo è tipico del gusto di fine Seicento e lo stile potrebbe riferirsi al pittore padovano Giulio Cirello, attivo in città fino al 1709. L’attuale soffitto, che sostituisce quello originario dell’epoca di Barozzi distrutto da una tromba d’aria, risale al 1759 e presenta al centro lo stemma di papa Clemente XIII, al secolo Carlo Rezzonico, che fu vescovo di Padova dal 1743 al 1758. Dopo la caduta della repubblica di Venezia (1797) e l’occupazione francese si rese necessario un intervento di restauro del salone, promosso dal vescovo Francesco Scipione Dondi dell’Orologio (1807-1819). Questi fece inserire, ai lati della porta di accesso un affresco staccato con il ritratto di Francesco Petrarca, proveniente dalla casa padovana del poeta, e una Madonna con Bambino, a mosaico, di metà Quattrocento, portata in Vescovado dopo la demolizione della chiesa di San Giobbe in Padova, nel 1810. Nei secoli XIX e XX il Salone dei Vescovi andò incontro ad un progressivo degrado, e solo con l’ultimo restauro ultimato nel 2006 è stato possibile recuperare gli affreschi in tutto il loro splendore e restituire a Padova uno dei più prestigiosi ambienti di rappresentanza della città. La Cappella di Santa Maria degli Angeli Inserita nel percorso museale, la Cappella di Santa Maria degli Angeli, situata sul lato nord-orientale del Salone, fu costruita nel 1495 per volere del vescovo Pietro Barozzi nell’ambito della ristrutturazione rinascimentale del vescovado. La direzione dei lavori fu affidata a Lorenzo da Bologna, il più importante architetto attivo a Padova in quel periodo, e la decorazione ad affresco fu eseguita da Prospero da Piazzola e Jacopo da Montagnana. Gli affreschi, eseguiti secondo un programma iconografico incentrato sul Credo degli Apostoli, dettato dal Vescovo stesso, costituiscono nel loro complesso una manifestazione per immagini della teologia della Salvezza, fondata sulla redenzione di Cristo e sulla apostolicità della Chiesa. Fulcro del piccolo ma suggestivo spazio della cappella è il trittico dipinto da Jacopo da Montagnana, collocato nell’abside e raffigurante l’Annunciazione, affiancata dagli arcangeli Michele e Raffaele. La Sala San Gregorio Barbarigo Situata al primo piano del Palazzo la sala San Gregorio Barbarigo, secondo la denominazione odierna, era anticamente chiamata “tinello dei dottori”: qui infatti il vescovo, esercitando il ruolo di cancelliere dell’Università, conferiva le lauree agli studenti. Oggi l’aspetto della sala risente di una sistemazione di fine Ottocento, che ha raccolto sulle pareti stemmi, busti e iscrizioni provenienti dai diversi ambienti del palazzo, tuttavia sono ancora ben visibili le tracce della decorazione quattrocentesca affidata da Pietro Barozzi a Jacopo da Montagnana e ai suoi collaboratori. Si tratta del soffitto a cassettoni, dipinto a rosoni e arricchito da una serie di medaglioni con ritratti di imperatori romani, che corrono lungo le pareti perimetrali e sulle travi, e dell’affresco sulla parete di fondo, raffigurante la Resurrezione di Cristo, probabilmente parte di una decorazione più ampia ora perduta. In questa sala sono periodicamente esposti alcuni manoscritti e incunaboli della Biblioteca Capitolare. OGGI Sorto in occasione del Giubileo del 2000, il Museo Diocesano si estende per quasi 2000 mq nelle sale del Palazzo Vescovile. Raccoglie preziose opere di pittura, scultura e oreficeria, codici e incunaboli (libri senza frontespizi stampati nel XV secolo quando ancora l'arte della stampa era agli inizi), paramenti sacri provenienti dal territorio della Diocesi di Padova. Esposte in questi spazi secondo criteri cronologici e per sezioni, le opere testimoniano la ricchezza culturale, la sensibilità artistica e la profonda fede della Chiesa padovana dai secoli immediatamente anteriori al Mille fino ai giorni nostri. Il percorso inizia dalla Sala San Gregorio Barbarigo dove sono esposti alcuni manoscritti, tra i quali i trecenteschi Antifonari della Cattedrale, importanti per la loro vicinanza artistica alla pittura di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Il Trecento è rappresentato da un nutrito numero di opere d'arte di famosi artisti, tra le quali spicca il Reliquiario della Croce in argento dorato, di manifattura danese; tra i dipinti la bella Madonna col Bambino di Giusto de' Menabuoi ed un affresco staccato da un muro esterno del Battistero raffigurante un Ritratto di fanciullo, probabilmente della famiglia dei Da Carrara. Molto interessante è la serie di sette tavole raffiguranti Episodi della vita di San Sebastiano, dipinte nel 1367 da Nicoletto Semitecolo, collaboratore del Guariento. http://museodiocesanopadova.it/web/index.php?valo=i_
Museo Diocesano di Padova
12 Piazza Duomo
La storia Nel 1973 viene istituito il Museo Diocesano d’Arte Sacra San Gregorio Barbarigo, con il compito della conservazione e valorizzazione culturale delle opere d’arte esistenti nella Diocesi di Padova e appartenenti a Enti o fondazioni religiose: si trattava di un primo embrione di museo, aperto al pubblico solo su richiesta. L’attuale Museo Diocesano di Padova nasce nel 2000 grazie ai contributi stanziati dallo Stato in vista dell’anno giubilare, che hanno reso possibile il recupero di alcuni ambienti del Palazzo Vescovile e il loro riutilizzo come sede espositiva rendendoli accessibili al pubblico. Si estende su una superficie di oltre 2000 metri quadrati, comprendenti il grande Salone dei Vescovi al piano nobile, le salette attigue sul lato est e l’ala meridionale, edificata al tempo del vescovo Francesco Pisani (1524-1567), già sede degli appartamenti vescovili. Il percorso museale comprende inoltre la sala San Gregorio Barbarigo al piano sottostante e il piano terra del palazzo, ex cantina voltata su pilastri oggi destinata alle esposizioni temporanee. Il palazzo vescovile L'edificio che ospita il Museo presenta una struttura complessa e articolata, a causa dei numerosi interventi succedutisi nel tempo. Le origini del Palazzo, come testimonia un’iscrizione ancor oggi conservata, risalgono all’anno 1309 quando il vescovo Pagano della Torre fece costruire un nuovo complesso, più a nord rispetto alla sede preesistente, dotandolo già di un’ampia aula di rappresentanza. Nel corso del XIV secolo alcuni interventi modificarono ed ampliarono il palazzo, ma solo nel XV secolo, grazie al rinnovamento voluto dai vescovi Pietro Donato, Iacopo Zeno e Pietro Barozzi, gli edifici medievali furono trasformati in una residenza rinascimentale e assunsero nel tempo la caratterizzazione architettonica ed artistica mantenuta ancor oggi: un edificio cubico, al cui piano nobile è situato un ampio salone, forse in origine chiuso da una copertura a carena di nave, simile a quella del Palazzo della Ragione. Responsabile del completamento del salone e della sua straordinaria decorazione fu il vescovo Pietro Barozzi (1487-1507), uomo colto e dai molteplici interessi umanistici e scientifici, oltre che attento pastore della sua diocesi. Egli commissionò a Bartolomeo Montagna (1449/50-1523), pittore vicentino attivo nel territorio, la decorazione delle pareti della sala del trono, con i ritratti dei primi cento Vescovi di Padova, a iniziare da Prosdocimo, primo diffusore del Cristianesimo in terra veneta, fino al committente stesso. Nel monumentale Salone i Vescovi tenevano udienza, ricevevano le autorità e radunavano il clero diocesano: lo facevano alla “presenza silenziosa” dei Vescovi che li avevano preceduti, raffigurati nei ritratti sulle pareti della sala, testimoni di una tradizione cristiana millenaria. Con il vescovo Giorgio Corner (1697-1723) viene completata la decorazione delle pareti del salone, con la prosecuzione dei ritratti dei vescovi inseriti in una finta architettura dipinta, insieme ad allegorie delle Virtù. L’impianto decorativo è tipico del gusto di fine Seicento e lo stile potrebbe riferirsi al pittore padovano Giulio Cirello, attivo in città fino al 1709. L’attuale soffitto, che sostituisce quello originario dell’epoca di Barozzi distrutto da una tromba d’aria, risale al 1759 e presenta al centro lo stemma di papa Clemente XIII, al secolo Carlo Rezzonico, che fu vescovo di Padova dal 1743 al 1758. Dopo la caduta della repubblica di Venezia (1797) e l’occupazione francese si rese necessario un intervento di restauro del salone, promosso dal vescovo Francesco Scipione Dondi dell’Orologio (1807-1819). Questi fece inserire, ai lati della porta di accesso un affresco staccato con il ritratto di Francesco Petrarca, proveniente dalla casa padovana del poeta, e una Madonna con Bambino, a mosaico, di metà Quattrocento, portata in Vescovado dopo la demolizione della chiesa di San Giobbe in Padova, nel 1810. Nei secoli XIX e XX il Salone dei Vescovi andò incontro ad un progressivo degrado, e solo con l’ultimo restauro ultimato nel 2006 è stato possibile recuperare gli affreschi in tutto il loro splendore e restituire a Padova uno dei più prestigiosi ambienti di rappresentanza della città. La Cappella di Santa Maria degli Angeli Inserita nel percorso museale, la Cappella di Santa Maria degli Angeli, situata sul lato nord-orientale del Salone, fu costruita nel 1495 per volere del vescovo Pietro Barozzi nell’ambito della ristrutturazione rinascimentale del vescovado. La direzione dei lavori fu affidata a Lorenzo da Bologna, il più importante architetto attivo a Padova in quel periodo, e la decorazione ad affresco fu eseguita da Prospero da Piazzola e Jacopo da Montagnana. Gli affreschi, eseguiti secondo un programma iconografico incentrato sul Credo degli Apostoli, dettato dal Vescovo stesso, costituiscono nel loro complesso una manifestazione per immagini della teologia della Salvezza, fondata sulla redenzione di Cristo e sulla apostolicità della Chiesa. Fulcro del piccolo ma suggestivo spazio della cappella è il trittico dipinto da Jacopo da Montagnana, collocato nell’abside e raffigurante l’Annunciazione, affiancata dagli arcangeli Michele e Raffaele. La Sala San Gregorio Barbarigo Situata al primo piano del Palazzo la sala San Gregorio Barbarigo, secondo la denominazione odierna, era anticamente chiamata “tinello dei dottori”: qui infatti il vescovo, esercitando il ruolo di cancelliere dell’Università, conferiva le lauree agli studenti. Oggi l’aspetto della sala risente di una sistemazione di fine Ottocento, che ha raccolto sulle pareti stemmi, busti e iscrizioni provenienti dai diversi ambienti del palazzo, tuttavia sono ancora ben visibili le tracce della decorazione quattrocentesca affidata da Pietro Barozzi a Jacopo da Montagnana e ai suoi collaboratori. Si tratta del soffitto a cassettoni, dipinto a rosoni e arricchito da una serie di medaglioni con ritratti di imperatori romani, che corrono lungo le pareti perimetrali e sulle travi, e dell’affresco sulla parete di fondo, raffigurante la Resurrezione di Cristo, probabilmente parte di una decorazione più ampia ora perduta. In questa sala sono periodicamente esposti alcuni manoscritti e incunaboli della Biblioteca Capitolare. OGGI Sorto in occasione del Giubileo del 2000, il Museo Diocesano si estende per quasi 2000 mq nelle sale del Palazzo Vescovile. Raccoglie preziose opere di pittura, scultura e oreficeria, codici e incunaboli (libri senza frontespizi stampati nel XV secolo quando ancora l'arte della stampa era agli inizi), paramenti sacri provenienti dal territorio della Diocesi di Padova. Esposte in questi spazi secondo criteri cronologici e per sezioni, le opere testimoniano la ricchezza culturale, la sensibilità artistica e la profonda fede della Chiesa padovana dai secoli immediatamente anteriori al Mille fino ai giorni nostri. Il percorso inizia dalla Sala San Gregorio Barbarigo dove sono esposti alcuni manoscritti, tra i quali i trecenteschi Antifonari della Cattedrale, importanti per la loro vicinanza artistica alla pittura di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Il Trecento è rappresentato da un nutrito numero di opere d'arte di famosi artisti, tra le quali spicca il Reliquiario della Croce in argento dorato, di manifattura danese; tra i dipinti la bella Madonna col Bambino di Giusto de' Menabuoi ed un affresco staccato da un muro esterno del Battistero raffigurante un Ritratto di fanciullo, probabilmente della famiglia dei Da Carrara. Molto interessante è la serie di sette tavole raffiguranti Episodi della vita di San Sebastiano, dipinte nel 1367 da Nicoletto Semitecolo, collaboratore del Guariento. http://museodiocesanopadova.it/web/index.php?valo=i_
La chiesa di San Francesco d'Assisi, chiamata in passato chiesa di San Francesco Grande (per non confonderla con la chiesa di San Francesco Piccolo scomparsa già nel secolo XVI), è un edificio religioso che si affaccia su via San Francesco, già contrà dei porteghi alti, a Padova. Per il volere evergetico di Baldo de' Bonafarii e Sibilla de Cetto sorse con il convento dei Frati Minori che ancora l'hanno in cura, e con l'Ospedale di San Francesco Grande che fu in uso sino al 1798. STORIA Il 29 dicembre 1414 nell'episcopio patavino, di fronte al vescovo Pietro Marcello e ad altri testimoni, Baldo Bonafari e la sua consorte Sibilla da Cetto dichiaravano di voler destinare parte dei loro beni alla costruzione di una chiesa con convento ed un ospedale a contrà Santa Margherita, da destinare ai Frati Minori Osservanti. Il Bonafari si riservava di eleggere il rettore dell'ospedale, diritto che alla sua morte sarebbe passato al Collegio dei Giuristi dell'Università degli Studi di Padova. La prima pietra fu posata il 25 ottobre 1416 dall'Arciprete della Cattedrale, Bartolomeo degli Astorelli. La costruzione della chiesa nel territorio della parrocchia di San Lorenzo provocò dapprima qualche incertezza; il vescovo acconsentì e i lavori procedettero spediti guidati dal capomastro Nicolò Gobbo. Dopo la morte del Bonafari l'opera fu portata a compimento dalla moglie Sibilla che nel testamento del novembre 1421 chiedeva di essere sepolta nella nuova chiesa, probabilmente in fase di conclusione. L'edificio sorse a croce latina, in stile gotico, venne consacrato il 24 ottobre 1430. Alla metà del quattrocento il cronista Savonarola la definisce templum quidem magnum ma alla fine del secolo era già insufficiente per la comunità dei Minori. Agli inizi del Cinquecento la chiesa fu ingrandita a direzione dell'architetto Lorenzo da Bologna. La chiesa quattrocentesca - a croce latina con tre absidi e navata divisa dal coro, tre cappelle comunicanti sul lato sinistro - fu largamente ingrandita: fu costruito un grande presbiterio che accolse nuovi ampi stalli corali. La navata quattrocentesca fu affiancata da due spaziose navate minori con cappelle. La chiesa fu subito oggetto di grande opere di tono evergetico che arricchirono la costruzione soprattutto tra Cinquecento e Seicento. Nel 1728 il vescovo di Padova contò 22 altari, che erano diminuiti a 17 durante la visita del Vescovo Dondi dell'Orologio nel 1809. A causa delle soppressioni napoleoniche la comunità dei Frati Osservanti lasciò l'edificio ed il convento nell'aprile 1810 e nello stesso anno diventò chiesa parrocchiale curata dal clero secolare. Assorbì nel proprio territorio la parrocchia di Santo Stefano, su cui già furono convenute, nel 1808 le parrocchie di San Lorenzo e San Giorgio. Nel 1862 fu rinnovato il pavimento, e in quell'occasione furono levate le molte lastre tombali di cui era disseminato. Molte furono spostare tra i chiostri. Nel 1873 la chiesa fu oggetto di un restauro complessivo. L'INTERNO Nella quarta cappella (dall'ingresso) sta sull'altare un crocefisso attribuito ad Andrea Brustolon mentre sotto la mensa una statua giacente raffigurante il Transito di sant'Antonio (opera di Luigi Strazzabosco, 1951). Nella terza cappella è esposta la pala con San Lorenzo "vestito da levita" di Alessandro Varotari, proveniente dalla demolita chiesa di San Lorenzo e sostituisce un trittico di Giorgio Schiavone compiuto nel intorno al 1475 e smembrato nei secoli successivi (ora la Madonna in trono con Bambino è conservata a Berlino, al Staatliche Museen, mentre le tavole laterali sono conservate nell'episcopio patavino). Nella seconda cappella sull'altare, in una cornice in rame sbalzato di Luigi Strazzabosco, è esposta una terracotta del XV secolo raffigurante Bernardino da Feltre, un tempo posta nel primo pilastro della navata centrale a memoria della vestizione del beato compiuta in quel luogo. Del Bernardino, a sulla destra, si mostra anche una reliquia, ovvero una delle vesti religiose. A sinistra, sacrificata alla vista, sta la splendida pala di Pietro Liberi La Trinità con i santi Diego, Antonio e Francesco. Nella prima cappella è posto il fonte battesimale, mentre sopra all'altare è collocato un tabernacolo per reliquie, proveniente dalla chiesa di Santo Stefano. Dall'antisacrestia si accede al chiostro di Sant'Antonio. Di impianto tardogotico, ha lunette dipinte a fresco con storie di Sant'Antonio, opere di Bernardino Muttoni e Bernardo Muttoni, restaurate tra il 2006 e il 2007.[7] La porta barocca al chiostro che si apre sul portico lungo la via è l'antico accesso al convento. È datata al marzo 1722 e conserva ancora il ricchi battenti originali. Il secondo chiostro, che si innalzava accanto al coro, è ora parte della scuola media "Giovanni Pascoli". Questo è decorato da affreschi seicenteschi, frutto dei Muttoni. La splendida costruzione fu voluta dal teologo fra Michelangelo Carmeli per ospitare degnamente l'immensa collezione libraria dei Minori - 15000 libri tra cui 450 manoscritti -. Compiuta sullo stile delle grandi biblioteche barocche da Andrea Camarata tra il 1753 ed il 1761, si inserì nell'ala a ponente del convento. Al piano terra si trova la cappella (dove fu rinvenuto morto in preghiera fra Carmeli nel 1766) decorata da Alipio Melani. Vi è pure l'antico broletto con fontana, spazio meditativo voluto dal frate. Nel mezzanino si trovava l'appartamento del bibliotecario e gli spazi per gli studiosi. La grande sala a pianta rettangolare al piano superiore è invece la biblioteca vera e propria, decorata ad affresco da Giuseppe Gru con scene mitologiche.
Convento di San Francesco
118 Via S. Francesco
La chiesa di San Francesco d'Assisi, chiamata in passato chiesa di San Francesco Grande (per non confonderla con la chiesa di San Francesco Piccolo scomparsa già nel secolo XVI), è un edificio religioso che si affaccia su via San Francesco, già contrà dei porteghi alti, a Padova. Per il volere evergetico di Baldo de' Bonafarii e Sibilla de Cetto sorse con il convento dei Frati Minori che ancora l'hanno in cura, e con l'Ospedale di San Francesco Grande che fu in uso sino al 1798. STORIA Il 29 dicembre 1414 nell'episcopio patavino, di fronte al vescovo Pietro Marcello e ad altri testimoni, Baldo Bonafari e la sua consorte Sibilla da Cetto dichiaravano di voler destinare parte dei loro beni alla costruzione di una chiesa con convento ed un ospedale a contrà Santa Margherita, da destinare ai Frati Minori Osservanti. Il Bonafari si riservava di eleggere il rettore dell'ospedale, diritto che alla sua morte sarebbe passato al Collegio dei Giuristi dell'Università degli Studi di Padova. La prima pietra fu posata il 25 ottobre 1416 dall'Arciprete della Cattedrale, Bartolomeo degli Astorelli. La costruzione della chiesa nel territorio della parrocchia di San Lorenzo provocò dapprima qualche incertezza; il vescovo acconsentì e i lavori procedettero spediti guidati dal capomastro Nicolò Gobbo. Dopo la morte del Bonafari l'opera fu portata a compimento dalla moglie Sibilla che nel testamento del novembre 1421 chiedeva di essere sepolta nella nuova chiesa, probabilmente in fase di conclusione. L'edificio sorse a croce latina, in stile gotico, venne consacrato il 24 ottobre 1430. Alla metà del quattrocento il cronista Savonarola la definisce templum quidem magnum ma alla fine del secolo era già insufficiente per la comunità dei Minori. Agli inizi del Cinquecento la chiesa fu ingrandita a direzione dell'architetto Lorenzo da Bologna. La chiesa quattrocentesca - a croce latina con tre absidi e navata divisa dal coro, tre cappelle comunicanti sul lato sinistro - fu largamente ingrandita: fu costruito un grande presbiterio che accolse nuovi ampi stalli corali. La navata quattrocentesca fu affiancata da due spaziose navate minori con cappelle. La chiesa fu subito oggetto di grande opere di tono evergetico che arricchirono la costruzione soprattutto tra Cinquecento e Seicento. Nel 1728 il vescovo di Padova contò 22 altari, che erano diminuiti a 17 durante la visita del Vescovo Dondi dell'Orologio nel 1809. A causa delle soppressioni napoleoniche la comunità dei Frati Osservanti lasciò l'edificio ed il convento nell'aprile 1810 e nello stesso anno diventò chiesa parrocchiale curata dal clero secolare. Assorbì nel proprio territorio la parrocchia di Santo Stefano, su cui già furono convenute, nel 1808 le parrocchie di San Lorenzo e San Giorgio. Nel 1862 fu rinnovato il pavimento, e in quell'occasione furono levate le molte lastre tombali di cui era disseminato. Molte furono spostare tra i chiostri. Nel 1873 la chiesa fu oggetto di un restauro complessivo. L'INTERNO Nella quarta cappella (dall'ingresso) sta sull'altare un crocefisso attribuito ad Andrea Brustolon mentre sotto la mensa una statua giacente raffigurante il Transito di sant'Antonio (opera di Luigi Strazzabosco, 1951). Nella terza cappella è esposta la pala con San Lorenzo "vestito da levita" di Alessandro Varotari, proveniente dalla demolita chiesa di San Lorenzo e sostituisce un trittico di Giorgio Schiavone compiuto nel intorno al 1475 e smembrato nei secoli successivi (ora la Madonna in trono con Bambino è conservata a Berlino, al Staatliche Museen, mentre le tavole laterali sono conservate nell'episcopio patavino). Nella seconda cappella sull'altare, in una cornice in rame sbalzato di Luigi Strazzabosco, è esposta una terracotta del XV secolo raffigurante Bernardino da Feltre, un tempo posta nel primo pilastro della navata centrale a memoria della vestizione del beato compiuta in quel luogo. Del Bernardino, a sulla destra, si mostra anche una reliquia, ovvero una delle vesti religiose. A sinistra, sacrificata alla vista, sta la splendida pala di Pietro Liberi La Trinità con i santi Diego, Antonio e Francesco. Nella prima cappella è posto il fonte battesimale, mentre sopra all'altare è collocato un tabernacolo per reliquie, proveniente dalla chiesa di Santo Stefano. Dall'antisacrestia si accede al chiostro di Sant'Antonio. Di impianto tardogotico, ha lunette dipinte a fresco con storie di Sant'Antonio, opere di Bernardino Muttoni e Bernardo Muttoni, restaurate tra il 2006 e il 2007.[7] La porta barocca al chiostro che si apre sul portico lungo la via è l'antico accesso al convento. È datata al marzo 1722 e conserva ancora il ricchi battenti originali. Il secondo chiostro, che si innalzava accanto al coro, è ora parte della scuola media "Giovanni Pascoli". Questo è decorato da affreschi seicenteschi, frutto dei Muttoni. La splendida costruzione fu voluta dal teologo fra Michelangelo Carmeli per ospitare degnamente l'immensa collezione libraria dei Minori - 15000 libri tra cui 450 manoscritti -. Compiuta sullo stile delle grandi biblioteche barocche da Andrea Camarata tra il 1753 ed il 1761, si inserì nell'ala a ponente del convento. Al piano terra si trova la cappella (dove fu rinvenuto morto in preghiera fra Carmeli nel 1766) decorata da Alipio Melani. Vi è pure l'antico broletto con fontana, spazio meditativo voluto dal frate. Nel mezzanino si trovava l'appartamento del bibliotecario e gli spazi per gli studiosi. La grande sala a pianta rettangolare al piano superiore è invece la biblioteca vera e propria, decorata ad affresco da Giuseppe Gru con scene mitologiche.
L'Oratorio di S. Giorgio, a destra della piazza del Santo, è un elegante edificio romanico che fu fatto edificare dal marchese Raimondino dei Lupi di Soragna nel 1377, come cappella sepolcrale della famiglia. Sulla semplice facciata in cotto, scandita da sottili lesene, un rilievo in pietra rappresentante S. Giorgio. All'interno dell'Oratorio, che alla fine del '700 fu trasformato in carcere, è fortunatamente ancora custodito un importante ciclo di affreschi, giudicati il capolavoro di Altichiero Altichieri da Zevio, che a quel tempo lavorava su commissione, anche lui, per famiglia Lupi, nella cappella di San Felice al Santo. Gli affreschi, sulla parete della facciata, eseguiti tra il 1379 e il 1384, pare con la collaborazione del bolognese Jacopo Avanzi, illustrano scene del Vangelo come Adorazione dei Pastori, Adorazione dei Magi, ecc., le storie di San Giorgio sulla parete orientale e le Leggende di S. Caterina e di Santa Lucia in quella occidentale. Il ciclo si caratterizza ancora per le capacità realistiche e narrative del pittore veronese. La Scoletta del Santo La Scoletta del Santo Di fianco all'Oratorio, troviamo la Scoletta del Santo, edificio che riprende lo stile semplice della costruzione in mattoni che caratterizza le chiese Antoniane. La facciata è stata modificata nel 1930 con l'aggiunta di una cornice a mezza altezza. Al suo interno si trovano un pregevole affresco del Padovanino, raffigurante la Madonna col Bimbo, con i santi Biagio e Girolamo e una bella statua in legno della Immacolata, usata per le processioni, di R. Rinaldi, allievo di Canova. La Sala Priorale La Sala Priorale Il secondo piano della Scoletta fu fatto costruire in un secondo momento, alla fine del '400 per ospitare la Sala Priorale, che fu, nei primi vent'anni del '500, affrescata dai più importanti pittori che gravitavano in area veneta, tra cui Girolamo dal Santo e Bartolomeo Campagna. Contribuì alla bellezza della sala anche un giovane pittore locale, che si era già guadagnato fama di grande maestro: Tiziano Vecellio. Proprio nella Scoletta sono custoditi i suoi capolavori giovanili e sono evidenti le sue influenze anche nelle opere di altri pittori. Tutto il complesso appartiene all'Arciconfraternita di Sant'Antonio.
Oratorio di San Giorgio
Piazza del Santo
L'Oratorio di S. Giorgio, a destra della piazza del Santo, è un elegante edificio romanico che fu fatto edificare dal marchese Raimondino dei Lupi di Soragna nel 1377, come cappella sepolcrale della famiglia. Sulla semplice facciata in cotto, scandita da sottili lesene, un rilievo in pietra rappresentante S. Giorgio. All'interno dell'Oratorio, che alla fine del '700 fu trasformato in carcere, è fortunatamente ancora custodito un importante ciclo di affreschi, giudicati il capolavoro di Altichiero Altichieri da Zevio, che a quel tempo lavorava su commissione, anche lui, per famiglia Lupi, nella cappella di San Felice al Santo. Gli affreschi, sulla parete della facciata, eseguiti tra il 1379 e il 1384, pare con la collaborazione del bolognese Jacopo Avanzi, illustrano scene del Vangelo come Adorazione dei Pastori, Adorazione dei Magi, ecc., le storie di San Giorgio sulla parete orientale e le Leggende di S. Caterina e di Santa Lucia in quella occidentale. Il ciclo si caratterizza ancora per le capacità realistiche e narrative del pittore veronese. La Scoletta del Santo La Scoletta del Santo Di fianco all'Oratorio, troviamo la Scoletta del Santo, edificio che riprende lo stile semplice della costruzione in mattoni che caratterizza le chiese Antoniane. La facciata è stata modificata nel 1930 con l'aggiunta di una cornice a mezza altezza. Al suo interno si trovano un pregevole affresco del Padovanino, raffigurante la Madonna col Bimbo, con i santi Biagio e Girolamo e una bella statua in legno della Immacolata, usata per le processioni, di R. Rinaldi, allievo di Canova. La Sala Priorale La Sala Priorale Il secondo piano della Scoletta fu fatto costruire in un secondo momento, alla fine del '400 per ospitare la Sala Priorale, che fu, nei primi vent'anni del '500, affrescata dai più importanti pittori che gravitavano in area veneta, tra cui Girolamo dal Santo e Bartolomeo Campagna. Contribuì alla bellezza della sala anche un giovane pittore locale, che si era già guadagnato fama di grande maestro: Tiziano Vecellio. Proprio nella Scoletta sono custoditi i suoi capolavori giovanili e sono evidenti le sue influenze anche nelle opere di altri pittori. Tutto il complesso appartiene all'Arciconfraternita di Sant'Antonio.
Il Museo Antoniano è una vera e propria stanza delle meraviglie che raccoglie al suo interno tesori artistici realizzati nei secoli per la Basilica e per la Veneranda Arca di sant'Antonio: dipinti, sculture, gessi, paramenti sacri, arazzi, oreficerie. Il museo, nato alla fine del XIX secolo come raccolta di oggetti storico-artistici legati alla vita o al culto del Santo, venne chiuso nel 1940 e riaperto poi con l’attuale allestimento nel 1995, in occasione dell’VIII centenario della nascita del Santo. Sono esposti autentici capolavori. Solo per menzionarne alcuni: la lunetta affrescata da Mantegna per il portale della Basilica, le tarsie lignee quattrocentesce, la preziosa Navicella di arte orafa tedesca del Cinquecento, le pale d’altare di Tiepolo, Carpaccio e Piazzetta, un raro paramento liturgico tessuto a Lione nel Settecento. Nel 2015 il museo si è arricchito di una mostra permanente dedicata a “Donatello al Santo”, due sale allestite con un ricco corredo di fotografie, calchi in gesso e pannelli informativi, che permettono al visitatore di vedere da vicino i capolavori che il celebre artista fiorentino realizzò per il Santo, collocati nel presbiterio e visibili soltanto "a distanza". In mostra c’è anche un busto del Gattamelata in gesso che, grazie a un particolare trattamento protettivo, è possibile toccare. L’intento è di offrire anche alle persone non vedenti il piacere di “gustare” con il tatto i capolavori del Donatello. Dove si trova Entrata dal Chiostro del Beato Luca Belludi Orario unico di apertura - Museo Antoniano e Museo della devozione popolare - Oratorio di San Giorgio - Scuola del Santo (Scoletta) Orario di apertura: da martedì a domenica 09.00 – 13.00 e 14.00 – 18.00 Chiuso: lunedì, Natale e Capodanno Biglietti - Biglietto unico per i tre siti a persona: intero € 7, ridotto* € 5 - Biglietto unico Famiglia € 10 - Biglietto singolo sito a persona: intero € 3, ridotto* € 2 Gratuito: - minori di 6 anni, disabili e accompagnatori, religiosi/e, militari, guide turistiche, capigruppo. - Il 18 marzo (giorno in cui la Basilica del Santo ringrazia per il servizio di papa Francesco) e il 4 ottobre (solennità di San Francesco) ingresso gratuito per tutti. * Biglietto ridotto: gruppi min. 15 persone, studenti, insegnanti, convenzioni (ove previste) Biglietterie Ufficio Informazioni della Basilica (entrata Chiostro della Magnolia) Museo Antoniano (entrata dal Chiostro del Beato Luca Belludi)
Museo Antoniano
11 Piazza del Santo
Il Museo Antoniano è una vera e propria stanza delle meraviglie che raccoglie al suo interno tesori artistici realizzati nei secoli per la Basilica e per la Veneranda Arca di sant'Antonio: dipinti, sculture, gessi, paramenti sacri, arazzi, oreficerie. Il museo, nato alla fine del XIX secolo come raccolta di oggetti storico-artistici legati alla vita o al culto del Santo, venne chiuso nel 1940 e riaperto poi con l’attuale allestimento nel 1995, in occasione dell’VIII centenario della nascita del Santo. Sono esposti autentici capolavori. Solo per menzionarne alcuni: la lunetta affrescata da Mantegna per il portale della Basilica, le tarsie lignee quattrocentesce, la preziosa Navicella di arte orafa tedesca del Cinquecento, le pale d’altare di Tiepolo, Carpaccio e Piazzetta, un raro paramento liturgico tessuto a Lione nel Settecento. Nel 2015 il museo si è arricchito di una mostra permanente dedicata a “Donatello al Santo”, due sale allestite con un ricco corredo di fotografie, calchi in gesso e pannelli informativi, che permettono al visitatore di vedere da vicino i capolavori che il celebre artista fiorentino realizzò per il Santo, collocati nel presbiterio e visibili soltanto "a distanza". In mostra c’è anche un busto del Gattamelata in gesso che, grazie a un particolare trattamento protettivo, è possibile toccare. L’intento è di offrire anche alle persone non vedenti il piacere di “gustare” con il tatto i capolavori del Donatello. Dove si trova Entrata dal Chiostro del Beato Luca Belludi Orario unico di apertura - Museo Antoniano e Museo della devozione popolare - Oratorio di San Giorgio - Scuola del Santo (Scoletta) Orario di apertura: da martedì a domenica 09.00 – 13.00 e 14.00 – 18.00 Chiuso: lunedì, Natale e Capodanno Biglietti - Biglietto unico per i tre siti a persona: intero € 7, ridotto* € 5 - Biglietto unico Famiglia € 10 - Biglietto singolo sito a persona: intero € 3, ridotto* € 2 Gratuito: - minori di 6 anni, disabili e accompagnatori, religiosi/e, militari, guide turistiche, capigruppo. - Il 18 marzo (giorno in cui la Basilica del Santo ringrazia per il servizio di papa Francesco) e il 4 ottobre (solennità di San Francesco) ingresso gratuito per tutti. * Biglietto ridotto: gruppi min. 15 persone, studenti, insegnanti, convenzioni (ove previste) Biglietterie Ufficio Informazioni della Basilica (entrata Chiostro della Magnolia) Museo Antoniano (entrata dal Chiostro del Beato Luca Belludi)
Cenni storici La Basilica di Santa Maria del Carmine è chiamata popolarmente i Carmini, dal nome dell'ordine monastico che si insediò a Padova verso la fine del XIII secolo. La prima Chiesa (la più antica di cui si ha notizia) fu edificata nel 1212, assieme ad un convento di monache che fu poi ricostruito dai frati carmelitani prima del 1295. La ricostruzione della Chiesa iniziò nel 1335, ma la consacrazione della nuova Chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine avvenne nel 1446. Nel 1491 una forte nevicata e un terremoto fecero crollare la copertura di legno e la Chiesa fu distrutta. La costruzione, sulla struttura preesistente del Trecento, ancora riconoscibile nella successione di pilastri e cappelle, iniziò nel 1494. A Pietro Antonio degli Abati si deve la cupola e a Lorenzo da Bologna e Maestro Bartolini si attribuiscono gli arconi laterali. Nel 1696 un terremoto fece crollare la volta cinquecentesca della navata, nel 1800 un incendio distrusse la cupola che fu successivamente riparata nel 1830 e riedificata in seguito, più volte, fino al rifacimento in rame della calotta esterna nel 1931-32. La costruzione della Chiesa fu portata a termine solo nel Settecento. Di quest'epoca è infatti la facciata, progettata da Giovanni Gloria, nella quale si apre un portale ornato da un timpano e da tre statue realizzate nel 1736 dal Bonazza. I battenti della porta maggiore di legno, la più antica di Padova (1412), sono decorati con formelle quadrate, contenenti una foglia di acanto. L'interno Il maestoso interno ad un'unica navata, con alta cupola, frutto delle ricostruzioni operate nel 1918-1919, è scandito alle pareti dalle sei cappelle della chiesa. Sull'altare maggiore, affiancata da due angeli dello scultore padovano Rinaldo Rinaldi, la Madonna col Bambino, detta Madonna dei Lumini, affresco di Stefano dall'Arzere, che fu qui trasportata dalla Casa Selvazzi, dietro la Corte del Capitanio, come voto dei padovani per implorare la fine della peste. Ancora oggi la festività della Madonna dei Lumini è cara alla devozione dei padovani. All'interno della Chiesa una pregevole opera di Alessandro Varotari detto il Padovanino, la Pala con Cristo e la Madre degli Zebedei. In una sala attigua alla Basilica ha finalmente ritrovato collocazione anche il restaurato Cristo Deposto in cartapesta, oggetto di devozione e soggetto centrale di processioni pasquali fin dal XV secolo (la sala è sempre aperta solo nel periodo pasquale, per la visita contattare il Parroco). La Scoletta Accanto alla Basilica, troviamo la Scoletta del Carmine, dove sono conservati importanti esempi di arte rinascimentale. Edificata nel XIV secolo, come sede dell'omonima confraternita, è decorata da un importante ciclo di affreschi del XVI secolo, rappresentanti storie di Cristo e di Maria. Gli affreschi sono opera di Girolamo Tessari, detto dal Santo (Cacciata di Gioacchino dal Tempio, Apparizione dell'Angelo a Gioacchino, Santa Famiglia di Nazareth, Pentecoste, Dormitio Virginis, Assunzione di Maria); Giulio Campagnola (Natività di Maria, Presentazione di Maria al Tempio, Visita di Maria al Tempio); Domenico Campagnola (Incontro di Gioacchino con S.Anna); Stefano dall'Arzere (Adorazione dei pastori, Adorazione dei magi e Purificazione) e collaboratori.
Parish of Santa Maria del Carmine
1 Piazza Petrarca
Cenni storici La Basilica di Santa Maria del Carmine è chiamata popolarmente i Carmini, dal nome dell'ordine monastico che si insediò a Padova verso la fine del XIII secolo. La prima Chiesa (la più antica di cui si ha notizia) fu edificata nel 1212, assieme ad un convento di monache che fu poi ricostruito dai frati carmelitani prima del 1295. La ricostruzione della Chiesa iniziò nel 1335, ma la consacrazione della nuova Chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine avvenne nel 1446. Nel 1491 una forte nevicata e un terremoto fecero crollare la copertura di legno e la Chiesa fu distrutta. La costruzione, sulla struttura preesistente del Trecento, ancora riconoscibile nella successione di pilastri e cappelle, iniziò nel 1494. A Pietro Antonio degli Abati si deve la cupola e a Lorenzo da Bologna e Maestro Bartolini si attribuiscono gli arconi laterali. Nel 1696 un terremoto fece crollare la volta cinquecentesca della navata, nel 1800 un incendio distrusse la cupola che fu successivamente riparata nel 1830 e riedificata in seguito, più volte, fino al rifacimento in rame della calotta esterna nel 1931-32. La costruzione della Chiesa fu portata a termine solo nel Settecento. Di quest'epoca è infatti la facciata, progettata da Giovanni Gloria, nella quale si apre un portale ornato da un timpano e da tre statue realizzate nel 1736 dal Bonazza. I battenti della porta maggiore di legno, la più antica di Padova (1412), sono decorati con formelle quadrate, contenenti una foglia di acanto. L'interno Il maestoso interno ad un'unica navata, con alta cupola, frutto delle ricostruzioni operate nel 1918-1919, è scandito alle pareti dalle sei cappelle della chiesa. Sull'altare maggiore, affiancata da due angeli dello scultore padovano Rinaldo Rinaldi, la Madonna col Bambino, detta Madonna dei Lumini, affresco di Stefano dall'Arzere, che fu qui trasportata dalla Casa Selvazzi, dietro la Corte del Capitanio, come voto dei padovani per implorare la fine della peste. Ancora oggi la festività della Madonna dei Lumini è cara alla devozione dei padovani. All'interno della Chiesa una pregevole opera di Alessandro Varotari detto il Padovanino, la Pala con Cristo e la Madre degli Zebedei. In una sala attigua alla Basilica ha finalmente ritrovato collocazione anche il restaurato Cristo Deposto in cartapesta, oggetto di devozione e soggetto centrale di processioni pasquali fin dal XV secolo (la sala è sempre aperta solo nel periodo pasquale, per la visita contattare il Parroco). La Scoletta Accanto alla Basilica, troviamo la Scoletta del Carmine, dove sono conservati importanti esempi di arte rinascimentale. Edificata nel XIV secolo, come sede dell'omonima confraternita, è decorata da un importante ciclo di affreschi del XVI secolo, rappresentanti storie di Cristo e di Maria. Gli affreschi sono opera di Girolamo Tessari, detto dal Santo (Cacciata di Gioacchino dal Tempio, Apparizione dell'Angelo a Gioacchino, Santa Famiglia di Nazareth, Pentecoste, Dormitio Virginis, Assunzione di Maria); Giulio Campagnola (Natività di Maria, Presentazione di Maria al Tempio, Visita di Maria al Tempio); Domenico Campagnola (Incontro di Gioacchino con S.Anna); Stefano dall'Arzere (Adorazione dei pastori, Adorazione dei magi e Purificazione) e collaboratori.
Frequento ormai Padova da molti anni, prima per studiare all'Università e ora per lavorare, ma mi ha molto sorpreso scoprire una fantastica struttura all'interno di un piccolo e grazioso parco: il bastione Alicorno. Questa è un'area verde con l'ingresso principale in via Cavallotti, si procede poi per un sentiero sterrato che complice la fitta vegetazione permette di isolarsi dal caos della città tutt'intorno e raggiungere il bastione. Sfortunatamente la vista non è interessante come la struttura muraria sotto di esso. Il cancello di accesso è sotto due rampe di scale, ma viene aperto solo per spettacoli ed eventi privati ed è molto triste perché nasconde una grande area che rimane inutilizzabile per gran parte dell'anno. L’interno del bastione si articola in varie sale-piazzeforti, su due piani, con scale di collegamento. Luce e aria all'interno sono garantite dalla presenza di due larghe aperture sulla sommità. Fu costruito probabilmente ancora in epoca medievale a scopi difensivi e di controllo, in una delle zone portuali di Padova, già nel corso del ’400 viene ricordato come “torrione Liocorno” negli atti della Repubblica di Venezia per miglioramenti e adattamenti. Nel 1509 fu ricostruito in forme moderne, ma in materiali provvisori (terrapieno e legname) da fra’ Giocondo sotto la spinta dell’imminente attacco di Massimiliano e poi terminato in muro da Sebastiano da Lugano intorno al 1517. Il giardino Alicorno, sulla sommità del bastione, è quanto resta del ben più ampio parco della villa Trieste, realizzato su probabile progetto di Giuseppe Jappelli. Ricco di alberi pregiati quali magnolie e cedri del Libano, era abbellito da un laghetto. Il proprietario Maso Trieste, fondatore della Banca Popolare di Padova, consentì che l’Osservatorio astronomico nel 1842, in occasione del IV congresso di Astronomia, ponesse qui un cippo a forma di obelisco, visibile tuttora, per indicare il meridiano di Padova. Nel 1922 una parte del parco venne espropriata e lottizzata. La villa Trieste venne abbattuta e con trentamila metri quadri edificabili venne completata la Città-giardino.
Bastione Alicorno
6 Via Francesco Piccoli
Frequento ormai Padova da molti anni, prima per studiare all'Università e ora per lavorare, ma mi ha molto sorpreso scoprire una fantastica struttura all'interno di un piccolo e grazioso parco: il bastione Alicorno. Questa è un'area verde con l'ingresso principale in via Cavallotti, si procede poi per un sentiero sterrato che complice la fitta vegetazione permette di isolarsi dal caos della città tutt'intorno e raggiungere il bastione. Sfortunatamente la vista non è interessante come la struttura muraria sotto di esso. Il cancello di accesso è sotto due rampe di scale, ma viene aperto solo per spettacoli ed eventi privati ed è molto triste perché nasconde una grande area che rimane inutilizzabile per gran parte dell'anno. L’interno del bastione si articola in varie sale-piazzeforti, su due piani, con scale di collegamento. Luce e aria all'interno sono garantite dalla presenza di due larghe aperture sulla sommità. Fu costruito probabilmente ancora in epoca medievale a scopi difensivi e di controllo, in una delle zone portuali di Padova, già nel corso del ’400 viene ricordato come “torrione Liocorno” negli atti della Repubblica di Venezia per miglioramenti e adattamenti. Nel 1509 fu ricostruito in forme moderne, ma in materiali provvisori (terrapieno e legname) da fra’ Giocondo sotto la spinta dell’imminente attacco di Massimiliano e poi terminato in muro da Sebastiano da Lugano intorno al 1517. Il giardino Alicorno, sulla sommità del bastione, è quanto resta del ben più ampio parco della villa Trieste, realizzato su probabile progetto di Giuseppe Jappelli. Ricco di alberi pregiati quali magnolie e cedri del Libano, era abbellito da un laghetto. Il proprietario Maso Trieste, fondatore della Banca Popolare di Padova, consentì che l’Osservatorio astronomico nel 1842, in occasione del IV congresso di Astronomia, ponesse qui un cippo a forma di obelisco, visibile tuttora, per indicare il meridiano di Padova. Nel 1922 una parte del parco venne espropriata e lottizzata. La villa Trieste venne abbattuta e con trentamila metri quadri edificabili venne completata la Città-giardino.
Un luogo unico, importante sia per la tradizione religiosa, data dalla presenza della statua (acefala) di San Prosdocimo, di origine medievale, ora una copia (originale ai Musei civici), sia per la valenza culturale ed ambientale, trattandosi dell’area monumentale cinquecentesca, specificamente del torrione del Castelnuovo destinato senza esito a sede di un nuovo Castello di Padova, eretto lungo le nuove mura difensive dai veneziani nel XVI secolo, e del quale il prossimo anno ricorreranno i 500 anni di edificazione.
Golena San Massimo
137 Via S. Massimo
Un luogo unico, importante sia per la tradizione religiosa, data dalla presenza della statua (acefala) di San Prosdocimo, di origine medievale, ora una copia (originale ai Musei civici), sia per la valenza culturale ed ambientale, trattandosi dell’area monumentale cinquecentesca, specificamente del torrione del Castelnuovo destinato senza esito a sede di un nuovo Castello di Padova, eretto lungo le nuove mura difensive dai veneziani nel XVI secolo, e del quale il prossimo anno ricorreranno i 500 anni di edificazione.
Il Museo Storico della Terza Armata ha sede a Palazzo Camerini. Costituita per iniziativa del Generale Alberto Aliberti e inaugurata il 30 agosto 1956, l’esposizione presenta cimeli, documenti e memorie storiche legati alla Invitta durante la Grande Guerra. Nel corso di quel conflitto la Terza Armata era impegnata nella zona del Carso e del basso Piave e fu protagonista di importanti pagine di storia nazionale. Comandante dell’Armata durante la guerra fu Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta, cugino di Re Vittorio Emanuele III. Il patrimonio museale venne costituito inizialmente con le donazioni delle famiglie Savoia e Villasanta – durante la Grande Guerra il Generale Nino Villasanta fu segretario del Duca d’Aosta – e con successivi lasciti che hanno ulteriormente arricchito la pregevole collezione. Interessanti le armi, le divise e i cimeli che mostrano le condizioni di vita dei soldati all’epoca e i loro equipaggiamenti. Di grande importanza anche la documentazione cartografica. Si tratta, per esempio, delle carte in scala 1:100.000 che venivano disegnate a mano e colorate a pastello ogni mattina presso il Comando della Terza Armata per indicare la dislocazione delle Grandi Unità, dei Corpi e dei Reparti autonomi. Da segnalare, altresì, le numerose fotografie originali eseguite nel corso conflitto, da quelle realizzate da fotoperatori dello Stato Maggiore italiano e austro-ungarico agli scatti del Capitano Natale Palli che volò su Vienna insieme a Gabriele D’Annunzio. Si ricorda inoltre una straordinaria raccolta di piccole lastre stereoscopiche che possono essere ammirate tramite un restitutore che ricrea nello spazio, con profondità tridimensionale, scene di vita della Grande Guerra. Significativi pure i numeri de “La Tradotta”, il giornale di trincea della Terza Armata, e le cartoline che negli anni del conflitto incitarono a sottoscrivere il prestito nazionale. Sono consultabili, in formato digitale o cartaceo, anche moltissimi documenti: ordini di operazioni, appunti, lettere, messaggi e manoscritti. Vi è infine una raccolta di circa sessantamila firme di reduci o parenti degli ex-combattenti alla Terza Armata, donata al Duca d’Aosta a Torino nel 1926, nella quale si possono trovare quelle di personaggi illustri che hanno fatto la storia d’Italia. Tra questi ricordiamo Enrico Toti, Francesco Baracca, Folco Ruffo di Calabria, Benito Mussolini, Cesare Merzagora, Sandro Pertini, Giuseppe Roncalli (poi Papa Giovanni XXIII), Paolo Caccia Dominioni, Giuseppe Ungaretti, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Mario Sironi e Antonio Sant’Elia. Il palazzo in cui ha sede il Museo, di proprietà della famiglia Borromeo dal XV secolo, venne acquistato da Pietro Bembo nel 1527 e, in seguito a numerosi passaggi, dal Duca Silvestro Camerini (1847), dal quale prende il nome. Dagli anni quaranta del Novecento, l’edificio ha ospitato alti comandi militari, fra i quali il Comando Designato della Terza Armata (1952-1972) e il Comando Brigata Artiglieria Contraerea dell’Esercito fino al 2009.
Museo Storico della 3^ Armata
59 Via Altinate
Il Museo Storico della Terza Armata ha sede a Palazzo Camerini. Costituita per iniziativa del Generale Alberto Aliberti e inaugurata il 30 agosto 1956, l’esposizione presenta cimeli, documenti e memorie storiche legati alla Invitta durante la Grande Guerra. Nel corso di quel conflitto la Terza Armata era impegnata nella zona del Carso e del basso Piave e fu protagonista di importanti pagine di storia nazionale. Comandante dell’Armata durante la guerra fu Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta, cugino di Re Vittorio Emanuele III. Il patrimonio museale venne costituito inizialmente con le donazioni delle famiglie Savoia e Villasanta – durante la Grande Guerra il Generale Nino Villasanta fu segretario del Duca d’Aosta – e con successivi lasciti che hanno ulteriormente arricchito la pregevole collezione. Interessanti le armi, le divise e i cimeli che mostrano le condizioni di vita dei soldati all’epoca e i loro equipaggiamenti. Di grande importanza anche la documentazione cartografica. Si tratta, per esempio, delle carte in scala 1:100.000 che venivano disegnate a mano e colorate a pastello ogni mattina presso il Comando della Terza Armata per indicare la dislocazione delle Grandi Unità, dei Corpi e dei Reparti autonomi. Da segnalare, altresì, le numerose fotografie originali eseguite nel corso conflitto, da quelle realizzate da fotoperatori dello Stato Maggiore italiano e austro-ungarico agli scatti del Capitano Natale Palli che volò su Vienna insieme a Gabriele D’Annunzio. Si ricorda inoltre una straordinaria raccolta di piccole lastre stereoscopiche che possono essere ammirate tramite un restitutore che ricrea nello spazio, con profondità tridimensionale, scene di vita della Grande Guerra. Significativi pure i numeri de “La Tradotta”, il giornale di trincea della Terza Armata, e le cartoline che negli anni del conflitto incitarono a sottoscrivere il prestito nazionale. Sono consultabili, in formato digitale o cartaceo, anche moltissimi documenti: ordini di operazioni, appunti, lettere, messaggi e manoscritti. Vi è infine una raccolta di circa sessantamila firme di reduci o parenti degli ex-combattenti alla Terza Armata, donata al Duca d’Aosta a Torino nel 1926, nella quale si possono trovare quelle di personaggi illustri che hanno fatto la storia d’Italia. Tra questi ricordiamo Enrico Toti, Francesco Baracca, Folco Ruffo di Calabria, Benito Mussolini, Cesare Merzagora, Sandro Pertini, Giuseppe Roncalli (poi Papa Giovanni XXIII), Paolo Caccia Dominioni, Giuseppe Ungaretti, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Mario Sironi e Antonio Sant’Elia. Il palazzo in cui ha sede il Museo, di proprietà della famiglia Borromeo dal XV secolo, venne acquistato da Pietro Bembo nel 1527 e, in seguito a numerosi passaggi, dal Duca Silvestro Camerini (1847), dal quale prende il nome. Dagli anni quaranta del Novecento, l’edificio ha ospitato alti comandi militari, fra i quali il Comando Designato della Terza Armata (1952-1972) e il Comando Brigata Artiglieria Contraerea dell’Esercito fino al 2009.
La Sala detta “dei Giganti” era in origine uno dei principali ambienti di rappresentanza del palazzo dei Carraresi, signori di Padova nel Trecento, ed era decorata da un ciclo di affreschi con uomini famosi della storia antica, basato sull’opera De viris illustribus di Francesco Petrarca, già ospite e amico di Francesco I da Carrara. Della decorazione trecentesca, alla quale probabilmente lavorarono, negli anni Settanta del Trecento, pittori come Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi, rimane oggi solo l’immagine di Petrarca nel suo studio, pur pesantemente ritoccata nei secoli successivi. Verso la metà del Cinquecento la Sala, allora in rovinoso stato di conservazione, fu restaurata nell’ambito di un ampio intervento di ristrutturazione della ex reggia carrarese, trasformata sotto il dominio veneziano nel palazzo del Capitanio, sede dell’autorità preposta al comando militare di Padova dalla Repubblica Serenissima. Tra il 1539 e il 1541 il capitano di Padova Girolamo Corner, esponente di una importante famiglia veneziana, promosse una nuova decorazione della sala, riproponendo, pur con significative varianti nella selezione dei personaggi illustri, ma con analogo intento didascalico e celebrativo, lo schema e i soggetti di quella trecentesca. I pittori chiamati a realizzare il complesso programma iconografico, strettamente ispirato alla storia romana antica e alla classicità, furono Domenico Campagnola, Stefano Dall’Arzere e, probabilmente, Gualtiero Padovano; è stata ipotizzata anche la partecipazione di Giuseppe Porta Salviati, artista di formazione centroitaliana, e dell’olandese Lambert Sustris, che da Roma era approdato a Venezia e quindi a Padova, dove rimarrà fino al 1548. Sulle due pareti lunghe, negli spazi scanditi da finte colonne, si succedono 44 figure di re e imperatori (da Romolo a Carlo Magno) e di personaggi dell’età repubblicana, proposti come esempi di valore militare, di buon governo, di giustizia e di pace; sulle pareti brevi, invece, sono raffigurati sei celebri uomini di lettere patavini o legati all’ambiente padovano, a sancire l’importanza della città liviana con la sua università quale supremo polo culturale del territorio veneto. La Sala è stata da sempre legata alla vita dell’università: già poco dopo la sua realizzazione vi si organizzavano feste da ballo per gli studenti e, dal 1631 fino al 1912, fu la sede della Biblioteca universitaria. Nel 1999, grazie al contributo dell'Associazione degli Amici dell'Università, è stato restaurato il soffitto ligneo cinquecentesco e, agli inizi del 2003, sono stati ultimati i restauri dello scalone monumentale. L’ultimo restauro della Sala, terminato nel 2008, ha riguardato la decorazione pittorica delle pareti, in precario stato di conservazione a causa anche di vecchi e non consoni rifacimenti e ridipinture. L’intervento è stato condotto dall’Ateneo in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e l’Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano (ARPAI), con il contributo di numerosi donatori privati. Per visionare la Sala è possibile partecipare alle visite guidate.
Sala dei Giganti
Piazza Capitaniato
La Sala detta “dei Giganti” era in origine uno dei principali ambienti di rappresentanza del palazzo dei Carraresi, signori di Padova nel Trecento, ed era decorata da un ciclo di affreschi con uomini famosi della storia antica, basato sull’opera De viris illustribus di Francesco Petrarca, già ospite e amico di Francesco I da Carrara. Della decorazione trecentesca, alla quale probabilmente lavorarono, negli anni Settanta del Trecento, pittori come Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi, rimane oggi solo l’immagine di Petrarca nel suo studio, pur pesantemente ritoccata nei secoli successivi. Verso la metà del Cinquecento la Sala, allora in rovinoso stato di conservazione, fu restaurata nell’ambito di un ampio intervento di ristrutturazione della ex reggia carrarese, trasformata sotto il dominio veneziano nel palazzo del Capitanio, sede dell’autorità preposta al comando militare di Padova dalla Repubblica Serenissima. Tra il 1539 e il 1541 il capitano di Padova Girolamo Corner, esponente di una importante famiglia veneziana, promosse una nuova decorazione della sala, riproponendo, pur con significative varianti nella selezione dei personaggi illustri, ma con analogo intento didascalico e celebrativo, lo schema e i soggetti di quella trecentesca. I pittori chiamati a realizzare il complesso programma iconografico, strettamente ispirato alla storia romana antica e alla classicità, furono Domenico Campagnola, Stefano Dall’Arzere e, probabilmente, Gualtiero Padovano; è stata ipotizzata anche la partecipazione di Giuseppe Porta Salviati, artista di formazione centroitaliana, e dell’olandese Lambert Sustris, che da Roma era approdato a Venezia e quindi a Padova, dove rimarrà fino al 1548. Sulle due pareti lunghe, negli spazi scanditi da finte colonne, si succedono 44 figure di re e imperatori (da Romolo a Carlo Magno) e di personaggi dell’età repubblicana, proposti come esempi di valore militare, di buon governo, di giustizia e di pace; sulle pareti brevi, invece, sono raffigurati sei celebri uomini di lettere patavini o legati all’ambiente padovano, a sancire l’importanza della città liviana con la sua università quale supremo polo culturale del territorio veneto. La Sala è stata da sempre legata alla vita dell’università: già poco dopo la sua realizzazione vi si organizzavano feste da ballo per gli studenti e, dal 1631 fino al 1912, fu la sede della Biblioteca universitaria. Nel 1999, grazie al contributo dell'Associazione degli Amici dell'Università, è stato restaurato il soffitto ligneo cinquecentesco e, agli inizi del 2003, sono stati ultimati i restauri dello scalone monumentale. L’ultimo restauro della Sala, terminato nel 2008, ha riguardato la decorazione pittorica delle pareti, in precario stato di conservazione a causa anche di vecchi e non consoni rifacimenti e ridipinture. L’intervento è stato condotto dall’Ateneo in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e l’Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano (ARPAI), con il contributo di numerosi donatori privati. Per visionare la Sala è possibile partecipare alle visite guidate.
All'angolo della strada che porta da piazza dei Signori al Duomo, in passato centro di confluenza del più importante sistema viario, vero cuore della città, sorge la Loggia del Consiglio, perché qui si riuniva il Maggior Consiglio della città in seguito all'incendio del Salone nel 1420. L'elegante edificio rinascimentale di impronta lombardesca, fu progettato da Annibale Maggi da Bassano, ultimo rappresentante di uno stile ancora quattrocentesco, nei ritmi e nelle decorazioni, che aveva dominato a Padova alla fine del XV secolo. L'edificio viene comunemente chiamato Gran Guardia perché utilizzato come comando militare durante la dominazione austriaca. La Loggia, per l'armonia delle proporzioni e la sobria eleganza, è la più classica e compiuta rappresentazione del nuovo Rinascimento, vero capolavoro dell'architettura locale del periodo di transizione tra il '400 e il '500, caratterizzato dalle particolari decorazioni dei piedistalli e dall'uso di marmi policromi di chiaro gusto lombardesco. Nel 1496 il Maggi ne seguì i lavori, che negli anni successivi procedettero lenti e faticosi, spesso interrotti da lunghe pause. Sospensioni dovute sia a problematiche economiche che agli eventi bellici del 1509, con l'assedio di Padova da parte delle truppe di Massimiliano durante le tragiche giornate della guerra di Cambrai. I lavori ripresero poi nel 1516 sotto la guida del ferrarese Biagio del Bigio e in seguito nel 1530 da Giovanni Maria Falconetto che, unitamente ai lavori della Torre dell'Orologio, intervenne nella nuova configurazione di rinnovamento di piazza dei Signori. Un'ampia gradinata immette nella Loggia del Consiglio, che si apre con sette arcate a pieno centro nella facciata e due ai lati, impostate su colonne e su pilastri angolari. Nella loggia, con soffitto a travatura e ornato di svecchiature marmoree e di stemmi, si apre a sinistra nel fondo la porta da cui si accede, con un ampio scalone interrotto da un pianerottolo, alla sala superiore. La grande sala è ornata da un soffitto a lacunari (riquadro decorato del soffitto) di Giovanni Paolo da Venezia e Girolamo dal Santo, da una serie di affreschi lungo le pareti longitudinali, inoltre da una tela nella parete sopra il banco ove sedeva il Maggior Consiglio. Gli affreschi del 1667, attribuiti al bolognese Pier Antonio Torri, vogliono rappresentare episodi leggendari e storici di Padova, tra cui la Fondazione della Città ad opera di Antenore, la vittoria riportata dai Padovani sulla flotta del re spartano Cleonimo, il Suicidio di Trasea Peto. La tela della parete orientale, raffigurante Padova tra la Giustizia e la Sapienza, è opera di incerto pittore del '700, forse Giulio Girello, autore rinomato all'epoca proprio per questo genere di scene celebrative a carattere ufficiale. Sostituisce la più famosa tela eseguita da Domenico Campagnola nel 1537, ora al Museo Civico. La Loggia del Consiglio dal 1866 fa parte del patrimonio municipale ed è stato destinata ad iniziative di carattere prevalentemente culturale. Le operazioni di restauro di questi ultimi anni hanno riguardato essenzialmente le facciate su piazza dei Signori e su via Monte di Pietà, sia dell'edificio della Gran Guardia che della Casa del Boia, con interventi che hanno toccato svariati aspetti della struttura. Molti e impegnativi sono stati i lavori di risanamento dell'edificio che, con attenzione minuziosa, hanno interessato la copertura del salone, la travatura, il rinforzo della muratura del sottotetto e delle strutture murarie in genere, la sostituzione degli infissi e l'adeguamento degli impianti e dei servizi. La Loggia del Consiglio nella compagine di piazza dei Signori torna ad essere simbolo della città culturale, punto di incontro o di passeggio per i cittadini e turisti, come rappresentato in tante illustrazioni anche ottocentesche. Costituisce un elemento significativo della storia e dell'architettura inserito in un contesto gioioso che la piazza regala ogni giorno con i colori e la vitalità del mercato.
Lodge of Council or of Gran Guardia
32 Via Albettoniera
All'angolo della strada che porta da piazza dei Signori al Duomo, in passato centro di confluenza del più importante sistema viario, vero cuore della città, sorge la Loggia del Consiglio, perché qui si riuniva il Maggior Consiglio della città in seguito all'incendio del Salone nel 1420. L'elegante edificio rinascimentale di impronta lombardesca, fu progettato da Annibale Maggi da Bassano, ultimo rappresentante di uno stile ancora quattrocentesco, nei ritmi e nelle decorazioni, che aveva dominato a Padova alla fine del XV secolo. L'edificio viene comunemente chiamato Gran Guardia perché utilizzato come comando militare durante la dominazione austriaca. La Loggia, per l'armonia delle proporzioni e la sobria eleganza, è la più classica e compiuta rappresentazione del nuovo Rinascimento, vero capolavoro dell'architettura locale del periodo di transizione tra il '400 e il '500, caratterizzato dalle particolari decorazioni dei piedistalli e dall'uso di marmi policromi di chiaro gusto lombardesco. Nel 1496 il Maggi ne seguì i lavori, che negli anni successivi procedettero lenti e faticosi, spesso interrotti da lunghe pause. Sospensioni dovute sia a problematiche economiche che agli eventi bellici del 1509, con l'assedio di Padova da parte delle truppe di Massimiliano durante le tragiche giornate della guerra di Cambrai. I lavori ripresero poi nel 1516 sotto la guida del ferrarese Biagio del Bigio e in seguito nel 1530 da Giovanni Maria Falconetto che, unitamente ai lavori della Torre dell'Orologio, intervenne nella nuova configurazione di rinnovamento di piazza dei Signori. Un'ampia gradinata immette nella Loggia del Consiglio, che si apre con sette arcate a pieno centro nella facciata e due ai lati, impostate su colonne e su pilastri angolari. Nella loggia, con soffitto a travatura e ornato di svecchiature marmoree e di stemmi, si apre a sinistra nel fondo la porta da cui si accede, con un ampio scalone interrotto da un pianerottolo, alla sala superiore. La grande sala è ornata da un soffitto a lacunari (riquadro decorato del soffitto) di Giovanni Paolo da Venezia e Girolamo dal Santo, da una serie di affreschi lungo le pareti longitudinali, inoltre da una tela nella parete sopra il banco ove sedeva il Maggior Consiglio. Gli affreschi del 1667, attribuiti al bolognese Pier Antonio Torri, vogliono rappresentare episodi leggendari e storici di Padova, tra cui la Fondazione della Città ad opera di Antenore, la vittoria riportata dai Padovani sulla flotta del re spartano Cleonimo, il Suicidio di Trasea Peto. La tela della parete orientale, raffigurante Padova tra la Giustizia e la Sapienza, è opera di incerto pittore del '700, forse Giulio Girello, autore rinomato all'epoca proprio per questo genere di scene celebrative a carattere ufficiale. Sostituisce la più famosa tela eseguita da Domenico Campagnola nel 1537, ora al Museo Civico. La Loggia del Consiglio dal 1866 fa parte del patrimonio municipale ed è stato destinata ad iniziative di carattere prevalentemente culturale. Le operazioni di restauro di questi ultimi anni hanno riguardato essenzialmente le facciate su piazza dei Signori e su via Monte di Pietà, sia dell'edificio della Gran Guardia che della Casa del Boia, con interventi che hanno toccato svariati aspetti della struttura. Molti e impegnativi sono stati i lavori di risanamento dell'edificio che, con attenzione minuziosa, hanno interessato la copertura del salone, la travatura, il rinforzo della muratura del sottotetto e delle strutture murarie in genere, la sostituzione degli infissi e l'adeguamento degli impianti e dei servizi. La Loggia del Consiglio nella compagine di piazza dei Signori torna ad essere simbolo della città culturale, punto di incontro o di passeggio per i cittadini e turisti, come rappresentato in tante illustrazioni anche ottocentesche. Costituisce un elemento significativo della storia e dell'architettura inserito in un contesto gioioso che la piazza regala ogni giorno con i colori e la vitalità del mercato.
Sede storica della Provincia di Padova e della Prefettura, Palazzo Santo Stefano è uno scrigno di bellezze e memorie ancora poco conosciute da cittadini e turisti. Le sue origini risalgono all’anno Mille come monastero benedettino femminile, ma sono tante le trasformazioni che si sono succedute soprattutto dopo le soppressioni napoleoniche del 1810. Dal 1868 l’edificio ospita l’Amministrazione provinciale, la Prefettura e la residenza del Prefetto. È un luogo tutto da scoprire con le bellezze artistiche e architettoniche racchiuse nelle sue sale e nello scalone dell’ingresso storico, e con una novità sconosciuta ai più, grazie ai lavori recentemente eseguiti dalla Provincia: un rifugio antigas interrato e un rifugio antiaereo realizzati nel periodo bellico. Il percorso museale si snoda in due parti: la prima, attraverso lo Scalone d’onore, tra i piani terra, primo ed interrato del palazzo; la seconda - percorrendo Piazza Antenore e Riviera Tito Livio - conduce al Rifugio antiaereo U.N.P.A.. La visita al Museo di Palazzo Santo Stefano, include una sala informativa al primo piano, dove visionare filmati storici, testimonianze e documenti d’archivio. Si accede quindi alle ottocentesche Sala di Rappresentanza, Sala Consiliare, Sala Giunta. Accompagnati da una guida, i gruppi, con un massimo di 10 persone, visitano i rifugi antigas e tubolare. Dopo la visita alla Tomba Antenore e le medioevali Mura comunali, si giunge al rifugio antiaereo U.N.P.A. Pittura e scultura dell’Ottocento a Palazzo Santo Stefano La Sala del Consiglio - la cui decorazione fu realizzata nel 1877 da Carlo Matscheg, ornatista bellunese, e dal pittore veneziano Giulio Carlini - costituisce il momento più significativo del rinnovamento ottocentesco dell’edificio. Fulcro della sala, la Cacciata di Pagano del Carlini, campeggia sul soffitto. Nel tamburo si snoda una ricca sequenza di stemmi comunali e tondi entro cui sono ritratti personaggi storici di Padova. A questi si alternano le rappresentazioni di Agricoltura, Industria, Istruzione e Commercio e dei fiumi Brenta e Bacchiglione. Le tre ampie finestre e le arcate cieche sono affiancate da lesene con capitello composito poggianti su alto plinto. Alle pareti, dieci bellissime lampade in fusione sono sostenute da putti a grottesche. Davanti alla loggia balaustrata, su ampio piedistallo marmoreo, figura il busto del presidente della provincia Antonio Dozzi, opera di Natale Sanavio (1886). Il tondo marmoreo con ritratto di Umberto I ed il busto di Vittorio Emanuele II sono opera dello scultore padovano Domenico Stradiotto. Trasformazioni novecentesche a Palazzo Santo Stefano Nei primi anni del Novecento molte sono le trasformazioni urbanistiche di Piazza Antenore, anche con opere d’interro di un canale, nei pressi del Ponte Romano di San Lorenzo. Il Palazzo Santo Stefano modifica tipologia e prospetti, assumendo la configurazione attuale. L’arch. Angelo Pisani realizza lo Scalone d’onore nel 1925, pregevole opera che caratterizza il luogo. Nel 1934, viene realizzato il rifugio antigas - ricovero per 70 persone - con un impianto di elettroventilazione a pedali. Il 14 Giugno 1943 viene firmato il contratto d’appalto alla Ditta Zoccarato Emilio di Padova, per realizzare un rifugio tubolare antiaereo, con una spesa di 270.000 lire. Il 28 giugno 1944, viene realizzato dalla Ditta Grassetto Eugenio di Padova, nel giardino della Prefettura di Padova, un rifugio antiaereo U.N.P.A, con una spesa complessiva di 770.000 lire. Nel chiostro dell’ex Monastero di Santo Stefano, sempre di proprietà della Provincia di Padova, sono stati recentemente individuati altri 4 rifugi antiaereo: luoghi questi, previsti per l’incolumità degli studenti del Liceo Tito Livio. Per le caratteristiche di unicità del luogo, al museo si accede solo su prenotazione, con visite guidate (max 10 persone per visita) nei giorni di sabato e domenica, telefonando allo 049 8910189 oppure online www.micromegamondo.com Orari delle visite guidate (ogni 35 minuti): Mattino: - 9:30 - 10:05 - 10:40 - 11:15 - 11:50 (fine ultima guida alle 13:00) Pomeriggio: 14:00 - 14:35 - 15:10 -15:45- 16:20 (fine ultima visita guidata alle 17:30)
Palazzo Santo Stefano
Piazza Antenore
Sede storica della Provincia di Padova e della Prefettura, Palazzo Santo Stefano è uno scrigno di bellezze e memorie ancora poco conosciute da cittadini e turisti. Le sue origini risalgono all’anno Mille come monastero benedettino femminile, ma sono tante le trasformazioni che si sono succedute soprattutto dopo le soppressioni napoleoniche del 1810. Dal 1868 l’edificio ospita l’Amministrazione provinciale, la Prefettura e la residenza del Prefetto. È un luogo tutto da scoprire con le bellezze artistiche e architettoniche racchiuse nelle sue sale e nello scalone dell’ingresso storico, e con una novità sconosciuta ai più, grazie ai lavori recentemente eseguiti dalla Provincia: un rifugio antigas interrato e un rifugio antiaereo realizzati nel periodo bellico. Il percorso museale si snoda in due parti: la prima, attraverso lo Scalone d’onore, tra i piani terra, primo ed interrato del palazzo; la seconda - percorrendo Piazza Antenore e Riviera Tito Livio - conduce al Rifugio antiaereo U.N.P.A.. La visita al Museo di Palazzo Santo Stefano, include una sala informativa al primo piano, dove visionare filmati storici, testimonianze e documenti d’archivio. Si accede quindi alle ottocentesche Sala di Rappresentanza, Sala Consiliare, Sala Giunta. Accompagnati da una guida, i gruppi, con un massimo di 10 persone, visitano i rifugi antigas e tubolare. Dopo la visita alla Tomba Antenore e le medioevali Mura comunali, si giunge al rifugio antiaereo U.N.P.A. Pittura e scultura dell’Ottocento a Palazzo Santo Stefano La Sala del Consiglio - la cui decorazione fu realizzata nel 1877 da Carlo Matscheg, ornatista bellunese, e dal pittore veneziano Giulio Carlini - costituisce il momento più significativo del rinnovamento ottocentesco dell’edificio. Fulcro della sala, la Cacciata di Pagano del Carlini, campeggia sul soffitto. Nel tamburo si snoda una ricca sequenza di stemmi comunali e tondi entro cui sono ritratti personaggi storici di Padova. A questi si alternano le rappresentazioni di Agricoltura, Industria, Istruzione e Commercio e dei fiumi Brenta e Bacchiglione. Le tre ampie finestre e le arcate cieche sono affiancate da lesene con capitello composito poggianti su alto plinto. Alle pareti, dieci bellissime lampade in fusione sono sostenute da putti a grottesche. Davanti alla loggia balaustrata, su ampio piedistallo marmoreo, figura il busto del presidente della provincia Antonio Dozzi, opera di Natale Sanavio (1886). Il tondo marmoreo con ritratto di Umberto I ed il busto di Vittorio Emanuele II sono opera dello scultore padovano Domenico Stradiotto. Trasformazioni novecentesche a Palazzo Santo Stefano Nei primi anni del Novecento molte sono le trasformazioni urbanistiche di Piazza Antenore, anche con opere d’interro di un canale, nei pressi del Ponte Romano di San Lorenzo. Il Palazzo Santo Stefano modifica tipologia e prospetti, assumendo la configurazione attuale. L’arch. Angelo Pisani realizza lo Scalone d’onore nel 1925, pregevole opera che caratterizza il luogo. Nel 1934, viene realizzato il rifugio antigas - ricovero per 70 persone - con un impianto di elettroventilazione a pedali. Il 14 Giugno 1943 viene firmato il contratto d’appalto alla Ditta Zoccarato Emilio di Padova, per realizzare un rifugio tubolare antiaereo, con una spesa di 270.000 lire. Il 28 giugno 1944, viene realizzato dalla Ditta Grassetto Eugenio di Padova, nel giardino della Prefettura di Padova, un rifugio antiaereo U.N.P.A, con una spesa complessiva di 770.000 lire. Nel chiostro dell’ex Monastero di Santo Stefano, sempre di proprietà della Provincia di Padova, sono stati recentemente individuati altri 4 rifugi antiaereo: luoghi questi, previsti per l’incolumità degli studenti del Liceo Tito Livio. Per le caratteristiche di unicità del luogo, al museo si accede solo su prenotazione, con visite guidate (max 10 persone per visita) nei giorni di sabato e domenica, telefonando allo 049 8910189 oppure online www.micromegamondo.com Orari delle visite guidate (ogni 35 minuti): Mattino: - 9:30 - 10:05 - 10:40 - 11:15 - 11:50 (fine ultima guida alle 13:00) Pomeriggio: 14:00 - 14:35 - 15:10 -15:45- 16:20 (fine ultima visita guidata alle 17:30)
La museologia medica patavina ha radici molto antiche. Già presso l’Orto Botanico si era progettato alla fine del ‘500 un “museo” contenente “tutte le meraviglie della Natura” (Porro 1591). Antonio Vallisneri (1661-1730), professore di Medicina a Padova dal 1700, raccolse una collezione di reperti di storia naturale, etnografici, anatomici e anatomo patologici che, alla sua morte, fu donata all’Università e costituì il nucleo originario dal quale derivarono diversi musei universitari ottocenteschi. Per quanto riguarda l’anatomia patologica, nel 1808 Francesco Luigi Fanzago (1764-1836), docente di Patologia e Medicina Legale, decise di istituire presso la sua abitazione un “Gabinetto patologico”, per dare “nuovi lumi ai cultori della medicina”, successivamente trasferito al Palazzo del Bo nel 1822. Grazie a Francesco Cortese (1802-1883), professore di Anatomia, il gabinetto patologico non solo aumentò il proprio posseduto con preparazioni eseguite dallo stesso medico, ma vide anche migliorati e ampliati i propri locali che si trovavano presso l’antico teatro anatomico cinquecentesco. Bisognerà però aspettare l’arrivo a Padova di Lodovico Brunetti (1813-1899) perché avvenga il passaggio da gabinetto a museo. Brunetti, già assistente a Vienna del celebre patologo Karl von Rokitansky (1804-1878), fu chiamato a Padova nel 1855 a ricoprire la prima cattedra di Anatomia Patologica e da subito si adoperò per creare una raccolta di pezzi patologici da conservare in un museo per fini didattici. All’inizio degli anni ’70 Brunetti fondò il Museo di Anatomia Patologica, che continuò a essere arricchito con esemplari realizzati da Brunetti stesso mediante una nuova metodica chiamata tannizzazione. Questo sistema consisteva in quattro fasi: dissanguamento e sgrassamento dell’organo tramite perfusione in acqua, tannizzazione tramite iniezione di acido tannico attraverso i vasi sanguigni, e prosciugamento con aria calda compressa. Negli anni il museo ha continuato ad accrescersi, in particolare grazie ai successori di Brunetti, cioè Augusto Bonome (1857-1922) e Giovanni Cagnetto (1874-1943): è a questi tre nomi che si deve gran parte della collezione. La sede attuale del museo prese forma dagli anni ’30 del Novecento, quando fu abbattuto l’ex convento di San Mattia dove aveva lavorato il Brunetti e venne costruito l’edificio che ancora oggi è la sede sia del museo sia dell’anatomia patologica come attività di ricerca, diagnostica e insegnamento. A partire dall’approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore (regio decreto del 31 agosto 1933, n. 1592), per arrivare al più recente regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), sono state definite severe limitazioni nel prelievo di parti anatomiche da cadaveri, che hanno di per sé diminuito sensibilmente la possibilità di conservare i reperti nei musei anatomici.
Museum of Pathology, University of Padua
59 Via Aristide Gabelli
La museologia medica patavina ha radici molto antiche. Già presso l’Orto Botanico si era progettato alla fine del ‘500 un “museo” contenente “tutte le meraviglie della Natura” (Porro 1591). Antonio Vallisneri (1661-1730), professore di Medicina a Padova dal 1700, raccolse una collezione di reperti di storia naturale, etnografici, anatomici e anatomo patologici che, alla sua morte, fu donata all’Università e costituì il nucleo originario dal quale derivarono diversi musei universitari ottocenteschi. Per quanto riguarda l’anatomia patologica, nel 1808 Francesco Luigi Fanzago (1764-1836), docente di Patologia e Medicina Legale, decise di istituire presso la sua abitazione un “Gabinetto patologico”, per dare “nuovi lumi ai cultori della medicina”, successivamente trasferito al Palazzo del Bo nel 1822. Grazie a Francesco Cortese (1802-1883), professore di Anatomia, il gabinetto patologico non solo aumentò il proprio posseduto con preparazioni eseguite dallo stesso medico, ma vide anche migliorati e ampliati i propri locali che si trovavano presso l’antico teatro anatomico cinquecentesco. Bisognerà però aspettare l’arrivo a Padova di Lodovico Brunetti (1813-1899) perché avvenga il passaggio da gabinetto a museo. Brunetti, già assistente a Vienna del celebre patologo Karl von Rokitansky (1804-1878), fu chiamato a Padova nel 1855 a ricoprire la prima cattedra di Anatomia Patologica e da subito si adoperò per creare una raccolta di pezzi patologici da conservare in un museo per fini didattici. All’inizio degli anni ’70 Brunetti fondò il Museo di Anatomia Patologica, che continuò a essere arricchito con esemplari realizzati da Brunetti stesso mediante una nuova metodica chiamata tannizzazione. Questo sistema consisteva in quattro fasi: dissanguamento e sgrassamento dell’organo tramite perfusione in acqua, tannizzazione tramite iniezione di acido tannico attraverso i vasi sanguigni, e prosciugamento con aria calda compressa. Negli anni il museo ha continuato ad accrescersi, in particolare grazie ai successori di Brunetti, cioè Augusto Bonome (1857-1922) e Giovanni Cagnetto (1874-1943): è a questi tre nomi che si deve gran parte della collezione. La sede attuale del museo prese forma dagli anni ’30 del Novecento, quando fu abbattuto l’ex convento di San Mattia dove aveva lavorato il Brunetti e venne costruito l’edificio che ancora oggi è la sede sia del museo sia dell’anatomia patologica come attività di ricerca, diagnostica e insegnamento. A partire dall’approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore (regio decreto del 31 agosto 1933, n. 1592), per arrivare al più recente regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), sono state definite severe limitazioni nel prelievo di parti anatomiche da cadaveri, che hanno di per sé diminuito sensibilmente la possibilità di conservare i reperti nei musei anatomici.
Il Museo del PRECINEMA di Padova rappresenta un unicum nel panorama dei musei non solo italiani, quasi una Wunderkammer (camera delle meraviglie); fondato da Laura Minici Zotti nel 1998 in collaborazione con il Comune di Padova e Assessorato alla Cultura e Turismo con la consulenza dell’Arch. Gianfranco Martinoni, grazie a un interessante progetto tra pubblico e privato. Ora il direttore del museo è il Prof. Carlo Alberto Zotti Minici, figlio della fondatrice, docente all’Università degli Studi di Padova (Storia del cinema, Storia e tecnica della fotografia). Per individuare e capire meccanismi e percorsi che hanno portato alla nascita e diffusione, sul piano mondiale, di una nuova “specie umana”, quella dell’uomo visionario, partendo dall’invenzione dei Fratelli Lumière è necessario procedere a ritroso lungo un arco di vari secoli. E’ importante mantenere al centro del fuoco dell’osservazione sia la storia delle macchine della visione – già in parte conosciuta ed esplorata – quanto quella, più vasta e dai confini incerti, della visione popolare e delle forme di spettacolo ottico che, nel corso dei secoli, hanno condotto all’invenzione del Cinema. Il monumentale, quattrocentesco Palazzo Angeli , di proprietà del Comune di Padova, situato in Prato della Valle nel centro storico della città, costituisce la sede più appropriata per custodire ed esporre tali strumenti e vetri da proiezione, dipinti a mano originali del ‘700 e dell ‘800. Si possono inoltre ammirare: il “Mondo niovo” con le vedute ottiche, una raccolta di strumenti e giochi ottici che per tutto l’Ottocento e particolarmente in età vittoriana, testimoniano in maniera multiforme l’esigenza di uscire dall’impasse dell’immagine fissa e unidimensionale. Accanto a semplici congegni a carattere giocoso come i taumatropi, o le anamorfosi appaiono strumenti più ingegnosi come il fenachistoscopio, il praxinoscopio e lo zootropio . Una sezione è dedicata alla FOTOGRAFIA dove è possibile osservare le immagini inserite nel Megaletoscopio “privilegiato” di Carlo Ponti del 1864 ; per continuare con la STEREOSCOPIA dove si trovano stereoscopi d’epoca, portatili o a colonna corredati di immagini fotografiche che appaiono tridimensionali. “Fiore all’occhiello” di questo museo sono le LANTERNE MAGICHE che hanno documentato, con le loro proiezioni, l’affascinante viaggio dell’immagine proiettata, dal Settecento alla nascita del Cinema. Tra i pezzi più pregiati, oltre alle lanterne da proiezione, singole, le Fantasmagoria lanterns, la lanterna doppia di W. Tyler , la lanterna tripla di J. H. Steward , in mogano con obiettivi in ottone, databili attorno al 1880 ca.; la lanterna scientifica della P. Harris & Co, la lanterna “The Pettibone” di produzione americana, altre antiche lanterne appaiate e per finire la lanterna – cinema di Walter Gibbons. Una bacheca è riservata alle LANTERNINE GIOCATTOLO in latta verniciata con decorazioni a sbalzo di Lapierre, Plank o Müller, oltre alle coloratissime lanterne salon di produzione francese. Accanto agli apparecchi da proiezione, la Collezione Minici Zotti, raccoglie migliaia di vetri databili tra la metà del XVIII° e gli inizi del XX° secolo. Sono per la maggior parte dipinti a mano, oppure incisioni riportate su vetro o fotografie colorate a mano, oltre agli interessanti vetri “a movimento” con i quali ottenere divertenti animazioni; tra questi i cromatropi, il famoso Coreutoscopio a banda e le dissolvenze con effetto giorno-notte. Non mancano gli antichi STRUMENTI MUSICALI, un TEATRO DI OMBRE JAVANESI di fine Ottocento e la ricostruzione della Camera oscura.
Museo del Precinema
1/A Prato della Valle
Il Museo del PRECINEMA di Padova rappresenta un unicum nel panorama dei musei non solo italiani, quasi una Wunderkammer (camera delle meraviglie); fondato da Laura Minici Zotti nel 1998 in collaborazione con il Comune di Padova e Assessorato alla Cultura e Turismo con la consulenza dell’Arch. Gianfranco Martinoni, grazie a un interessante progetto tra pubblico e privato. Ora il direttore del museo è il Prof. Carlo Alberto Zotti Minici, figlio della fondatrice, docente all’Università degli Studi di Padova (Storia del cinema, Storia e tecnica della fotografia). Per individuare e capire meccanismi e percorsi che hanno portato alla nascita e diffusione, sul piano mondiale, di una nuova “specie umana”, quella dell’uomo visionario, partendo dall’invenzione dei Fratelli Lumière è necessario procedere a ritroso lungo un arco di vari secoli. E’ importante mantenere al centro del fuoco dell’osservazione sia la storia delle macchine della visione – già in parte conosciuta ed esplorata – quanto quella, più vasta e dai confini incerti, della visione popolare e delle forme di spettacolo ottico che, nel corso dei secoli, hanno condotto all’invenzione del Cinema. Il monumentale, quattrocentesco Palazzo Angeli , di proprietà del Comune di Padova, situato in Prato della Valle nel centro storico della città, costituisce la sede più appropriata per custodire ed esporre tali strumenti e vetri da proiezione, dipinti a mano originali del ‘700 e dell ‘800. Si possono inoltre ammirare: il “Mondo niovo” con le vedute ottiche, una raccolta di strumenti e giochi ottici che per tutto l’Ottocento e particolarmente in età vittoriana, testimoniano in maniera multiforme l’esigenza di uscire dall’impasse dell’immagine fissa e unidimensionale. Accanto a semplici congegni a carattere giocoso come i taumatropi, o le anamorfosi appaiono strumenti più ingegnosi come il fenachistoscopio, il praxinoscopio e lo zootropio . Una sezione è dedicata alla FOTOGRAFIA dove è possibile osservare le immagini inserite nel Megaletoscopio “privilegiato” di Carlo Ponti del 1864 ; per continuare con la STEREOSCOPIA dove si trovano stereoscopi d’epoca, portatili o a colonna corredati di immagini fotografiche che appaiono tridimensionali. “Fiore all’occhiello” di questo museo sono le LANTERNE MAGICHE che hanno documentato, con le loro proiezioni, l’affascinante viaggio dell’immagine proiettata, dal Settecento alla nascita del Cinema. Tra i pezzi più pregiati, oltre alle lanterne da proiezione, singole, le Fantasmagoria lanterns, la lanterna doppia di W. Tyler , la lanterna tripla di J. H. Steward , in mogano con obiettivi in ottone, databili attorno al 1880 ca.; la lanterna scientifica della P. Harris & Co, la lanterna “The Pettibone” di produzione americana, altre antiche lanterne appaiate e per finire la lanterna – cinema di Walter Gibbons. Una bacheca è riservata alle LANTERNINE GIOCATTOLO in latta verniciata con decorazioni a sbalzo di Lapierre, Plank o Müller, oltre alle coloratissime lanterne salon di produzione francese. Accanto agli apparecchi da proiezione, la Collezione Minici Zotti, raccoglie migliaia di vetri databili tra la metà del XVIII° e gli inizi del XX° secolo. Sono per la maggior parte dipinti a mano, oppure incisioni riportate su vetro o fotografie colorate a mano, oltre agli interessanti vetri “a movimento” con i quali ottenere divertenti animazioni; tra questi i cromatropi, il famoso Coreutoscopio a banda e le dissolvenze con effetto giorno-notte. Non mancano gli antichi STRUMENTI MUSICALI, un TEATRO DI OMBRE JAVANESI di fine Ottocento e la ricostruzione della Camera oscura.
Il Roseto comunale si sviluppa a ridosso delle mura cinquecentesche, tra il parco Treves e l'Orto botanico, lungo il bastione di Santa Giustina. Il roseto, pensato come percorso didattico, consente al visitatore di immergersi in una moltitudine di odori e colori organizzato per sezioni: lo spazio sensoriale (vista, tatto, odorato, gusto); il percorso della storia della rosa con i principali passaggi nell'evoluzione delle rose antiche e moderne; il percorso delle 10 rose più importanti nella classifica americana; il percorso delle rose dedicate ai personaggi famosi vissuti nel Veneto (Rosa di Sant'Antonio, Rosa Beatrice d'Este, ecc.). Orari di apertura Dal 25 aprile al 14 luglio MATTINO --> 9:00 - 12:00 POMERIGGIO --> 16:00 - 19:00 Dall'1 settembre al 7 ottobre MATTINO --> 10:00 - 12:00 POMERIGGIO --> 15:00 - 18:00 Il Roseto è chiuso dal 15 luglio al 31 agosto e dall'8 ottobre al 24 aprile.
Roseto di Santa Giustina
65 Via Michele Sanmicheli
Il Roseto comunale si sviluppa a ridosso delle mura cinquecentesche, tra il parco Treves e l'Orto botanico, lungo il bastione di Santa Giustina. Il roseto, pensato come percorso didattico, consente al visitatore di immergersi in una moltitudine di odori e colori organizzato per sezioni: lo spazio sensoriale (vista, tatto, odorato, gusto); il percorso della storia della rosa con i principali passaggi nell'evoluzione delle rose antiche e moderne; il percorso delle 10 rose più importanti nella classifica americana; il percorso delle rose dedicate ai personaggi famosi vissuti nel Veneto (Rosa di Sant'Antonio, Rosa Beatrice d'Este, ecc.). Orari di apertura Dal 25 aprile al 14 luglio MATTINO --> 9:00 - 12:00 POMERIGGIO --> 16:00 - 19:00 Dall'1 settembre al 7 ottobre MATTINO --> 10:00 - 12:00 POMERIGGIO --> 15:00 - 18:00 Il Roseto è chiuso dal 15 luglio al 31 agosto e dall'8 ottobre al 24 aprile.
Primo in Italia, il Museo di Geografia del Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’Antichità è il dodicesimo museo universitario padovano. Unico nel suo genere, mira ad accompagnare il visitatore nella riscoperta del fascino e della forza della geografia, disciplina da sempre animata dal desiderio di conoscenza del mondo attraverso il continuo confronto tra metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Caratterizzate da pezzi di grande valore, le collezioni di Geografia rappresentano preziosa testimonianza delle attività di ricerca e didattica svolte all’Università di Padova nel campo della geografia dal 1872 ad oggi e raccontano gli affascinanti sviluppi del pensiero geografico. Attraverso strumenti, carte, globi, plastici e fotografie, il Museo propone un viaggio articolato in tre tappe, riassunte nelle parole chiave esplora - misura - racconta. Missione L’obiettivo del Museo consiste nel ravvivare il rapporto tra Università e società civile attraverso un’idea museale dinamica che partendo dalla valorizzazione del patrimonio porti all’avvicinamento di una geografia fatta di pratiche coinvolgenti e temi di ricerca di stringente attualità. Il Museo intende costituirsi come “incubatore” della Terza Missione universitaria, hub innovativo in grado di mettere in comunicazione e favorire la legittimazione reciproca delle tre funzioni riconosciute dell’Università: ricerca scientifica, didattica-formazione, responsabilità sociale. Il Patrimonio Negli anni, la ricerca geografica patavina ha dato vita ad un patrimonio unico in Italia che comprende una componente tangibile e una intangibile. La prima consiste di libri, atlanti, carte geografiche, plastici, globi, strumenti e fotografie. La seconda invece include pratiche di ricerca applicate con costanza e divenute caratteristiche della scuola padovana. Spazi Il Museo di Geografia si trova al piano nobile di Palazzo Wollemborg, sede dell’attuale Sezione di Geografia del DiSSGeA e di quello che fu il primo e unico Dipartimento di Geografia in Italia, dove geografia fisica e geografia umana convissero dal 1984 al 2011.
Museo di Geografia
26 Via del Santo
Primo in Italia, il Museo di Geografia del Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’Antichità è il dodicesimo museo universitario padovano. Unico nel suo genere, mira ad accompagnare il visitatore nella riscoperta del fascino e della forza della geografia, disciplina da sempre animata dal desiderio di conoscenza del mondo attraverso il continuo confronto tra metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Caratterizzate da pezzi di grande valore, le collezioni di Geografia rappresentano preziosa testimonianza delle attività di ricerca e didattica svolte all’Università di Padova nel campo della geografia dal 1872 ad oggi e raccontano gli affascinanti sviluppi del pensiero geografico. Attraverso strumenti, carte, globi, plastici e fotografie, il Museo propone un viaggio articolato in tre tappe, riassunte nelle parole chiave esplora - misura - racconta. Missione L’obiettivo del Museo consiste nel ravvivare il rapporto tra Università e società civile attraverso un’idea museale dinamica che partendo dalla valorizzazione del patrimonio porti all’avvicinamento di una geografia fatta di pratiche coinvolgenti e temi di ricerca di stringente attualità. Il Museo intende costituirsi come “incubatore” della Terza Missione universitaria, hub innovativo in grado di mettere in comunicazione e favorire la legittimazione reciproca delle tre funzioni riconosciute dell’Università: ricerca scientifica, didattica-formazione, responsabilità sociale. Il Patrimonio Negli anni, la ricerca geografica patavina ha dato vita ad un patrimonio unico in Italia che comprende una componente tangibile e una intangibile. La prima consiste di libri, atlanti, carte geografiche, plastici, globi, strumenti e fotografie. La seconda invece include pratiche di ricerca applicate con costanza e divenute caratteristiche della scuola padovana. Spazi Il Museo di Geografia si trova al piano nobile di Palazzo Wollemborg, sede dell’attuale Sezione di Geografia del DiSSGeA e di quello che fu il primo e unico Dipartimento di Geografia in Italia, dove geografia fisica e geografia umana convissero dal 1984 al 2011.

Visita turistica e gastronomica

Il Caffè Pedrocchi, edificio neoclassico eretto nel 1831 su progetto di Giuseppe Jappelli, nell’Ottocento fu celebre ritrovo di letterati e teatro dei moti risorgimentali studenteschi del 1848. Oggi è uno dei locali storici più celebri d’Italia. Le sale del Piano Nobile furono decorate tra il 1840 e 1842 da artisti diversi con vari stili (greco, romano, rinascimentale, ercolano, moresco, impero, egizio, etrusco); in un’ala è allestito il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea. Nelle sale superiori si possono ammirare stili diversi (etrusco, greco, romano). Si accede da piazzetta Pedrocchi ma attenzione: l'orario di apertura è 9:30 - 12:30 e 15:30 - 18:00 ed è chiuso di lunedì Da provare il famoso caffè Pedrocchi. Ricetta storica legata a Francesco Pedrocchi, ma soprattutto a suo figlio Antonio che nel 1826 progettò una torrefazione compresa di mescita che divenne il ritrovo degli intellettuali dell’epoca. Sopra una base espresso si posa la panna, il latte e una spolverata di cacao, ma la particolarità (che risale proprio a un vezzo intellettuale di riconoscimento estetico) è l’utilizzo delle sciroppo di menta per rievocare i colori del Caffè Pedrocchi. Al Pedrocchi si svolgono periodicamente concerti, soprattutto di musica jazz, incontri letterali, reading poetici... Per informazioni puoi rivolgerti all'Ufficio Informazioni Turistiche lì vicino: Vicolo Pedrocchi tel. +39 049 2010080
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Pedrocchi Café
15 Via VIII Febbraio
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Il Caffè Pedrocchi, edificio neoclassico eretto nel 1831 su progetto di Giuseppe Jappelli, nell’Ottocento fu celebre ritrovo di letterati e teatro dei moti risorgimentali studenteschi del 1848. Oggi è uno dei locali storici più celebri d’Italia. Le sale del Piano Nobile furono decorate tra il 1840 e 1842 da artisti diversi con vari stili (greco, romano, rinascimentale, ercolano, moresco, impero, egizio, etrusco); in un’ala è allestito il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea. Nelle sale superiori si possono ammirare stili diversi (etrusco, greco, romano). Si accede da piazzetta Pedrocchi ma attenzione: l'orario di apertura è 9:30 - 12:30 e 15:30 - 18:00 ed è chiuso di lunedì Da provare il famoso caffè Pedrocchi. Ricetta storica legata a Francesco Pedrocchi, ma soprattutto a suo figlio Antonio che nel 1826 progettò una torrefazione compresa di mescita che divenne il ritrovo degli intellettuali dell’epoca. Sopra una base espresso si posa la panna, il latte e una spolverata di cacao, ma la particolarità (che risale proprio a un vezzo intellettuale di riconoscimento estetico) è l’utilizzo delle sciroppo di menta per rievocare i colori del Caffè Pedrocchi. Al Pedrocchi si svolgono periodicamente concerti, soprattutto di musica jazz, incontri letterali, reading poetici... Per informazioni puoi rivolgerti all'Ufficio Informazioni Turistiche lì vicino: Vicolo Pedrocchi tel. +39 049 2010080
il Sotto Salone di Padova è il mercato coperto più antico d’Europa con oltre 50 tra banchi, negozi, bar, enoteche. Nei suoi otto secoli di storia l’antico mercato del Sottosalone è diventato il simbolo della città di Padova e luogo unico al mondo, un punto di incontro tra la passione degli artigiani del gusto e l’amore incondizionato dei consumatori. Sin dal Medioevo questo mercato ha raccolto la ricchezza delle campagne circostanti, facendo prosperare la vocazione mercantile della città. Una tradizione trasmessa di generazione in generazione, in un crogiuolo di sapori autentici, straordinariamente concentrati in luogo sorprendentemente immutato nei secoli. Una ricchezza che ogni giorno risorge nella vita mattutina che ripete lingue e gesti antichi, e nei profumi delle eccellenze enogastronomiche che vi si possono trovare. Formaggi, salumi, prosciutti, carni, pesce, vino, frutta e verdura regalano un’esperienza olfattiva inebriante per la gente che continua a popolare questo luogo che è un tempio di sapori e tradizioni immortali. I padovani hanno sempre amato il Sottosalone come una grande madre che per 800 anni li ha saziati, accogliendo attorno a sé il cuore pulsante della vita cittadina. MAPPA https://mercatosottoilsalone.it/mappa-sotto-il-salone/
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Sotto il Salone
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il Sotto Salone di Padova è il mercato coperto più antico d’Europa con oltre 50 tra banchi, negozi, bar, enoteche. Nei suoi otto secoli di storia l’antico mercato del Sottosalone è diventato il simbolo della città di Padova e luogo unico al mondo, un punto di incontro tra la passione degli artigiani del gusto e l’amore incondizionato dei consumatori. Sin dal Medioevo questo mercato ha raccolto la ricchezza delle campagne circostanti, facendo prosperare la vocazione mercantile della città. Una tradizione trasmessa di generazione in generazione, in un crogiuolo di sapori autentici, straordinariamente concentrati in luogo sorprendentemente immutato nei secoli. Una ricchezza che ogni giorno risorge nella vita mattutina che ripete lingue e gesti antichi, e nei profumi delle eccellenze enogastronomiche che vi si possono trovare. Formaggi, salumi, prosciutti, carni, pesce, vino, frutta e verdura regalano un’esperienza olfattiva inebriante per la gente che continua a popolare questo luogo che è un tempio di sapori e tradizioni immortali. I padovani hanno sempre amato il Sottosalone come una grande madre che per 800 anni li ha saziati, accogliendo attorno a sé il cuore pulsante della vita cittadina. MAPPA https://mercatosottoilsalone.it/mappa-sotto-il-salone/